Lavoce.info

Autore: Luigi Guiso Pagina 4 di 9

guiso È professore di Economia all’Einaudi Institute for Economics and Finance, Roma, dopo essere stato professore allo European University Institute, Firenze. È fellow del CEPR e è stato direttore del Finance Program. Gli interessi correnti di studio e di ricerca vertono sui campi dell’economia finanziaria, delle scelte finanziarie delle famiglie, della macroeconomia, dei legami tra economia e istituzioni. Temi recenti di ricerca includono l’effetto della cultura sull’economia e le origini del capitale sociale. Redattore de lavoce.info fin dall’inizio.

La lezione del Monte

La vicenda Monte dei Paschi non è dovuta a carenza di controlli, ma alla governance del nostro sistema bancario. È un caso di cattiva gestione, con precise responsabilità del management. Il nodo resta la struttura proprietaria del sistema bancario. Ma nei programmi elettorali non una parola per affrontarlo.

La riunificazione del paese

Nel valutare l’azione del Governo Monti si può usare un criterio assoluto oppure uno in cui si compensa la valutazione per i tempi imposti alle decisioni. E gli esiti sono diversi. Tre risultati e un vantaggio prezioso che non è stato sfruttato.

Per una cassa senza fondazioni

Grottesco. Difficile trovare aggettivo diverso per descrivere lo scontro sulla conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate possedute delle fondazioni bancarie nella Cassa depositi e prestiti. Se si vuole trasformare realmente (e non solo nella forma) la Cassa in una società per azioni, si liquidino le fondazioni e si metta il 30 per cento da esse posseduto sul mercato, vendendolo al migliore offerente. Permetterebbe alle fondazioni di concentrarsi davvero sulle attività di pubblica utilità, che dovrebbero essere il loro core business e a una controllata dallo Stato di confrontarsi con veri azionisti. Si eviterebbe anche un nuovo bagno di sangue per il contribuente.

Il mestiere delle fondazioni

Ringraziamo il direttore dell’Acri per l’attenzione dedicata al nostro intervento sul tema delle fondazioni bancarie, un po’ meno per il tono della sua risposta.

QUEL BRINDISI SULLA PLANCIA DEL TITANIC

Tutti insieme appassionatamente, politici, banchieri, membri del governo e capi delle fondazioni hanno celebrato il futuro delle fondazioni. Che però non promette bene. Come rivela uno studio di Mediobanca, la loro redditività e la loro efficienza sono ridotte al lumicino. Mentre i pletorici board sono la rappresentazione della spartizione politica, senza vere competenze all’interno. La separazione tra fondazioni e banche è improrogabile per la salute stessa del capitalismo italiano, soprattutto in tempo di crisi.

QUELL’ABBRACCIO MORTALE FRA FONDAZIONI E BANCHE

Le vicende di Mps e di Unicredit confermano quanto sia opportuna la separazione tra fondazioni e banche conferitarie. Le fondazioni potrebbero perseguire i loro obiettivi statutari. E migliorerebbe la governance delle banche, aprendo a soggetti che hanno come obiettivo primario la massimizzazione del loro valore. È una riforma degli assetti proprietari del nostro capitalismo utile ora, nell’immediato della crisi, e dopo, quando sarà finita. Perché renderebbe più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.

NELLE TASCHE NO. NEL PORTAFOGLIO (TITOLI) SÌ

L’avevano detto, l’avevano giurato, anche a Pontida: non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani! Così è stato. Nelle tasche degli italiani le mani no, ma nel portafoglio si: più precisamente nel portafoglio titoli. Forse quella promessa “nelle tasche mai” nascondeva un trucco: la potevano fare perché l’avrebbero mantenuta e l’avrebbero mantenuta perché nelle tasche degli italiani – eccezion fatta per il portachiavi, l’accendisigari e un fazzoletto di carta  e qualche spicciolo – non c’è niente di attraente.  Oggi possono sostenere di non aver mai parlato di portafogli, solo di tasche e quindi di essere stati, come si conviene a un buon politico, di parola. E il mantenimento della parola e la coerenza in politica pagano sempre.

RIFORMIAMO IL REFERENDUM

Sembra quasi paradossale che alcune forze politiche invitino gli elettori a non votare sui quesiti referendari. Ma è un effetto del modo in cui la legge sul referendum è disegnata. Basterebbe adottare il sistema tedesco per eliminare l’anomalia italiana. Vincerebbe sempre l’opzione desiderata dalla maggioranza degli aventi diritto al voto. E avremmo un dibattito e un’informazione più ricchi oltre a una partecipazione ampia dei cittadini al processo decisionale: tutti sintomi di vitalità di una democrazia.

TPS, la penna verde

Delle persone che scompaiono e alle quali sono stato in qualche modo legato tendo a ricordare e conservare spezzoni di immagini piuttosto che una visione d’insieme. Spesso questo ricordo è un dettaglio secondario, anche insignificante, rispetto alla ricchezza della vita di questa persona. Ma a ben pensarci talvolta ne riassume un tratto importante e forse è per questo che mi rimane impresso. Pensando a Tommaso Padoa Schioppa, conosciuto nei tanti anni trascorsi alla Banca d’Italia, mi è ritornata alla mente la sua penna verde.

La penna che usava per correggere il testo del Bollettino Economico, delle bozze della Relazione annuale o dei cosiddetti lavori preparatori, ricerche predisposte dagli economisti del Servizio Studi della banca in funzione della stesura della Relazione annuale e più in generale di analisi e studio dell’economia, italiana (e non). Di quei testi i membri del direttorio leggevano con estrema attenzione ogni riga e restituivano agli autori le bozze commentate, corrette, segnate. C’era attesa per quei commenti. Quelli di Pierluigi Ciocca, a lettere grandi talvolta indecifrabili; le sottolineature lunghe e ondulate di Antonio Fazio; le annotazioni del Dottor Ciampi, poche ma sempre negli snodi del testo, quelli che qualificavano l’interpretazione. Questi commenti erano redatti a penna, bic o stilo, ma di colore blu o nera lo stesso colore che convenzionalmente si usa per apporre una firma su un assegno, il documento per eccellenza di una banca. I commenti di Tommaso Padoa Schioppa erano invece in inchiostro verde. Doveva essere una sua penna, dato che la Banca d’Italia non forniva ai dipendenti (e quindi neanche al direttorio) penne colorate, ma matite sempre dello stesso tipo, penne blu e penne nere, anche quelle sempre dello stesso tipo.

PARLARMENE!

Oltre al colore diverso quei commenti avevano altre due caratteristiche: si concludevano con la sua sigla, TPS, che gli è valso il nome – Tipiesse – con cui a lui ci si riferiva dentro la banca; contenevano spesso una richiesta dal tono perentorio -“parlarmene!” – a margine di un paragrafo che lui reputava importante e sul quale richiedeva all’autore un approfondimento. La sigla era quasi pleonastica dato l’uso della penna verde che garantiva l’identificazione perfetta del commentatore, ma siglandoli si prendeva la responsabilità di quei commenti. “Parlarmene!” evocava la relazione gerarchica tra lui e i colleghi/collaboratori, ma al tempo stesso rivelava l’interesse per il lavoro degli altri e il bisogno di conoscere di più di quello che era stato fatto, e questo aveva un forte effetto sulla motivazione delle persone, ci si sentiva utili. Rimane il colore della penna, perché verde? Perché quel tocco anticonformista? Questo mi stupiva un po’ in un uomo con una mente così organizzata, strutturata e lucida, in una persona così dedicata all’ istituzione a cui apparteneva: perché l’identificazione con essa non arrivava fino al colore della penna? Onestamente non lo so e non ho mai osato chiederglielo. Ma credo sia perché TPS distingueva tra identificazione e omologazione. Ha sempre avuto un tratto personale, un guizzo di fantasia, un elemento di distinzione; lo si ritrova nei suoi scritti, nei vocaboli che usava, in quelli che spesso coniava. I miei ex-colleghi in Banca d’Italia ne ricorderanno parecchi – il quartetto incoerente citato sui media in questi giorni, i piccoli giganti – riferendosi alle piccole banche italiane che si accollano l’intero rischio delle piccole imprese che finanziano – e i giganti nani – le grandi banche che partecipano solo a una parte del rischio delle grandi imprese a cui concedono prestiti, per citarne alcuni. L’uso di queste definizioni era forse un vezzo, una concessione all’estetica, ma era anche e soprattutto un modo concreto di rischiarare il discorso, di comunicare con il lettore in modo diretto, immediato. Lampi di luce che aggiungevano bellezza e chiarezza, come la penna verde.
Ciao TPS, riposa in pace.

Rifondazione capitalista

Le fondazioni bancarie non sono investitori istituzionali perché non rendono conto ad alcun risparmiatore delle loro scelte finanziarie e non hanno peraltro alcun obbligo di rendicontazione della redditività dei loro investimenti. Né sono autonome dalla politica, come mostrano gli ultimi riassetti ai vertici. Vanno dunque riformate, risolvendo l’anomalia di istituzioni non profit che esercitano funzioni di controllo nelle banche. Dovrebbero trasformare gradualmente le loro azioni in azioni di risparmio, evitando di incorrere in perdite in conto capitale.

 

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