Lavoce.info

Autore: Maria Cecilia Guerra Pagina 1 di 9

galasso Ha conseguito l’M.Phil in Economics alla Cambridge University (UK). È dottore di ricerca in Economia Politica presso l’Università di Bologna; è docente di Scienza delle Finanze  presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. È membro fondatore del CAPP – Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. È stata sottosegretaria al Ministero  del Lavoro e delle Politiche sociali sotto il governo Monti e viceministro presso lo stesso dicastero con Delega anche alle Pari opportunità sotto il governo Letta. È  stata poi Sottosegretaria al Ministero dell'Economia sotto i governi Conte2 e Draghi. Attualmente è membro della Camera dei Deputati. Redattore de lavoce.info.

Grande confusione concettuale sotto il cielo dell’Isee*

Alterare criteri e pesi dell’Isee per garantire un beneficio specifico a una categoria di persone espone al rischio di risultati arbitrari e iniqui. Per questo va respinta l’ipotesi di escludere dal calcolo il valore della prima casa fino a 100mila euro.

Le nuova social card al banco di prova*

Con i primi pagamenti, la “nuova social card” entra nel vivo, anche se preceduta da qualche polemica. Invece, la sperimentazione avviata in dodici città con più di 250mila abitanti si sta rivelando molto utile per la definizione del target e per la messa a punto delle procedure di controllo.

Il “Sia” non è vecchia politica*

L’intervento di Chiara Saraceno  sull’azione del Governo in materia di povertà plaude al significativo incremento delle risorse per il contrasto alla povertà, ma critica il fatto che ad esso continui ad accompagnarsi un intervento non solo frammentario, articolato cioè su più istituti, ma anche fortemente categoriale.

LA LITANIA DEI CONDONI

Lunedì 24 ottobre. Il Consiglio dei ministri è terminato. Nulla di fatto. Il decreto sviluppo continua ad essere un oggetto misterioso. Una bozza è circolata nel pomeriggio, ripresa dalle più importanti testate nazionali. Conteneva una litania impressionante di condoni di tutti i tipi: riapertura dei termini per gli anni pregressi, regolarizzazione delle scritture contabili, accertamento con adesione per i periodi d’imposta pregressi, definizione dei ritardati od omessi versamenti, definizione degli atti di accertamento e di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, definizione delle liti pendenti, definizione dei tributi locali, definizione agevolata ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, proroga di termini, definizione degli importi non versati, regolarizzazione di inadempienze di natura fiscale, proroga di termini. Tutti cumulabili. Alcuni anonimi.
In larga parte un déjà vu: la riproposizione, con pochi aggiornamenti, della lunga lista di condoni messi in atto con la legge finanziaria per il 2003.
La notizia è rimbalzata sui siti e nei notiziari. Il Governo ha smentito.
È un giallo? È l’ennesimo ballon d’essai? Per saggiare l’opinione di chi? Dei contribuenti o della propria maggioranza?
Non lo so. Quello che è certo è che una notizia di questo tipo, lasciata trapelare e poi smentita da un governo debole, indeciso e diviso, è un’ulteriore non indifferente elemento che ne mina la residua credibilità.

PER NON DIMENTICARE

L’avevamo chiamata legge “ad aziendam”  e questa definizione è stata fatta propria dalla stampa. Ci riferivamo alla norma contenuta  nel decreto legge “incentivi” (n. 40/2010), che permetteva una  rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni per le quali l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Il contribuente poteva estinguere la controversia che lo riguardava, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto  degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
L’avevamo chiamata “ad aziendam” perché le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliavano alla perfezione  a un importante contenzioso pendente in Cassazione che riguardava la Mondadori. L’imposta dovuta dall’azienda editoriale era pari a 173 milioni. Se si aggiungono interessi, indennità di mora e sanzioni, si trattava, secondo la stampa,  di una somma di circa 350 milioni di euro. Grazie alla norma citata la controversia si è chiusa con il pagamento di 8,6 milioni.
Marina Berlusconi, Presidente di Mondadori ha rigettato l’interpretazione di una legge ad aziendam:  “Non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi?”
Chi aveva ragione?
Il senatore del Pd Giuliano Barbolini ha provato ad avere dal ministero dell’Economia tutte le informazioni necessarie a capire quante siano state davvero e per che importi le imprese che di questa norma si sono avvalse. Ci sono volute tre diverse interrogazioni. 
La risposta del Ministero dell’Economia, per quanto limitata a solo  alcuni aspetti, sembra abbastanza interessante. Le aziende che hanno utilizzato la norma sono state 67. Il costo complessivo che si è rinunciato a introitare a bilancio pubblico, nel caso di soccombenza della controparte, viene valutata in circa 226 milioni.
Se ne deduce che, poiché di questi 226 milioni 173 milioni riguardano la Mondadori,  la vertenza Mondadori pesa per poco più del 75% del totale. Le altre 66 aziende, tutte insieme, contano per il restante 25%.
Si può o non si può parlare di legge “ad aziendam”?

PERCHÉ MAI UN CONDONO?

Il condono fiscale è la legittimazione di un atto illecito, è un premio per chi ha violato le leggi, è un gettare la spugna da parte dell’amministrazione, è una delegittimazione delle imposte come strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica. Rappresenterebbe un’ulteriore perdita di reputazione per il nostro paese, cosa di cui non abbiamo proprio bisogno. Non è neppure detto che assicuri un gettito all’erario, né che aiuti i contribuenti in maggiore difficoltà.


UN FISCO DA RIPENSARE

In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info

IL DESOLANTE COPIA-INCOLLA DELLA DELEGA FISCALE

Il Governo ha approvato una bozza di legge delega per la riforma fiscale. Un documento costruito molto in fretta, con pochi ingredienti, dagli esiti distributivi e di gettito assolutamente incerti. Per rimpolparlo si è allora ricorsi al più classico “copia e incolla” dalla legge delega presentata da Tremonti nel 2001, approvata dal Parlamento nel 2003 e poi largamente non esercitata. Come se nulla, nel frattempo, fosse cambiato nel sistema fiscale erariale, regionale e locale. Il tema del fisco è delicato. Di improvvisazione e pressappochismo non c’è proprio bisogno.

HO GIOCATO TRE NUMERI AL LOTTO…

Che cosa si può dire di un’Irpef a tre aliquote: 20, 30 e 40? Niente.
Si tratta di un’informazione del tutto insufficiente. Se questa, come dice la stampa, è la proposta del ministro, bisogna ricordargli che si è dimenticato di dirci alcune cose importanti: come saranno articolati i tre scaglioni a cui applicare queste tre aliquote? Come saranno articolate le detrazioni di imposta per lavoro, pensioni e per carichi familiari?
Senza queste informazioni le tre aliquote non significano niente, ma proprio niente: possono dar luogo a infinite Irpef diverse.
Un esempio: supponiamo che il mio reddito  lordo sia di 30.000 euro.
Se i primi due attuali scaglioni restassero invariati e il terzo ed ultimo partisse quindi da 28.000 euro, ci guadagnerei 20 euro. Se invece i primi due scaglioni venissero accorpati  così come il terzo e il quarto; allora ci guadagnerei  1.520 euro: una bella differenza!
Ma se poi contemporaneamente la mia detrazione per lavoro dipendente venisse abolita, nel primo caso ci rimetterei 816 euro, mentre ne guadagnerei  684 euro nel secondo.
Di cosa discutiamo dunque?
Meglio aspettare una vera proposta articolata e motivata dell’intera riforma fiscale e non solo del pezzo relativo all’Irpef, di cui siano esplicitamente indicate le finalità e per la quale sia possibile valutare chi ci guadagna e chi ci perde, perché, dato che la riforma dovrà avvenire a parità di gettito, l’unica cosa certa è che non potremo guadagnarci tutti.

I CONTROLLI NELLA LEGGE CHE NON SI LEGGE

Il decreto sviluppo interviene sui controlli amministrativi, non solo fiscali, operati da qualsiasi amministrazione, centrale e locale. Il tema della semplificazione dei controlli è molto caro alle imprese e l’intento del governo è ovviamente condivisibile, purché non vada a detrimento del rispetto delle regole. La norma però presenta difficoltà sia interpretative che di attuazione, affronta più la coda che la testa del problema e il suo impatto sulla crescita rischia di essere così incerto da sollevare dubbi sulla sua collocazione in un decreto con carattere di urgenza.

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