Con i primi pagamenti, la “nuova social card” entra nel vivo, anche se preceduta da qualche polemica. Invece, la sperimentazione avviata in dodici città con più di 250mila abitanti si sta rivelando molto utile per la definizione del target e per la messa a punto delle procedure di controllo.
Autore: Maria Cecilia Guerra Pagina 1 di 9
Ha conseguito l’M.Phil in Economics alla Cambridge University (UK). È dottore di ricerca in Economia Politica presso l’Università di Bologna; è docente di Scienza delle Finanze e Direttore del Dipartimento di Economia Politica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha collaborato e collabora con istituzioni pubbliche e centri di ricerca. In particolare, nel periodo 1989-1999 ha partecipato a gruppi di lavoro e commissioni istituite presso il Ministero delle Finanze e, nel 2006, ha presieduto la Commissione sulla tassazione dei redditi di capitale e finanziari diversi, istituita presso il Ministero dell’Economia. È membro fondatore del CAPP – Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Dal dicembre 2006 al luglio 2008 ha fatto parte del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate. È stata Viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali sotto il governo Letta. Attualmente è Sottosegretario al ministero dell'Economia. Redattore de lavoce.info.
Lunedì 24 ottobre. Il Consiglio dei ministri è terminato. Nulla di fatto. Il decreto sviluppo continua ad essere un oggetto misterioso. Una bozza è circolata nel pomeriggio, ripresa dalle più importanti testate nazionali. Conteneva una litania impressionante di condoni di tutti i tipi: riapertura dei termini per gli anni pregressi, regolarizzazione delle scritture contabili, accertamento con adesione per i periodi dimposta pregressi, definizione dei ritardati od omessi versamenti, definizione degli atti di accertamento e di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, definizione delle liti pendenti, definizione dei tributi locali, definizione agevolata ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, proroga di termini, definizione degli importi non versati, regolarizzazione di inadempienze di natura fiscale, proroga di termini. Tutti cumulabili. Alcuni anonimi.
In larga parte un déjà vu: la riproposizione, con pochi aggiornamenti, della lunga lista di condoni messi in atto con la legge finanziaria per il 2003.
La notizia è rimbalzata sui siti e nei notiziari. Il Governo ha smentito.
È un giallo? È lennesimo ballon dessai? Per saggiare lopinione di chi? Dei contribuenti o della propria maggioranza?
Non lo so. Quello che è certo è che una notizia di questo tipo, lasciata trapelare e poi smentita da un governo debole, indeciso e diviso, è unulteriore non indifferente elemento che ne mina la residua credibilità.
Lavevamo chiamata legge ad aziendam e questa definizione è stata fatta propria dalla stampa. Ci riferivamo alla norma contenuta nel decreto legge incentivi (n. 40/2010), che permetteva una rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni per le quali l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Il contribuente poteva estinguere la controversia che lo riguardava, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
Lavevamo chiamata ad aziendam perché le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliavano alla perfezione a un importante contenzioso pendente in Cassazione che riguardava la Mondadori. Limposta dovuta dall’azienda editoriale era pari a 173 milioni. Se si aggiungono interessi, indennità di mora e sanzioni, si trattava, secondo la stampa, di una somma di circa 350 milioni di euro. Grazie alla norma citata la controversia si è chiusa con il pagamento di 8,6 milioni.
Marina Berlusconi, Presidente di Mondadori ha rigettato linterpretazione di una legge ad aziendam: Non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi?
Chi aveva ragione?
Il senatore del Pd Giuliano Barbolini ha provato ad avere dal ministero dellEconomia tutte le informazioni necessarie a capire quante siano state davvero e per che importi le imprese che di questa norma si sono avvalse. Ci sono volute tre diverse interrogazioni.
La risposta del Ministero dellEconomia, per quanto limitata a solo alcuni aspetti, sembra abbastanza interessante. Le aziende che hanno utilizzato la norma sono state 67. Il costo complessivo che si è rinunciato a introitare a bilancio pubblico, nel caso di soccombenza della controparte, viene valutata in circa 226 milioni.
Se ne deduce che, poiché di questi 226 milioni 173 milioni riguardano la Mondadori, la vertenza Mondadori pesa per poco più del 75% del totale. Le altre 66 aziende, tutte insieme, contano per il restante 25%.
Si può o non si può parlare di legge ad aziendam?
Il condono fiscale è la legittimazione di un atto illecito, è un premio per chi ha violato le leggi, è un gettare la spugna da parte dell’amministrazione, è una delegittimazione delle imposte come strumento democratico di finanziamento della cosa pubblica. Rappresenterebbe un’ulteriore perdita di reputazione per il nostro paese, cosa di cui non abbiamo proprio bisogno. Non è neppure detto che assicuri un gettito allerario, né che aiuti i contribuenti in maggiore difficoltà.
In allegato la presentazione tenutasi, il 4 luglio 2011, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info
Il Governo ha approvato una bozza di legge delega per la riforma fiscale. Un documento costruito molto in fretta, con pochi ingredienti, dagli esiti distributivi e di gettito assolutamente incerti. Per rimpolparlo si è allora ricorsi al più classico “copia e incolla” dalla legge delega presentata da Tremonti nel 2001, approvata dal Parlamento nel 2003 e poi largamente non esercitata. Come se nulla, nel frattempo, fosse cambiato nel sistema fiscale erariale, regionale e locale. Il tema del fisco è delicato. Di improvvisazione e pressappochismo non c’è proprio bisogno.
Che cosa si può dire di unIrpef a tre aliquote: 20, 30 e 40? Niente.
Si tratta di uninformazione del tutto insufficiente. Se questa, come dice la stampa, è la proposta del ministro, bisogna ricordargli che si è dimenticato di dirci alcune cose importanti: come saranno articolati i tre scaglioni a cui applicare queste tre aliquote? Come saranno articolate le detrazioni di imposta per lavoro, pensioni e per carichi familiari?
Senza queste informazioni le tre aliquote non significano niente, ma proprio niente: possono dar luogo a infinite Irpef diverse.
Un esempio: supponiamo che il mio reddito lordo sia di 30.000 euro.
Se i primi due attuali scaglioni restassero invariati e il terzo ed ultimo partisse quindi da 28.000 euro, ci guadagnerei 20 euro. Se invece i primi due scaglioni venissero accorpati così come il terzo e il quarto; allora ci guadagnerei 1.520 euro: una bella differenza!
Ma se poi contemporaneamente la mia detrazione per lavoro dipendente venisse abolita, nel primo caso ci rimetterei 816 euro, mentre ne guadagnerei 684 euro nel secondo.
Di cosa discutiamo dunque?
Meglio aspettare una vera proposta articolata e motivata dellintera riforma fiscale e non solo del pezzo relativo allIrpef, di cui siano esplicitamente indicate le finalità e per la quale sia possibile valutare chi ci guadagna e chi ci perde, perché, dato che la riforma dovrà avvenire a parità di gettito, lunica cosa certa è che non potremo guadagnarci tutti.
Il decreto sviluppo interviene sui controlli amministrativi, non solo fiscali, operati da qualsiasi amministrazione, centrale e locale. Il tema della semplificazione dei controlli è molto caro alle imprese e l’intento del governo è ovviamente condivisibile, purché non vada a detrimento del rispetto delle regole. La norma però presenta difficoltà sia interpretative che di attuazione, affronta più la coda che la testa del problema e il suo impatto sulla crescita rischia di essere così incerto da sollevare dubbi sulla sua collocazione in un decreto con carattere di urgenza.
Il decreto milleproroghe contiene tra l’altro la revisione del regime di tassazione dei fondi comuni di investimento. Per rilanciare l’industria dei fondi italiani, rimettendo su un piano di parità la tassazione dei fondi interni con quella dei fondi comunitari armonizzati. Si tratta invece di una misura protezionistica a favore di un’industria debole. E il passaggio alla tassazione alla realizzazione per le sole gestioni collettive, senza intervenire sugli altri aspetti della tassazione del risparmio, rende il regime nel suo complesso ancora più sperequato.
Il “Sia” non è vecchia politica*
Di Maria Cecilia Guerra
il 07/01/2014
in Commenti e repliche
L’intervento di Chiara Saraceno sull’azione del Governo in materia di povertà plaude al significativo incremento delle risorse per il contrasto alla povertà, ma critica il fatto che ad esso continui ad accompagnarsi un intervento non solo frammentario, articolato cioè su più istituti, ma anche fortemente categoriale.
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