Con la manovra per il 2006 il Governo abbandona la politica dei tagli fiscali. Ma le scelte compiute sembrano, in larga parte, guidate dalla ricerca affannosa di entrate per fare quadrare i conti, purché turbino il meno possibile il sonno degli elettori. Comprendono la lotta all’evasione, la “tassa sui tubi” e una miscellanea di provvedimenti che insistono su campi già battuti. Nessuna modifica strutturale è stata messa in cantiere: né sul fronte dell’Irpef, dell’Ires, dell’Irap, né per quanto riguarda il possibile riordino della tassazione sulle “rendite” finanziarie.
Autore: Maria Cecilia Guerra Pagina 7 di 9
Ha conseguito l’M.Phil in Economics alla Cambridge University (UK). È dottore di ricerca in Economia Politica presso l’Università di Bologna; è docente di Scienza delle Finanze e Direttore del Dipartimento di Economia Politica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. Ha collaborato e collabora con istituzioni pubbliche e centri di ricerca. In particolare, nel periodo 1989-1999 ha partecipato a gruppi di lavoro e commissioni istituite presso il Ministero delle Finanze e, nel 2006, ha presieduto la Commissione sulla tassazione dei redditi di capitale e finanziari diversi, istituita presso il Ministero dell’Economia. È membro fondatore del CAPP – Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Dal dicembre 2006 al luglio 2008 ha fatto parte del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate. È stata Viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali sotto il governo Letta. Attualmente è Sottosegretario al ministero dell'Economia. Redattore de lavoce.info.
Interventi sul costo del lavoro, per il riequilibrio della tassazione relativa del lavoro e del capitale, a favore degli investimenti o delle piccole imprese e dei liberi professionisti: tutte le proposte di tagli all’Irap condividono due limiti. Comportano una perdita di gettito in un periodo difficile per i conti pubblici e rincorrono obiettivi a volte contraddittori, minando la coerenza del sistema tributario, senza un quadro coerente dei loro effetti distributivi e dei costi e benefici. Ma la vera questione resta la copertura delle perdite di gettito.
Sostituire l’Irap con un’imposta migliore non è facile. Lo dimostra l’insoddisfazione che circonda le proposte finora approntate. Ogni scelta impone di privilegiare un obiettivo a scapito di altri e si scontra con effetti redistributivi molto difficili da gestire politicamente. Sarebbe comunque opportuno evitare di moltiplicare le agevolazioni disperdendole su una miriade di microbiettivi. E prima di procedere con nuovi incentivi, andrebbero valutati con attenzione i costi e gli effetti dei sei interventi attuati sull’Irap negli ultimi sette mesi.
Dall’analisi dell’insieme delle imposte sulle imprese a carico del lavoro e del capitale emerge che il primo fattore produttivo risulta più tassato del secondo. Ma a ben vedere a essere fortemente sussidiati fiscalmente sono gli investimenti finanziati con debito. Un migliore equilibrio dovrebbe allora essere perseguito attraverso una maggiore neutralità nel trattamento fiscale degli investimenti piuttosto che aumentando indiscriminatamente la tassazione del fattore capitale. L’attenzione quindi non dovrebbe essere concentrata solo sull’Irap.
La bozza di decreto legislativo di attuazione della delega previdenziale interviene anche sulla disciplina fiscale del risparmio previdenziale. Il regime precedente era già generoso anche rispetto al modello classico e non è stato un ostacolo allo sviluppo della previdenza complementare. Il sistema ora proposto non risponde a un disegno razionale e accentua lagevolazione, specialmente nei confronti dei soggetti ad alto reddito. L’onere sul bilancio pubblico è spostato nel futuro, a carico dei Governi che verranno. Ciò contribuisce però a renderla più incerta.
La sostituzione dell’Irap pone problemi di gettito, distributivi e allocativi di estrema importanza e di non facile soluzione. Va perciò evitata l’improvvisazione normativa. Un’ipotesi è dividerla in due o più imposte, ciascuna delle quali riferita alle singole componenti della base imponibile. Una completa detassazione del costo del lavoro priverebbe l’erario di 12 miliardi di euro. Meglio allora escludere dall’imposta solo gli oneri sociali. Tanto più se il mancato gettito fosse recuperato con l’unificazione e l’inasprimento delle aliquote sulle rendite finanziarie.
Non sarà facile trovare un’alternativa all’Irap, la terza imposta del nostro ordinamento dopo Irpef e Iva. Un ritorno ai contributi sanitari sarebbe in contrasto con la filosofia della legge delega che indica come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap. Intervenire sull’Ires penalizzerebbe gli investimenti. Aumentare le addizionali regionali o l’Irpef è in contraddizione con i tagli fiscali promessi dal Governo. Le imposte indirette sono già cresciute con la Finanziaria 2005. Anche i suoi detrattori finiranno per rimpiangerla
Dopo l’emanazione del dovuto decreto che rincara alcune imposte fisse, il quadro sembra ancora più negativo per i contribuenti di quello tracciato all’indomani della presentazione del maxiemendamento. Se le previsioni di maggior gettito del Governo sono corrette, nel prossimo triennio gli italiani pagheranno in complesso più tasse. Se per vari motivi sono sovrastimate, o comunque di corto respiro, non garantiscono una copertura della riforma dell’Irpef a regime e una tenuta del disavanzo. Saranno allora inevitabili nuove imposte o un taglio delle spese.
La discussione sull’emendamento alla Finanziaria non sempre si basa su informazioni corrette. Non è vero, per esempio, che un effetto dell’emendamento è il raddoppio della no tax area per i lavoratori dipendenti con carichi familiari. Il contributo di solidarietà poi serve a mascherare la presenza di una quarta aliquota. Ed è comunque uno sgravio per i redditi oltre i 100mila euro. Difficilmente perciò potrà essere utilizzato per finanziare aumenti di deduzioni per le famiglie a basso reddito o per le badanti.
L’annunciata svolta epocale in campo fiscale non c’è. Anche accettando le cifre del Governo, la Finanziaria per il 2005 contiene un aumento delle imposte, non una loro diminuzione. Mentre sono andate deluse le aspettative delle imprese per misure sulla competitività, la manovra fiscale ben difficilmente potrà costituire il grimaldello che ci farà uscire dalla crisi economica. Mettendo così in discussione anche alcune voci di autocopertura. Né si sa bene cosa accadrà per studi di settore, revisione degli estimi e inasprimento sulle locazioni immobiliari.