Il periodo di competenza del Dpef appena varato si sovrappone quasi completamente alla prima fase degli impegni sulla riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti che l’Italia deve rispettare in base al Protocollo di Kyoto. Eppure, il documento non indica alcun intervento specifico in materia e si limita a generiche enunciazioni di principio. Mentre il ripetuto riferimento alle disponibilità di bilancio fa pensare che ancora una volta la lotta ai cambiamenti del clima sia una priorità subalterna. Un atteggiamento che potrebbe costarci molto caro.
Autore: Marzio Galeotti Pagina 14 di 16
Professore ordinario di Economia politica presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli studi di Milano. Dopo la laurea in Discipline economiche e sociali presso l’Università Bocconi di Milano ha conseguito il dottorato in economia (Ph.D.) presso la New York University di New York. È Direttore della ricerca scientifica della Fondazione Eni Enrico Mattei, dopo essere stato in passato coordinatore del programma di ricerca in modellistica e politica dei cambiamenti climatici. È Fellow del Centre for Research on Geography, Resources, Environment, Energy & Networks (GREEN) dell’Università Luigi Bocconi e Visiting Fellow presso il King Abdullah Petroleum Studies and Research Center (KAPSARC). È Review Editor del capitolo 4 (“Mitigation and development pathways in the near- to mid-term”), Sixth Assessment Report (AR6), IPCC WGIII, 2021. È stato fondatore e primo presidente dell’Associazione italiana degli economisti dell’ambiente e delle risorse naturali, è membro del comitato scientifico del Centro per un futuro sostenibile e della Fondazione Lombardia per l’Ambiente. È componente del comitato di redazione de lavoce.info.
Al Consiglio europeo di inizio marzo è stata definita una politica climatica ed energetica integrata. E’ passato il principio del “20-20-20”: l’Unione Europea si impegna a ridurre in modo indipendente del 20 per cento le proprie emissioni di gas-serra entro il 2020, a realizzare almeno il 20 per cento di consumo di energia con fonti rinnovabili e ad aumentare del 20 per cento l’efficienza energetica. Un fatto storico, che conferma il ruolo dell’Europa quale precursore nella lotta ai cambiamenti climatici.
Le solenni decisioni del Consiglio europeo di Bruxelles mirano a mitigare i cambiamenti climatici e allo stesso tempo a risolvere il problema della sicurezza dellapprovvigionamento. Una sfida che nessun paese europeo può ora eludere. La grande novità dell’accordo sono infatti i target vincolanti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Gli interrogativi su nucleare e biocombustibili. Sulla questione dell’efficienza energetica si è rimasti a livello di buone intenzioni, anche se il tema resta cruciale.
Oggi la Commissione europea adotta una Comunicazione al Consiglio dei capi di Stato e di governo e al Parlamento europeo denominata “Limiting Global Climate Change to 2 Degrees Celsius – Policy Options for the EU and the World for 2020 and Beyond”. Il suo punto di partenza è la constatazione che il cambiamento del clima è in atto. Interventi urgenti per contenerlo entro livelli tollerabili sono perciò necessari. Il testo della Comunicazione e lo studio di supporto riaffermano la volontà di intervento e la leadership europea nei confronti del fenomeno.
Le conclusioni del rapporto Stern potevano avere un impatto significativo sui tavoli del negoziato allannuale meeting Cop/Mop conclusosi qualche settimana fa a Nairobi. Invece, anche questa volta i progressi sono scarsi. Al solito, bisogna guardare al futuro. Anche se una lezione labbiamo imparata: al termine degli incontri ufficial-istituzionali aventi per tema il clima e i suoi cambiamenti vi sono sempre quelli che ne decretano il successo e quelli che ne bollano linsuccesso. A Nairobi quanti erano i primi e quanti i secondi?
Lanciare continui allarmi sui cambiamenti climatici può rivelarsi controproducente. Perché su fenomeni come questo il fattore incertezza regna sovrano. Anche il rapporto Stern fa dell’inutile allarmismo, quando parla di costi che possono arrivare fino al 20 per cento del Pil mondiale? Tre i punti critici: il tasso di sconto utilizzato vicino allo zero, la valutazione degli impatti e la conseguente stima del danno e limpiego di un solo modello di valutazione integrata. E’ un documento utile, ma lascia intatte le domande centrali della politica del clima.
La riforma della tassazione in senso ambientale del settore dei trasporti conosce un nuovo capitolo. A essere radicalmente cambiata è la tassa sui Suv, ora trasformata in un aggravio aggiuntivo del bollo auto commisurato alla potenza degli autoveicoli. Una nuova versione che va giudicata molto negativamente sia nel merito che nella forma. Perché rende manifesto il fatto che non si avevano le idee chiare. E perché le modifiche sono state guidate unicamente dall’esigenza di reperire risorse finanziarie aggiuntive, andando a prelevarle laddove la domanda è più inelastica.
La riforma della tassazione in senso ambientale del settore dei trasporti, tra i maggiori responsabili delle emissioni di gas-serra, è meritoria. Gli aumenti del bollo per i veicoli più inquinanti e gli incentivi alla loro sostituzione meritano lapprovazione dellopinione pubblica. Invece, la tassa sui Suv pare più motivata dalla retorica ecologista che dalla logica economica. Qualche dubbio sull’aver inserito i provvedimenti nella Finanziaria: la portata dell’operazione potrebbe risultare sminuita e degradata a corresponsabile di un’accresciuta pressione fiscale.
Presentato lo schema di disegno di legge in tema di energia. A parte la richiesta di deleghe per liberalizzazione dei mercati dell’elettricità e del gas, fonti rinnovabili e risparmio energetico, di misure concrete ve ne sono solo due. Una quanto mai opportuna: un fondo da utilizzare per le compensazioni ambientali a enti locali sedi di nuove infrastrutture. Mentre l’altra, la restituzione del fiscal drag energetico, era forse da rimandare. Sono comunque norme ben congegnate. Ma più decisi segnali sulla fiscalità energetica e la lotta ai cambiamenti climatici erano auspicabili.
In questa fase di turbolenza politico-istituzionale siamo invitati a ricordare che il primo nodo da sciogliere è la tenaglia della scarsa crescita economica e dello squilibrio dei conti pubblici che stringe l’economia italiana. A ciò si aggiunge la tegola dei record del prezzo del petrolio. Invece di ascoltare le non originali proposte di ridurre il prelievo fiscale sui prezzi dei carburanti, il nuovo Governo dovrebbe varare al più presto riforme di struttura, volte a liberalizzare il più possibile i mercati dell’energia. E riordinare l’intera tassazione del settore.