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Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell'European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica.
Il conflitto tra governo ed enti locali è ancora più aspro dopo le manovre estive. I provvedimenti equivalgono a circa il 12 per cento della loro spesa, sanità esclusa. Effetti probabili? Un aumento della pressione fiscale locale e un’ulteriore riduzione degli investimenti. Con il rischio che le manovre, oltre ad avere un impatto recessivo immediato, riducano anche il tasso di crescita potenziale dell’economia, il fattore fondamentale a cui si lega la sostenibilità del nostro debito pubblico. Le incertezze sui premi ai virtuosi. Novità positiva la regionalizzazione del Patto.
La crisi di credibilità in cui è sprofondata l’Italia, in larga parte per l’inconcludenza della sua classe politica, ha rimesso al centro del dibattito la legge elettorale. Ma bastano nuove norme che regolano l’elezione dei parlamentari a garantire una soluzione ai problemi istituzionali dell’Italia e a migliorare la qualità dei suoi politici? Uno studio sugli effetti della legge Mattarella, approvata nel 1993, un periodo che ha molte analogie con quello attuale, suggerisce di non farsi troppe illusioni.
I politici italiani sono riusciti ancora una volta a evitare una riduzione di stipendio, pur nel momento in cui approvavano una manovra con pesanti effetti sui cittadini. Non è che l’ultimo esempio della scarsa qualità della nostra classe politica. In un paese a democrazia matura, gli stessi elettori dovrebbero automaticamente punire i comportamenti devianti, costringendo così i partiti a selezionare con maggiore attenzione i candidati. In Italia è soprattutto la legge elettorale che lo impedisce.
La crisi greca è stata gestita davvero male e ha provocato un notevole aumento dei suoi costi. Ma il caso Grecia mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Che si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori, si deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore dell’attuale. Un primo passo potrebbe essere quello di affidare la gestione delle crisi debitorie a un organismo tecnico e indipendente.
Non accorpare i referendum alle elezioni amministrative ci è costato circa 70 milioni. Non proprio pochissimo in tempo di risorse scarse. Ma al governo è sembrato conveniente evitare l’effetto di trascinamento delle amministrative e sperare così di far fallire i quesiti per mancanza di quorum. Le conseguenze sono negative non solo sul piano finanziario, ma anche su quello della maturità democratica del paese. La soluzione è abbassare il quorum, collegandolo al tasso di partecipazione alle ultime elezioni politiche.
L’ultimo Consiglio Europeo potrebbe segnare una svolta importante nella riforma della governance economica europea, sebbene rimangano ancora rilevanti questioni da chiarire. Il nuovo Patto di stabilità richiederà un aggiustamento impegnativo all’Italia. Auspicabile una maggiore trasparenza sugli “altri fattori rilevanti” da considerare nel valutare il debito pubblico, coinvolgendo organismi tecnici indipendenti. Positiva l’estensione della vigilanza europea agli squilibri macroeconomici. Il futuro Esm avrà una governance politica e procedure onerose.
Le cronache milanesi narrano in questi giorni le vicende di un prestigioso liceo classico cittadino: un insegnante ha denunciato, tramite lettera, di essere stato costretto a chiedere il trasferimento ad altra scuola perché stanco delle pressioni di genitori urlanti, avversi alla sua giusta severità nel giudicare gli studenti. L’altra campana genitori, studenti attuali ed ex studenti del docente in questione sostiene che la realtà è ben diversa, che non ci si lamenta della severità quanto della casualità dei voti e dell’incapacità dell’insegnante di spiegare le sue materie.
Nel clima da derby che si è immediatamente creato, tra chi parla di irrimediabile degrado dell’istruzione pubblica e chi invece vede nella vicenda l’occasione per la difesa a priori della scuola statale contro ragazzini ricchi, viziati e svogliati, è difficile dire chi ha torto e chi ha ragione. Anzi, è praticamente impossibile, come sempre nella scuola italiana. Perché non esistono meccanismi di valutazione che permettano di distinguere i docenti competenti e appassionati da quelli incapaci e indifferenti. Avere insegnanti preparati è un diritto degli studenti (e delle loro famiglie) e un elemento imprescindibile per garantire quell’uguaglianza delle opportunità che è alla base di qualunque democrazia. Se i docenti italiani non si fossero sempre opposti a qualsiasi forma di valutazione del loro operato, oggi il loro ruolo e le loro capacità educative sarebbero decisamente messe meno in discussione. E di sicuro il Parini non si ritroverebbe sulle prime pagine dei giornali.
Per permettere un’ulteriore mediazione tra il governo e gli enti locali, il decreto sulla fiscalità municipale è stato parzialmente riscritto. Questo articolo è stato scritto e pubblicato su questo sito prima del voto negativo in Commissione di giovedì 3 febbraio e prende in considerazione il testo uscito dal confronto tra Governo e Comuni. Questa versione è più precisa sulla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ma risulta quantomeno discutibile il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata. L’aliquota Imu rimane fissata a livello centrale. I comuni hanno ottenuto lo sblocco dell’addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l’estensione dell’imposta di soggiorno.
Giorni di festa con i giornali pieni di stime degli effetti del federalismo sulle entrate dei comuni capoluogo di provincia italiani, con tanto di vincitori e vinti. Ma hanno senso questi numeri? Difficile rispondere. Il vero problema è l’ambiguità dello schema di decreto sul quale quelle stime si basano. Dice poco su quello che avverrà da qui al 2014 e nulla su quello che succederà dal 2014 in poi. Un nuovo esempio di federalismo annunciato, senza che i problemi siano veramente affrontati.
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