Le cronache milanesi narrano in questi giorni le vicende di un prestigioso liceo classico cittadino: un insegnante ha denunciato, tramite lettera, di essere stato costretto a chiedere il trasferimento ad altra scuola perché stanco delle pressioni di genitori urlanti, avversi alla sua giusta severità nel giudicare gli studenti. L’altra campana genitori, studenti attuali ed ex studenti del docente in questione sostiene che la realtà è ben diversa, che non ci si lamenta della severità quanto della casualità dei voti e dell’incapacità dell’insegnante di spiegare le sue materie.
Nel clima da derby che si è immediatamente creato, tra chi parla di irrimediabile degrado dell’istruzione pubblica e chi invece vede nella vicenda l’occasione per la difesa a priori della scuola statale contro ragazzini ricchi, viziati e svogliati, è difficile dire chi ha torto e chi ha ragione. Anzi, è praticamente impossibile, come sempre nella scuola italiana. Perché non esistono meccanismi di valutazione che permettano di distinguere i docenti competenti e appassionati da quelli incapaci e indifferenti. Avere insegnanti preparati è un diritto degli studenti (e delle loro famiglie) e un elemento imprescindibile per garantire quell’uguaglianza delle opportunità che è alla base di qualunque democrazia. Se i docenti italiani non si fossero sempre opposti a qualsiasi forma di valutazione del loro operato, oggi il loro ruolo e le loro capacità educative sarebbero decisamente messe meno in discussione. E di sicuro il Parini non si ritroverebbe sulle prime pagine dei giornali.
Autore: Massimo Bordignon Pagina 16 di 25
Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell'European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica.
Per permettere un’ulteriore mediazione tra il governo e gli enti locali, il decreto sulla fiscalità municipale è stato parzialmente riscritto. Questo articolo è stato scritto e pubblicato su questo sito prima del voto negativo in Commissione di giovedì 3 febbraio e prende in considerazione il testo uscito dal confronto tra Governo e Comuni. Questa versione è più precisa sulla gestione del Fondo sperimentale nella fase transitoria. Ma risulta quantomeno discutibile il dichiarato superamento di un sistema a finanza derivata. L’aliquota Imu rimane fissata a livello centrale. I comuni hanno ottenuto lo sblocco dell’addizionale Irpef, la maggiore compartecipazione sulle sanzioni e l’estensione dell’imposta di soggiorno.
Giorni di festa con i giornali pieni di stime degli effetti del federalismo sulle entrate dei comuni capoluogo di provincia italiani, con tanto di vincitori e vinti. Ma hanno senso questi numeri? Difficile rispondere. Il vero problema è l’ambiguità dello schema di decreto sul quale quelle stime si basano. Dice poco su quello che avverrà da qui al 2014 e nulla su quello che succederà dal 2014 in poi. Un nuovo esempio di federalismo annunciato, senza che i problemi siano veramente affrontati.
Da una parte il rischio che il prossimo Parlamento si trasformi in un’arena di rivendicazioni territoriali contrapposte. Dall’altra, nonostante la retorica federalista, un’azione di governo che deprime l’autonomia degli enti locali. Una buona idea è allora il federalismo a velocità variabile. Diamo maggiore autonomia, anche sul piano delle entrate, ai governi locali meritevoli di fiducia sulla base di parametri costruiti sui comportamenti passati. È un modo per incentivare tutti a migliorare, che in più permette di superare la frustrazione dei territori più efficienti.
È da aprile che il Ministero dell’Interno ha sospeso la fornitura in modalità download dei dati relativi ai bilanci dei comuni e delle province italiani, disponibili in precedenza sull’Osservatorio della Finanza Locale nel sito del ministero. I dati possono ancora essere scaricati, ma bisogna prendere i quadri di bilancio per ogni singolo comune o provincia e poi, se necessario, riaggregarli assieme. Per chiunque voglia fare analisi comparate sulla finanza degli enti locali italiani (ricercatori, funzionari e politici locali, semplici cittadini), uno spreco di tempo enorme, e tale spesso da rendere il lavoro semplicemente impossibile. A meno che non si abbia qualche “santo in paradiso”, nel caso concreto un qualche funzionario amico al ministero, che per pura cortesia si scarica di persona i dati e poi te li spedisce. Il ministero non ha offerto alcuna spiegazione per l’interruzione del servizio; si è inizialmente pensato a qualche problema tecnico, ma ormai sono passati sei mesi e neppure il più incapace dei tecnici avrebbe potuto metterci tanto. Da notare che esistono viceversa imprese private, che a pagamento, offrono banche dati complete e che risultano al momento molto gettonate.
Una delle frasi preferite del senatore a vita Giulio Andreotti è, come noto, che “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. Noi non vogliamo pensar male, ma la convergenza tra una riforma federale pasticciata e la scomparsa dei numeri che potrebbero consentire di valutarla solleva qualche interrogativo. Si noti anche che uno degli obiettivi della riforma federale, come evidenziato nella Relazione sul Federalismo Fiscale pubblicata il 30 giugno 2010 è proprio quello di “assicurare il completo scambio di informazioni e la piena trasparenza nel monitoraggio di azioni e risultati” . Ma il primo passo per consentire la trasparenza è proprio l’accesso universale al dato, senza il quale non c’è né monitoraggio né critica razionale possibile.
PONIAMO DUNQUE UNA SEMPLICE DOMANDA ALL’ONOREVOLE ROBERTO MARONI:
Signor ministro, quando pensa di rendere nuovamente accessibili a tutti gli interessati i dati sui bilanci degli enti locali?
La vera partita del federalismo fiscale si gioca sulla finanza regionale e in particolare sulla definizione dei costi standard nella sanità. Nel decreto presentato dal governo, il sistema di definizione del fondo sanitario e i meccanismi di riparto restano sostanzialmente quelli già in vigore da oltre dieci anni. E anche i nuovi costi standard-criteri di riparto sono gli stessi già adottati in passato. Mentre scompare il periodo di transizione. Si rischia così di favorire la conflittualità fra le Regioni e la discrezionalità della peggiore politica.
In allegato la presentazione tenutasi, il 15 settembre 2010, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info
Il federalismo solidale proposto da Fini a Mirabello sembra implicare costi standard più alti al Sud o addirittura definiti ai livelli delle Regioni meno efficienti. Così, il federalismo avrà costi molto elevati per le casse dello Stato. Non solo. Il nuovo partito si candida a essere un sindacato del territorio, con base nel Mezzogiorno. E le elezioni politiche potrebbero sancire una cesura territoriale delle rappresentanze politiche senza precedenti.
Con qualche giorno di ritardo rispetto all’approvazione da parte del Senato del maxi-emendamento alla manovra finanziaria, il servizio studi ha finalmente reso disponibile la tabella riassuntiva sugli effetti degli emendamenti sui saldi e la composizione del provvedimento originariamente presentato dal governo. I senatori hanno così votato al buio, non avendo a disposizione le informazioni essenziali per orientare il proprio voto.
Qui sotto riproduciamo la nuova tabella e la compariamo con quella predisposta all’atto del varo del decreto 78 del 31 maggio 2010.
Tremonti ha vinto il braccio di ferro con i governi locali: i tagli complessivi a carico degli enti territoriali restano invariati. Sarà però la Conferenza Stato-Regioni a decidere sul riparto dei sacrifici. Si tratta di un’eccellente mossa strategica da parte del governo. L’onere delle decisioni viene ora ribaltata su Regioni e comuni. Se non riusciranno a trovare un accordo, il governo potrà sempre scaricare su di loro la responsabilità politica degli interventi. I probabili vincitori e perdenti.