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Autore: Massimo Bordignon Pagina 19 di 25

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Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell'European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica.

COSA CI SARÀ DOPO LA CRISI

E’ la peggiore crisi dagli anni Trenta. Ma è utile guardare più lontano nel tempo, per capire le possibilità del nostro paese, che oltretutto ha beneficiato meno della crescita precedente. Aumenteranno disavanzi e debiti pubblici, in particolare nei paesi avanzati. Si ridurrà la domanda Usa ed è illusorio contare sulla Cina per riavviare un modello fondato sulle esportazioni. Servirebbero una politica fiscale sempre più europea e riforme strutturali. Difficili da realizzare. Ma l’alternativa è una progressiva emarginazione dell’Europa. E dell’Italia.

LA CRISI NEL VOTO DEGLI ITALIANI

Al contrario di quanto accade in altri paesi, in Italia la crisi economica rafforza il governo, almeno per il momento. Le intenzioni di voto indicano che sono proprio le categorie più colpite, e soprattutto i giovani, ad affidarsi a Silvio Berlusconi. Dopo le elezioni, il governo non potrà dunque ignorare il segnale mandato dal settore più sofferente, ma anche più dinamico, della società. Non è il momento delle strategie dei due tempi: bisogna fare subito le riforme, per migliorare le condizioni delle giovani generazioni.

UN ANNO DI GOVERNO: FEDERALISMO

I PROVVEDIMENTI

Che è successo nel primo anno del IV governo Berlusconi ai rapporti finanziari tra governi, o per dirla più semplicemente al federalismo fiscale? Nulla di nuovo rispetto al Berlusconi II e III. Allora come ora, dichiarazioni eclatanti a favore del decentramento e del federalismo, fatte apposta per far contenti pezzi della maggioranza, si sono accompagnate a comportamenti concreti che vanno esattamente nella direzione opposta.

Dal lato delle entrate:

Si è abolita lÂ’Ici sullÂ’abitazione principale, il più importante tributo comunale (costo stimato: 1,7 miliardi di euro). La cancellazione dell’imposta contrasta con il principio dellÂ’autonomia tributaria sancito dalla Costituzione. E se anche fosse vero che le perdite di gettito saranno interamente coperte da trasferimenti, del che c’è da dubitare, almeno a sentire i sindaci che ancora aspettano di vedere i soldi, il risultato non è ovviamente lo stesso in termini degli incentivi.
Sempre in contrasto con l’obiettivo dell’autonomia tributaria, il Dl 93/2008, come l’analogo intervento deciso nel 2002, ha bloccato la possibilità di introdurre variazioni nell’addizionale comunale all’Irpef, così come dell’addizionale regionale sull’Irpef e sull’Irap. (1)
Ironicamente, la Ruef (aprile 2009) attribuisce il blocco dei tributi locali al desiderio di “sostenere i redditi e di ridurre la pressione fiscale”. Peccato che il blocco e la riduzione dell’Ici siano stati introdotti a pressione fiscale invariata, cioè con l’aspettativa che i due interventi saranno finanziati interamente da incrementi nei tributi erariali.

Dal lato delle spese:
Nell’ambito della manovra sulle spese per il 2009-2011, il contributo più rilevante al risanamento è stato richiesto agli enti locali, attraverso il patto di stabilità interno, con risparmi di spese correnti stimati in 3,4 miliardi di euro nel 2009, 5,5 nel 2010 e 9,5 nel 2011, somme che rappresentano circa il 40 per cento dei risparmi complessivi in ciascun anno. Per avere un punto di riferimento, i risparmi delle spese statali (per la parte corrente) sono stimati in 3, 3,5 e 6,3 miliardi di euro rispettivamente. Naturalmente, è tutto da vedere se questi risparmi di spesa siano conseguibili, soprattutto alla luce della presente crisi economica.
È stata fortunatamente messa da parte la proposta del Consiglio regionale della Lombardia sull’attuazione dell’articolo 119 del Titolo V della Costituzione (cosiddetta bozza Formigoni), nonostante che questa fosse enfaticamente prevista nel programma elettorale del Partito delle libertà. Al suo posto, è stata invece approvata definitivamente dal Parlamento la legge delega “Calderoli”, che riprende in molte parti l’analogo provvedimento presentato dal governo Prodi. La legge delega è piena di buoni principi, molto vaga e contraddittoria in alcune parti. Comunque, richiederà diversi anni per essere pienamente applicata. E nel frattempo?

(1) Se sarà davvero così. Il blocco della addizionale Irpef ha infatti scatenato un contenzioso tra Stato e comuni, che reclamano il diritto di portare avanti gli incrementi decisi nel 2008 per gli anni successivi e già iscritti nei bilanci di previsione. Per il momento, la Corte dei conti ha dato loro ragione. Si aspetta di vedere se il governo farò ricorso.

SENZA NUMERI NON C’E’ FEDERALISMO

Le norme sul federalismo fiscale sono assai complesse e non sarà facile attuarle. Ma se si vuole davvero mettere su un binario corretto il dibattito, la prima cosa da fare è predisporre un quadro di riferimento quantitativo condiviso dei dati disponibili. Bisogna costruire al più presto un sistema informativo appropriato sui dati territoriali, che consenta di raccordare le informazioni che arrivano dalle diverse fonti, spesso contraddittorie tra di loro. Un’operazione di questo tipo accelererebbe l’avvio del federalismo molto più di qualunque legge delega.

QUESTO FEDERALISMO NON HA I NUMERI

In un immaginario dialogo, un discepolo ingenuo pone al suo illuminato Maestro alcune domande all’indomani dell’approvazione in Italia di una importante legge delega. Si scopre così che il federalismo fiscale è un elettrone, che aspetta di essere osservato. E per questo, il grande sacerdote si rifiuta di dare i numeri. Mentre le vie dell’opposizione sono imperscrutabili come le stelle. Ma la grande riforma risponde perfettamente alle esigenze della comunicazione politica.

RISORSE E RILANCIO DELLA SCUOLA

I confronti internazionali dimostrano che la scuola italiana ha bisogno di serie riforme strutturali. Non di tagli indiscriminati e politiche pasticciate. Ma il rilancio del sistema scolastico richiede ingenti risorse. Illusorio pensare che si possano trovare somme aggiuntive rispetto a quelle già elevate che vi si spendono. Eliminando le numerose inefficienze gestionali e organizzative del servizio, che producono un elevato rapporto docenti studenti, si potrebbero risparmiare fondi da reinvestire nell’istruzione. Oltretutto con costi sociali limitati.

A SCUOLA D’INVESTIMENTI

Per l’edilizia scolastica, e più in generale per l’istruzione, risorse scarse e mal distribuite. Ma dove trovare i soldi per gli investimenti? Le scuole italiane sono in cattivo stato anche perché sono troppe. Si potrebbe cominciare a chiudere i plessi inefficienti. Non con le imposizioni, ma attraverso una più corretta gestione dei rapporti finanziari tra livelli di governo. Parte dei risparmi dovrebbe rimanere all’ente locale per essere reinvestiti nel settore scuola. Necessaria una mappa efficiente dell’organizzazione del servizio scolastico sul territorio.

 

LA SCUOLA DEI TAGLI SENZA UN PROGETTO

Condivisibile l’obiettivo di una riduzione del personale e di una riorganizzazione della rete delle scuole. E probabilmente ragionevole una revisione degli orari di insegnamento almeno negli istituti professionali. Ma nel piano del governo manca un progetto educativo e non c’è alcuna valutazione delle conseguenze dei provvedimenti decisi. Sembra emergere solo la necessità di far cassa rapidamente. Gli stessi risultati si potevano ottenere con interventi alternativi, che non avrebbero colpito altrettanto pesantemente e casualmente l’offerta didattica. Il problema del sostegno.

LA REPLICA ALL’UFFICIO STAMPA DELLA REGIONE SICILIA

La puntualizzazione della Regione Sicilia puntualizza ben poco. I confronti sulla spesa statale non sono molto sensati, perché ciò che è funzione statale in una Regione a statuto ordinario è spesso funzione regionale in una Regione a statuto speciale, a seconda di ciò che stabiliscono i vari statuti di autonomia. C’è dunque sempre tendenzialmente meno spesa statale nelle Regioni a statuto speciale (tendenzialmente zero per esempio in Trentino o Val dÂ’Aosta), anche se queste Regioni comunque ottengono ingenti finanziamenti dallo Stato (sotto forma di trasferimenti o compartecipazioni al gettito di tributi erariali). Il nostro dato sui trasferimenti è preso da elaborazioni ISSiRFA sui bilanci regionali del 2006 (la tabella relativa è acclusa qui sotto), che mostrano appunto come la Sicilia ottenga il 20% dei trasferimenti complessivi alle Regioni italiane, oltre ché il 12,5% del gettito dei tributi erariali totali partecipati alle Regioni. Sulle accise sugli oli combustibili, invece, è vero che le Regioni ordinarie hanno a disposizione una compartecipazione sul gettito dellÂ’accisa riscossa nei propri territori, le altre Regioni speciali ne prendono una parte più o meno elevata sulla base dei propri statuti di autonomia e la Sicilia invece non riceve nulla. Ma questo conferma esattamente il punto del nostro articolo. Se si vuole fare per bene il federalismo fiscale bisogna avvicinare, non allontanare, il sistema di finanziamento delle due tipologie di Regioni, ordinarie e speciali, se necessario riconoscendo, in un quadro unitario e coerente, risorse ulteriori alle Regioni che svolgono compiti ulteriori. Non si devono creare ulteriori “specialità” (perché alla Sicilia sì e all’Emilia Romagna e alle Marche no?) e soprattutto non si devono creare solo per far contento un alleato di governo, oltretutto in spregio agli stessi principi di territorializzazione dei tributi inseriti in un altro punto della legge delega (si confronti lÂ’art.5 con lÂ’art.20 dellÂ’ultima bozza Calderoli). Quanto reggerebbe, al mutare delle alleanze politiche e dei governi, una devoluzione di risorse basata su un principio così palesemente ingiustificato?

Regioni a statuto speciale: composizione delle entrate (2006, milioni di euro)

FEDERALISMO AD PERSONAM

Le riforme istituzionali si dovrebbero fare avendo in mente il futuro del Paese. In Italia si fanno con in mente il futuro del governo, per tenere buoni tutti i partiti della coalizione. E’ il caso dell’articolo 20 della Bozza Calderoli sul federalismo fiscale. Una norma pensata per Raffele Lombardo e il suo MPA. Una norma che sfugge ad ogni razionalità  economica e giuridica. Vediamo perché.

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