Pur di fare cassa, i governi continuano a calpestare i criteri che la perequazione delle pensioni deve rispettare. Le risorse devono arrivare da un’età media al pensionamento più consona al paese col maggior quoziente di dipendenza old age nell’Ocse.
Autore: Mirko Bevilacqua
Ricercatore presso l’Ufficio Studi e Ricerche di Inarcassa. È stato docente a contratto di Economia e Statistica presso l'Università degli Studi di Cassino, dove ha conseguito il titolo di “Dottore di ricerca in Scienze Economiche” nel 2009. Ha lavorato presso il Dipartimento Ricerche della «Swedish Social Insurance Agency» ed è autore di articoli per riviste scientifiche e book review su tematiche previdenziali.
La crisi non aiuta i montanti contributivi, già colpiti dalla precarietà del lavoro e dal declino demo‑economico. Vanno corretti gli errori del sistema contributivo, con un calcolo più severo dei coefficienti e l’abbandono dell’indicizzazione ai prezzi.
Anche in versione “quota 100”, la pensione d’anzianità resta insostenibile e iniqua. Lo è nella componente retributiva e in quella contributiva. Perciò il lento passaggio dal regime retributivo a quello contributivo non potrà migliorarne la pagella.