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C’era una volta la perequazione automatica delle pensioni

Pur di fare cassa, i governi continuano a calpestare i criteri che la perequazione delle pensioni deve rispettare. Le risorse devono arrivare da un’età media al pensionamento più consona al paese col maggior quoziente di dipendenza old age nell’Ocse.

Il sistema contributivo resta una chimera

Il sistema contributivo italiano meriterà il nome che porta sol quando ne saranno corretti gli errori e colmate le lacune, come è stato nuovamente ricordato qui e qui. Fra le lacune c’è l’assenza di un meccanismo di perequazione coordinato coi coefficienti di trasformazione, che priva questi ultimi di ogni fondamento attuariale.

A 28 anni dalla riforma Dini, occorre ammettere che le intelligenti complessità del modello contributivo sono un passo troppo lungo per le gambe corte della politica italiana, e che la prospettiva di un ravvedimento appare improbabile. Il calcolo contributivo della pensione sembra quindi insensatamente destinato a convivere con una perequazione “indipendente” scelta dai governi. Meno peggio sarebbe se la scelta rispettasse almeno alcuni “buoni criteri”.

La good practice della perequazione

In primo luogo, la perequazione deve essere “automatica”, come si diceva una volta per significare l’annuale ripetizione di una regola certa, stabile nel tempo, su cui pensionati e lavoratori possano programmare il futuro.

In secondo luogo, deve essere uniforme, cioè indipendente dall’importo della pensione. Infatti, la perequazione differenziata, minore per le pensioni più alte, è incoerente con la regola di calcolo perché appiattisce le differenze da questa volute in ragione della definizione di “merito” adottata (che nel sistema contributivo fa riferimento ai contributi versati).

In terzo luogo, la perequazione deve essere positiva in termini reali per contrastare le “pensioni d’annata”, cioè l’impoverimento dei pensionati più vecchi rispetto ai più giovani. Per spiegare il fenomeno, si osservi che (anche nel sistema contributivo) le nuove pensioni tendono a crescere in linea con i salari. In uno scenario di lungo periodo “normale”, in cui questi ultimi aumentano annualmente dell’1,5 per cento oltre l’inflazione, la perequazione ai soli prezzi produce quindi l’effetto che, a parità di carriera lavorativa, le pensioni decorrenti da un anno superano dell’1,5 per cento quelle decorrenti dall’anno precedente. E, fatto 100 il valore delle ultime pensioni liquidate, quelle vecchie di dieci, venti o trent’anni sono condannate a valere, rispettivamente, 86, 74 o 64. Inutile dire che tali disparità inter‑generazionali si aggravano nel caso che la perequazione non garantisca neppure il recupero dell’inflazione.

Se correttamente implementato, il sistema contributivo può rispettare tutti e tre i criteri.

Il panorama internazionale

Nei 21 anni che vanno dal 2000 al 2020 i paesi Ocse, diversi dall’Italia, hanno perlopiù rispettato la good practice appena ricordata (Oecd Pensions at a Glance, 2021). Infatti, la perequazione è stata discrezionale solo in Irlanda, dove tuttavia ha continuativamente garantito l’aggancio delle pensioni ai salari, e in Austria dove, in realtà, è stata “semi‑automatica” nel senso che al recupero automatico dell’inflazione si sono discrezionalmente aggiunti incrementi reali riservati alle pensioni più basse.

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Inoltre, la perequazione differenziata ha trovato moderata applicazione solo in Portogallo e Lettonia, oltre che in Austria entro i limiti ricordati. Infine, nell’insieme dei paesi Ocse, la perequazione è stata mediamente positiva in termini reali superando l’inflazione di 0,8 punti percentuali, pari alla metà della crescita reale dei salari (1,6%).

Il caso italiano

In Italia, la perequazione non è più automatica da decenni. Infatti, è affidata all’oracolo della legge di bilancio che, alla fine d’ogni anno, rivela ai pensionati la sorte che li aspetta nel nuovo. L’OCSE osserva che l’instabilità delle regole “genera incertezza e mina la fiducia nel sistema” (OECD, Pensions at a Glance, 2023). Inoltre, è sempre più differenziata e, mediamente, sempre più negativa in termini reali.

Della differenziazione nel biennio 2023‑24 si occupano le colonne (1)‑(6) della tabella 1. La colonna (1) elenca le sei classi d’importo, espresse in termini del trattamento minimo, in cui la legge di bilancio in itinere distingue le pensioni in essere alla fine del 2023. La colonna (2) traduce le classi in euro mensili netti al solo scopo di aiutare il lettore‑pensionato a individuare la propria. La colonna (3) mostra le perequazioni riservate alle pensioni di ciascuna classe in base alla pasticciata tecnica “per fasce” (anziché “per scaglioni”) inaugurata dal governo Letta nel 2013 e discussa qui. La colonna (4) indica le perequazioni perlopiù subite nel 2023 dalle stesse pensioni (eccetto quelle non ancora liquidate o retrocesse dalla fascia superiore), mentre la colonna (5) misura le perequazioni composte complessivamente subite nel biennio, che dal 13,94 per cento della prima classe, precipitano al 3,81 per cento della sesta.

In forza di tali differenze, le pensioni comprese nelle classi dalla seconda alla sesta si svalutano, rispetto a quelle comprese nella prima, come indicato nella colonna (6). La svalutazione raggiunge l’8,89 per cento per la sesta classe, nel senso che di tale percentuale si riduce il rapporto fra una (qualsiasi) pensione della sesta classe e una (qualsiasi) della prima. Si ferma invece al 7,80 per cento per la quinta classe, al 6,58 per cento per la quarta, al 5,84 per cento per la terza e all’1,88 per cento per la seconda. L’argomento che le “pensioni d’oro” meritano di essere svalutate deve fare i conti con gli argomenti contrari ricordati qui.

Tabella 1

Riguardo alle pensioni d’annata, la figura 1 fotografa il valore medio a dicembre 2022 di quelle decorrenti dagli anni 1981‑2020. Le decorrenti dal primo quinquennio (204 mila sopravvissute a dicembre 2022) valgono mediamente la metà di quelle decorrenti dall’ultimo. Nonostante altre concause, tali disparità intergenerazionali sono principalmente dovute all’insufficienza della perequazione seguita alla riforma Amato del 1992.

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Le colonne (7)‑(9) della tabella mostrano che l’insufficienza si aggrava drasticamente nel biennio 2023‑2024, dove la perequazione reale raggiunge i minimi storici indicati nella colonna (7) per l’anno 2024 e nella colonna (8) per l’anno 2023. Le perequazioni reali composte, in colonna (9), mostrano che, nel biennio, le pensioni della sesta classe perdono oltre un decimo del loro valore reale, quelle della quinta poco meno del 9 per cento, quelle della terza e quarta circa il 7 per cento e quelle della seconda oltre il 2 per cento.

Figura 1

Dove trovare le risorse

L’anomalia della perequazione ne finanzia implicitamente un’altra, rappresentata dalle tante forme di anticipazione del pensionamento, prima fra tutte la pensione d’anzianità che è tanto radicata nella tradizione previdenziale italiana quanto priva di riscontri internazionali. Nel 2022 le anticipazioni sono state il 61,67% delle pensioni old age liquidate ai dipendenti privati e pubblici, mentre l’età media dei beneficiari è stata di 61,55 anni (INPS, Monitoraggio dei Flussi di Pensionamento).

L’OCSE osserva che i pensionamenti anticipati “contribuiscono alla seconda più alta spesa pensionistica tra i paesi membri, pari al 16,3% del PIL nel 2021“. E che, “pur essendo l’aliquota contributiva molto elevata, il gettito si ferma all’11% rendendo necessari sostanziosi finanziamenti dalla fiscalità generale” (Pensions at a Glance, 2023).

Sembra diffusa la convinzione che l’avvento del sistema contributivo cambierà questo stato di cose e permetterà di conservare la pensione d’anzianità compensandone la superiore durata con coefficienti di trasformazione inferiori. In realtà, la compensazione è impedita dai tecnicismi spiegati qui (Lavoce.info del 04/02/2020), cosicché la pensione d’anzianità continuerà a pregiudicare l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico. Sarà anche contraria all’interesse generale del paese impedendo che gli occupati ultrasessantenni possano contrastare la riduzione dei più giovani causata dalla natalità in calo. A tal proposito, l’OCSE osserva che i pensionamenti anticipati “comportano tassi di occupazione molto bassi dopo i 60 anni, e che questa sarà una sfida crescente perché la popolazione italiana in età lavorativa diminuirà di oltre un terzo entro il 2060“.

Noncurante di tutto ciò, l’agenda del governo prevede “Quota 41” entro la legislatura.

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21 commenti

  1. Fausto Tagliabue

    Speriamo che i sindacati pensionati leggano questo articolo e ne traggano le conseguenze; altrimenti saranno tutte cause legali.

    • Firmin

      Come ho suggerito altrove, le riforme con effetti di lungo periodo, come quelle delle pensioni, dovrebbero seguire l’iter delle leggi costituzionali invece di essere lasciate in balia delle esigenze di cassa di governi che restano in carica al massimo 5 anni e quindi hanno un orizzonte medio operativo di 2.5 anni, ovvero circa un decimo della durata di una pensione media. La distorsione evidenziata nell’articolo è amplificata dal mancato recupero del fiscal drag, che colpisce duramente le pensioni medio-alte dei dipendenti, ma non degli autonomi in regime di flat tax. Al di là degli aspetti etici, questi meccanismi aumentano la “disaffezione” verso il lavoro dipendente e verso l’accumulo di contributi tramite un lavoro regolare, che a sua volta peggiora l’equilibrio economico della previdenza pubblica e richiede ulteriori tagli alle pensioni. Un vero capolavoro per un paese che soffre di forti squilibri nei conti pubblici, di un eccesso di microimprese poco produttive e di un livello di evasione inaccettabile. Quanto all’innalzamento dell’eta di pensionamento, mi chiedo chi terrebbe al lavoro o assumerebbe un ultra 75enne come in Olanda e nei paesi scandinavi e soprattutto chi si farebbe “servire” da una persona di quella età.

    • Foresta

      Ma tutti i ricorsi di cui si parlava a che punto sono hanno qualche possibilità di avere una risposta dalla corte costituzionale o sono persi in partenza come i precedenti ?

    • Carlo

      Quali sono i sindacati che tutelano i pensionati?
      Dove sono, cosa fanno, cosa hanno fatto finora?

      Le tutele vanno prevenute e non combattute dopo che sono state violate.

  2. Michele

    Facciamo ricorso contro queste ingiustizie. Se si apre una sottoscrizione sono sicuro che si otterrà un grosso risultato. Per quello che posso sono disponibile

    • Francesco Ventura

      Concordo pienamente sul ricorso .Quello che stanno facendo sulla perequazione delle pensioni è palesemente incostituzionale.siamo tanti , se avessimo una rappresentanza vera con i numeri che abbiamo saremmo forza di governo

    • Foresta

      Io sono d’accordo per per ricorrere a un ricorso contro questa ingiustizia . Foresta

  3. Marco

    Possiamo dire e fare quello che ci pare, il politico italiano cercherà sempre e solo il consenso. Cioè la poltrona.

  4. Mandala Antonino

    Perché i contribuenti che hanno versato 10/12 anni di contributi ante 96 sono stati dimenticati. La maggior parte di questi contribuenti sono donne che hanno lavorato come braccianti agricoli ante 96 non hanno più lavorato per svariati motivi Possibile che non si trova una formula per mandarli in pensione ? Perché sono stati esclusi pure compiendo 71 anni di età. Mi sembra una cosa assurda che condanna pesantemente queste persone. Grazie anticipate per la vostra disponibilità.

  5. Vito paolisso

    La pensione dovrebbe essere pagata in base ai contributi versati…. Questa è una vergogna basta che un pensionato supera i 28 mila euro lordi all ‘anno sulla 13 ma perde oltre 160 euro.. Ma che scherziamo.

  6. paolo

    Urge spiegare all’autore dell’articolo che quello italiano di questi decenni non è affatto uno “scenario normale” in cui i salari tutti gli anni salgono dell’1,5% più dell’inflazione (risate preregistrate in sottofondo).
    Come noto infatti l’italia è l’unico paese dell’OCSE in cui i salari in termini reali negli ultimi decenni sono addirittura diminuiti, e in cui decine di milioni di lavoratori (per non dire semplicemente “tutti”) scontano anni e anni di ritardo nei rinnovi contrattuali.
    Tanto è vero che l’analisi delle pensioni future è dominata dalla questione “previdenza integrativa” della quale chi è in pensione con il retributivo non sente alcuna necessità, perchè sono invece le pensioni contributive che verranno, a essere talmente miserevoli da dover essere integrate, altro che più alte di quelle di chi è venuto prima.
    E la politica brutta e cattiva che non alza l’età pensionabile: d’accordo, lo fa perchè le classi più anziane vanno a votare in percentuali molto più alte delle giovani. ma forse per una volta non ha nemmeno tutti i torti, a non pretendere di mantenere competitivo un paese con lavoratori settantenni a confronto con l’esercito dei venti-trentenni indocinesi.

  7. Giovanni

    La compattezza dei pensionati potrebbe produrre cose positive. Sono percorsi complicati e sentieri stretti, Ma uniti si può cambiare

  8. Gaetano

    Mi sembra evidente che non si può affidare un sistema previdenziale agli appetiti dei governi di turno. L’unica soluzione praticabile è la conversione dei contributi versati in comuni titoli del debito pubblico indicizzati all’inflazione, il cui rendimento non può essere tagliato arbitrariamente senza suscitare la reazione violenta dei mercati finanziari, che è molto più efficace e rapida di leggi e tribunali.

  9. Armando Manieri

    Condivido appieno le considerazioni riportate. Si consideri inoltre, per quanto attiene l’ultimo biennio, che la ridotta perequazione sulle fasce più alte viene introdotta da un Esecutivo che si è sempre mostrato favorevole all’introduzione della flat tax. Mi pare ovviamente una contraddizione in termini.

  10. Semproni Serio

    È un affronto! Mi ricorda il marchese del grillo! Mettessero energie a stroncare l’ evasione fiscale, rivisitare le elusioni in essere, riequilibrare il dumping fiscale esistente e CONTROLLARE COME: MONETA ELETTRONICA ( DETERRENTE PER PROVVISTA LIQUIDA A SCOPO CORRUTTIVO, RICICLAGGIO) COMPARARE IL TENORE DI VITA CHE HANNO Le PERSONE FISICHE, BILANCI SOCIETARI DI QUALSIASI FORMA, AMMINISTRATORI DI S.R.L. NON PIÙ NOVANTENNI E NULLATENENTI.
    IL RISPETTO DEGLI EQUILIBRI
    BILANCIO SARÀ PIU AGEVOLE E SOPRATTUTTO PIU EQUITÀ SOCIALE. CERTO NEL CONTESTO ATTUALE È UNA IMPRESA TITANICA, E TRALASCIANDO LA GLOBALIZZAZIONE GESTITA IN MODO PESSIMO CHE HA IL SUO PESO!
    AVEVA RAGIONE TOTÒ: LA SOMMA LA FA’ IL TOTALE!

  11. Massimiliano Grana

    Buongiorno,
    a mio parere in un sistema contributivo chi versa di più, ha nella vita lavorativa un reddito maggiore e quindi avrebbe la possibilità di avere un avanzo alla fine del mese maggiore di chi ha uno stipendio basso.
    Che vi sia una perequazione maggiormente negativa al crescere della pensione, è una forma di redistribuzione dei redditi, salvaguardando le pensioni più basse.
    Non ho mai votato a sinistra, nonostante questo la mia opinione è che le pensioni dovrebbero essere uguali per tutti indipendentemente dal reddito avuto precedentemente. Chi ha avuto un reddito basso non si vedrebbe penalizzato da un reddito povero, chi ha avuto un reddito alto se volesse mantenere il suo tenore di vita invece di sperperare, si troverebbe a dover risparmiare investendo per poter integrare la pensione.

  12. bob

    “Il sistema contributivo italiano meriterà il nome che porta sol quando ne saranno corretti gli errori e colmate le lacune..” Aggiungerei le vergogne….
    Questa cosa diciamo? A me sembra molto molto più grave:
    Ci sono centinaia di migliaia di persone “con età avanzata” che hanno versato 18-19 anni di contributi presso la cassa di previdenza integrativa ENASARCO (+ gli anni versati all’ INPS), e che oggi vivono con indignitose pensioni erogate dall’INPS, costretti a rivolgersi ai servizi sociali per avere dei supporti di sopravvivenza, pur avendo versato ingenti somme di denaro nelle casse della previdenza integrativa, senza avere la corresponsione in diritto”.
    Questa tematica non e complessa come si vuol far credere; allungando i tempi per la risoluzione del caso, farà un danno alle casse dello Stato, se le istituzioni non interverranno immediatamente; perché questo problema verrà certamente riconosciuto nel diritto. Secondo i bilanci tecnici 2014-2017 della fondazione Enasarco, i soggetti silenti tra quelli in vita e gli eredi sono 692.000, che hanno versato nelle casse previdenziali ENASARCO circa 9,2 miliardi di euro, somme che lo Stato se ne farà carico in base all’arti. 28 della Costituzione.

    9,2 miliardi di euro sono una finanziaria di Governo

  13. ANGELO PARINI

    Ho sinceramente delle difficoltà nel condividere alcune delle tesi dell’articolo. Se, come sostenuto, in Italia si va in pensione prima che in altri paesi significa che i pensionati hanno avuto dei benefici prima di quanto avrebbero dovuto. Personalmente se mi fosse permesso sceglierei di andare prima in pensione rinunciando a parte degli aumenti futuri. Ovviamente il mio è un discorso valido sempre che la pensione che ricevo e riceverò mi permetta di vivere e non di sopravvivere. Trovo inoltre corretto che chi ha pensioni più alte abbia aumenti più bassi. Ha avuto maggiori entrate durante la vita lavorativa. Ha probabilmente accantonato di più, se ora gli vengono limitati in parte gli aumenti, non mi sembra un problema, vivrà comunque meglio di gran parte degli altri pensionati e anche di gran parte dei lavoratori. Se non sbaglio anche durante la vita lavorativa chi ha redditi maggiori ha tassazione più alte. Non è forse previsto dalle nostre leggi? E una perequazione differenziata potrebbe essere considerata alla stessa stregua. Anche le “pensioni d’annata” mi sembrano un falso problema. E’ forse triste da pensare, ma è reale, più si va avanti con l’età e più le necessità economiche si riducono. Aumentano forse le necessità d’assistenza o mediche, e qui dovremmo parlare di sanità e non di pensioni, ma altre tipologie di spese probabilmente no. A tutti piacerebbe avere la botte piena, la moglie ubriaca e magari un paio di bottiglie di vino da portare quando si viene invitati a cena. Ma se non si può avere tutto bisogna scegliere. Credo che il problema sia avere delle pensioni che permettano di vivere dignitosamente, cosa che molti pensionati non hanno. Risolviamo questa questione e poi penseremo anche ad una precisa perequazione e a tutto il resto.

  14. Lorenzo Luisi

    Approfittando dello stordimento generale, delle necessarie riforme degli anni ’90, ne hanno approfittato, con ampi consensi, i governi di Berlusconi e dei populisti successivi (Salvini – Conte).

  15. Antonio

    Che diciamo all’Enasarco che ha perequato nel 2023 le pensioni dell’ 1,60% 1/5 del tasso d’inflazione applicando, l’ulteriore penalizzazione delle fasce INPS che, abbassano la perequazione sino a 1/20 dell’indice ISTAT ovvero 0,40% lordo e che si riduce al netto dell’Irpef e delle sue addizionali a 1/40 dell’inflazione ? Nessuno si è opposto, nemmeno i signori sindacati e tanto meno il Ministro del Lavoro che approva le decisioni del consiglio d’Amministrazione dell’Ente.
    Non è forse una indecenza.
    Siamo solamente sudditi?

  16. NICOLA

    Sono andato recentemente in pensione di vecchiaia con cumulo a formazione progressiva ed ho scoperto che fino a quando non riceverò la pensione da inarcassa non avrò diritto alla perequazione sulla pensione inps. Peccato che la pensione da inarcassa non la riceverò mai avendo versato solo un anno e ne servirebbero 35 per cui alla fine non avrò mai diritto alla perequazione.
    Questo meccanismo perverso pur chiedendo più volte, ai funzionari inps ed ai caf, se dovessi procedere al cumulo o alla ricongiunzione non mi è stato mai reso noto e tutti mi hanno indirizzato verso il cumulo. Ed ora a posteriori, quando non posso più fare niente, capisco perché.
    Francamente mi sento preso in giro e non so a chi rivolgermi.

    E si tratta di una pensione sotto 4 volte il minimo .

    Non è una indecenza?

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