La decisione di due agenzie di rating di declassare il debito italiano conferma la gravità della situazione dei conti pubblici. E quindi l’impossibilità di “alleggerire” la Finanziaria, come invece chiesto da alcuni in virtù dell’andamento del fabbisogno del settore statale e della dinamica delle entrate. Quanto alle critiche sulle caratteristiche degli interventi, forse si poteva fare di meglio, in particolare nell’equilibrio fra misure di spesa e di entrata. Ma non bisogna dimenticare il carattere strutturale della manovra, a partire dal calo del disavanzo.
Autore: Riccardo Faini Pagina 1 di 3
Lo sviluppo straordinario delleconomia mondiale negli ultimi 50 anni è stato in larga misura sostenuto dalla crescita degli scambi internazionali di beni e servizi. Lo sradicamento della povertà in Cina, il miracolo economico in Italia e in Spagna, lindustrializzazione delle tigri asiatiche, il balzo delleconomia dellIndia non si sarebbero verificati se questi paesi non avessero potuto contare sulla rapida crescita delle proprie esportazioni.
A sua volta, laumento del commercio internazionale deve molto alla riduzione delle barriere agli scambi sponsorizzata prima dal GATT e, a partire dal 1994, dallOrganizzazione Mondiale per il Commercio. Anche la crescita degli investimenti diretti allestero, che ha contribuito non poco a stimolare leconomia mondiale, è in buona parte attribuibile alla riduzione dei costi del commercio.
L’economia italiana ha ripreso a crescere. L’ultima e più autorevole conferma arriva dall’Istat. Non bisogna però dimenticare che l’Italia continua a essere il fanalino di coda dellEuropa. E proprio questi timidi segnali di ripresa potrebbero allentare l’impegno politico su due fronti: il risanamento dei conti pubblici e lo sforzo di riforma. Non mancherà la tentazione di evitare provvedimenti che pur non gravando sul bilancio dello Stato hanno costi politici elevati. Ma sono passaggi obbligati per riportare la produttività su un sentiero di crescita elevato.
Due commenti del Financial Times predicono l’uscita dell’Italia dall’euro. Meritano una risposta. Sono scenari che hanno bassissime probabilita’ di realizzarsi. Perché gli aggiustamenti di finanza pubblica che il nostro paese è chiamato a compiere sono alla nostra portata. E perché c’e’ sempre piu’ consapevolezza del fatto che i nostri problemi di competitività e di crescita si possono risolvere solo attraverso riforme strutturali. Nel lungo periodo, beneficeremo delle incisive riforme previdenziali varate negli anni ’90.
La legge dice che la relazione sull’andamento dell’economia e quella sui conti pubblici dovrebbero essere pubblicate entro febbraio. Un termine mai stato rispettato. Ma se tra il 1999 e il 2001 il ritardo medio è stato di ventinove giorni, dal 2002 al 2005 è salito a cinquantasette. Forse perché in marzo vengono diffuse le previsioni della Commissione europea: maggiore la distanza tra le date di pubblicazione, più ampio il divario tra dati governativi ed europei. La Trimestrale di cassa è attesa per i prossimi giorni. Un buon segno? Non necessariamente.
I dati diffusi dall’Istat sull’andamento dell’economia nel 2005 spengono ancora una volta i facili ottimismi. A evitare una caduta del Pil contribuiscono le voci meno virtuose: i consumi collettivi e l’accumulazione di scorte. Gettando un’ombra sulle prospettive per il 2006. Per i conti pubblici, rispetto alle previsioni di settembre, peggiora l’avanzo primario. Il miglioramento dell’indebitamento netto è dovuto a una diminuzione imprevista della spesa per interessi, agevolata da operazioni di finanza straordinaria. E aspettiamo la Trimestrale di cassa.
I differenziali di reddito e occupazione fra le regioni dell’Unione Europea si attestano su livelli assai elevati. Tuttavia, la mobilità geografica resta bassissima. Né si riesce ad agire sui salari, spesso contrattati a livello nazionale, senza tener conto delle condizioni locali del mercato del lavoro. E la disoccupazione nel Sud Italia è tre volte quella del Nord. La politica economica deve fare una scelta chiara, in favore di una maggiore mobilità del lavoro o di una maggiore flessibilità regionale dei salari. Altrimenti, i divari tra regioni continueranno a essere pronunciati.
La Finanziaria dovrebbe ridurre il disavanzo di 11,5 miliardi. E’ una cifra insufficiente e che comunque difficilmente sarà realizzata, poiché contemporaneamente si destinano altri 11 miliardi a nuove spese e agevolazioni fiscali, la cui copertura è tutto fuorché solida. Sarebbe meglio, per una volta, abbandonare la retorica della Finanziaria per lo sviluppo e limitarsi a una correzione reale del disavanzo.
Non è vero che la conduzione familiare delle aziende sia un fenomeno solo italiano. Né esiste una relazione fra la sua diffusione e la dimensione. Lungi dall’essere un valore positivo, oggi la piccola impresa è inadeguata di fronte alle sfide della globalizzazione e delle nuove tecnologie. E’ allora necessario favorire le imprese che scelgono di crescere, riducendo gli adempimenti burocratici agli ampliamenti di impianto o agevolando lo sviluppo di strumenti finanziari innovativi. E gli incentivi non devono esaurirsi proprio in conseguenza della crescita.
L’economia italiana registra un forte rimbalzo nel secondo trimestre, E’ una buona notizia; rimangono però fondati motivi di preoccupazione sulla solidità della ripresa economica nei prossimi trimestri.