Grazie a due riforme che intervengono sulla governance societaria, nei Cda delle società a controllo pubblico è aumentata la quota di donne e diminuita quella dei politici. E anche i risultati aziendali ne hanno tratto beneficio.
Autore: Sauro Mocetti
Laureato in economia politica all’Università di Siena, ha conseguito il master alla Pompeu Fabra di Barcellona e il dottorato di ricerca in economia politica presso l’Università di Bologna. Attualmente è economista presso il Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’economia pubblica, l’economia del lavoro, l’economia regionale, corporate governance e l’econometria applicata.
Il trasporto pubblico locale costituisce un importante fattore di crescita e competitività dei territori. La ripresa dalla crisi avrà bisogno di un sistema efficiente, più sostenibile dal punto di vista ambientale, più flessibile e più integrato.
La razionalizzazione delle partecipate è stata oggetto negli anni di numerosi interventi legislativi, con risultati inferiori alle attese. E ora che si torna a discutere di intervento diretto dello stato, la governance delle società pubbliche rimane spesso inadeguata.
La proprietà e la gestione familiare incidono sui risultati aziendali. Gli effetti però mutano in modo significativo con la dimensione dell’impresa. Possono essere positivi per gli operatori piccoli, mentre diventano negativi per quelli più grandi.
Nell’ultimo decennio il nostro sistema imprenditoriale ha vissuto diversi cambiamenti, anche normativi. Alcuni tratti peculiari della governance delle società si sono però acuiti. Delineando un contesto poco adatto a raccogliere le sfide attuali.
Una maggiore discrezionalità permette alle amministrazioni di selezionare l’azienda più adeguata per realizzare una opera specifica. Ma non mancano i rischi, come una diminuzione della produttività e della trasparenza. Gli strumenti per evitarli.
In che misura il restringimento dell’offerta di credito ha contribuito al rallentamento dell’attività economica in Italia? Uno studio recente, che utilizza dati sulle province, suggerisce che gli effetti non sono stati di poco conto. E sono stati diversi tra regioni, settori e categorie di impresa.
Il ritardo della scuola italiana nei confronti di quella degli altri paesi europei, e del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, non si limita ai livelli di apprendimento degli studenti, ma riguarda anche la dispersione scolastica. Che si concentra per lo più tra la fine della scuola media e l’inizio della secondaria superiore. Un background familiare meno agiato aumenta le probabilità d’insuccesso, ma anche l’offerta educativa locale conta. Il tempo lungo riduce sia la dispersione sia il condizionamento della famiglia d’origine sui risultati scolastici.