Ringrazio tutti i lettori per i numerosi commenti, che mi suggeriscono per brevità di concentrarmi solo su due argomenti, per rinviare gli altri a prossimi approfondimenti.
I viaggi di istruzione sono un segmento molto importante del mercato turistico, anche se non è agevole quantificarlo. Certamente, però, i tagli agli insegnanti-accompagnatori lo danneggeranno ulteriormente; mentre, come noto, i costi già da oggi li sostengono le famiglie. Come pure quelli delle attività extrascolastiche, peraltro essenziali, tra cui la musica e lo sport (confrontare i costi della quota di una qualunque società sportiva con il risibile sconto fiscale che se ne può ricavare!).
Eppure sono convinto che non siano attività voluttuarie, né il viaggio né la musica né lo sport. Come ha affermato il professor Roberto Vecchioni a Che tempo che fa il 27 febbraio 2011, la scuola e le materie di studio non sono solo nozioni o conoscenze, ma simulazioni di vita adulta condotte in ambito protetto: quanto di più utile alleducazione dei ragazzi.
Quanto al turismo culturale, non entro nel merito della necessità di tutelare il Patrimonio, che come noto è sancita dalla Costituzione, oltre che sembrare ovvia a quasi tutti gli Italiani.
Ma mi appassiona la valorizzazione turistica dei beni, degli eventi, della cultura materiale diffusa. Sono convinto che una delle poche fonti di ricavo sia proprio questa, a patto che la si sappia mettere in valore e misurare.
I turisti sono uno straordinario fruitore dei beni culturali, in quanto oltre che pagare il biglietto (quando cè), si comportano da cittadini temporanei: mangiano, dormono, viaggiano, comprano, telefonano, ecc.
Il beneficio della corretta valorizzazione della cultura non sta solo nelle biglietterie dei siti, dei musei, dei teatri: sta nel calcolo dellimpatto dei turisti culturali sui territori e sulleconomia nazionale.
Ma, su questo, siamo ancora straordinariamente sguarniti: nel capire, nel vedere, e soprattutto nel contare.
Ulteriori commenti, commuoventi e professionali mi fanno notare che in Italia mancano diverse cose e tutte importantissime. Mi limiterò ad elencarne tre.
Innanzi tutto manca una politica di settore, che sarebbe poi una centralità condivisa. Politica è il saper riconoscere tutti che il turismo è una attività importante, centrale, strategica, da perseguire e non solo sfruttare occasionalmente. In molte zone del Paese questa politica cè, questa centralità è chiara e rivendicata, e i risultati si vedono. A livello nazionale le cose stanno diversamente, anche perché per legge non esiste una Autorità centrale preposta e riconosciuta. Così non riusciamo a fare né sistema né cultura gestionale.
La seconda grave carenza è lorientamento al cliente, anche questo molto variegato da zona a zona, da impresa a impresa. Sembra quasi che ci si debba occupare dei clienti solo quando le cose vanno male, e gli ospiti non si fanno più vedere. Ma la soddisfazione del cliente è un comportamento strategico fondamentale, un fatto di civiltà prima ancora che una leva di marketing insostituibile proprio nel turismo, dove la fidelizzazione ed il passaparola restano le leve di marketing largamente più efficaci.
Infine, manca nella maggior parte delle imprese un management dei prezzi e dei ricavi: è ridicolo stampare i prezzi massimi dietro la porta della camera dalbergo, quando magari poi le contrattazioni e le proposte dei portali viaggiano su livelli che sono la metà o anche un quarto del listino. Una politica di prezzi elastici orientata al cliente da un lato, e alla redditività delle imprese dallaltro, non potrebbe che favorire un migliore equilibrio del mercato, su livelli di scambi più alti, e con maggiore soddisfazione reciproca e sociale.