La pandemia ha risvegliato l’interesse per l’edilizia scolastica, in vista di una riapertura delle attività didattiche in presenza. I risultati di un’analisi sugli edifici scolastici piemontesi offrono spunti di utilità immediata, validi anche per il futuro.
Autore: Stefano Molina
Stefano Molina è dirigente di ricerca presso la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino, si occupa di studi e di attività in campo educativo. E’ un socio fondatore del sito Neodemos, dedicato a temi demografici. Nell’ambito dell’ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – dal 2016 è coordinatore del gruppo di lavoro dedicato al Goal 4 dell’Agenda 2030 (istruzione di qualità).
Il coronavirus ha messo la scuola italiana davanti a una prova difficilissima, con chiusure prolungate degli istituti. Anche con la didattica a distanza, il primo obiettivo deve rimanere quello di non perdere per strada i più deboli e i meno attrezzati.
Secondo il Rapporto sull’edilizia scolastica, la maggior parte degli edifici scolastici italiani è stata costruita tra il 1958 e il 1983. Servono forti investimenti per trasformarli in moderni ambienti di apprendimento sicuri, sostenibili e inclusivi.
Il primo atto di politica scolastica del nuovo governo è un decreto legge per l’assunzione di oltre 48 mila docenti precari. Migliora alcuni aspetti della misura annunciata dal precedente esecutivo, ma ne lascia intatto l’impianto generale.
L’Italia è uno i paesi più attenti all’educazione pre-scolastica. Ma già a 15 anni gli apprendimenti sono sistematicamente inferiori alla media Ocse. Nell’università investiamo poco e pochi sono i laureati. Manca del tutto l’istruzione degli adulti.
Il passo indietro del governo sull’alternanza scuola lavoro è un brutto segnale verso le esperienze positive che erano emerse fra la pur tante difficoltà. È anche indizio dell’assenza di una visione chiara di scuola alla quale ispirare le politiche.