Nel suo ultimo rapporto sull’economia italiana, l’Ocse dà una valutazione di Adi e Sfl e indica alcuni interventi per migliorarle. Cancellato il Reddito di cittadinanza, l’Italia non ha più infatti una misura universale di contrasto alla povertà.
Autore: Stefano Scarpetta Pagina 1 di 2
È il direttore per il lavoro l’occupazione e gli affari sociali dell’OCSE dove coordina le attività dell’Organizzazione sui temi del mercato del lavoro, migrazioni, salute e politiche sociali. Rappresenta l’OCSE su questi temi al G20 e G7 e in molteplici fora internazionali. Ha pubblicato su molte riviste accademiche, tra cui American Economic Review, The Economic Journal, Economic Policy e the International Journal of Industrial Organization. Ha conseguito il PhD in economia presso l'Ecole des Hautes Etudes en Science Sociales (EHESS), Département et Laboratoire d'Economie Théorique Appliquée (DELTA) di Parigi, il Master of Science in economia presso la London School of Economics and Political Science, e la Laurea in economia presso l’Università di Roma “La Sapienza”.
L’ultimo Rapporto Ocse dà alcune indicazioni su come riformare il reddito di cittadinanza. L’obiettivo è costruire una misura in grado di coprire un numero più alto di persone in povertà, incentivare la ricerca di lavoro e migliorare l’inclusione.
Ovviamente, la prima cosa da fare è fermare la diffusione del virus. Sono però necessarie anche misure su ampia scala che rendano sostenibile il periodo di blocco dell’economia, per lavoratori e imprese. Ecco come hanno agito finora gli stati.
I salari non hanno ancora recuperato i livelli pre-crisi. I motivi sono strutturali e la risposta è in una strategia incentrata su competenze e apprendimento durante tutta la vita lavorativa. Affiancata da politiche attive e di supporto al reddito.
Il mercato del lavoro italiano ha imboccato la direzione giusta, ma la strada per la creazione sostenuta di posti di lavoro di qualità è ancora lontana. Perché restano alcuni problemi strutturali. Come la produttività che non cresce da quindici anni. Importanti passi avanti con il Jobs act.
Un’indagine Ocse permette di delineare un quadro della qualità del lavoro nei vari paesi. L’Italia è vicina alla media nelle remunerazioni, debole nelle condizioni dell’ambiente lavorativo e agli ultimi posti per la protezione nel mercato del lavoro. Miglioramenti possibili.
L’esperienza di altri paesi suggerisce che un salario minimo definito a livello adeguato e, soprattutto, differenziato per età e aggiornato spesso può essere uno strumento utile per combattere il rischio povertà. Ma da solo non basta.
L’articolo 18 sembra non avere un impatto significativo sulle scelte dimensionali delle imprese. Ma ne ha sul contratto offerto al lavoratore: aumenterebbe l’incidenza di quelli a termine di 2,5 punti percentuali. E ne ha anche sulla produttività. Come il Jobs Act può cambiare la situazione.
Ringraziamo tutti i lettori per i numerosi e interessanti commenti. Per brevità ci concentriamo solo su alcuni punti comuni a vari messaggi.
Lo stage, come lo intendiamo nel nostro articolo, non deve essere un’ulteriore aggiunta al panorama già molto complesso di contratti e "contrattini" disponibili alle imprese per avere accesso a manodopera a basso costo. Si tratta invece di uno strumento formativo che permette a giovani ancora nel sistema educativo o tutt’al più recentemente laureati di acquisire un’esperienza sul mercato del lavoro. La letteratura al riguardo mostra che la combinazione di studio e lavoro facilita la transizione al primo impiego dopo il diploma o la laura. Purtroppo però in Italia, come in altri paesi Europei, gli studenti spesso svolgono le due attività in modo sequenziale prima terminano gli studi e poi iniziano a lavorare con il risultato di presentarsi sul mercato del lavoro con poca
esperienza. Lo stage gestito secondo i criteri che suggeriamo nel nostro articolo potrebbe diventare uno strumento utile per rendere la transizione meno brusca.
Siamo coscienti che gli abusi della formula dello stage non verrebbero risolti automaticamente dalle nuove regole che proponiamo, anche se più chiarezza aiuterebbe a ridurli. D’altra parte, la necessità di una convenzione tra scuola/università e impresa avrebbe il vantaggio di responsabilizzare maggiormente il settore educativo nel certificare la qualità degli stages realizzati. D’altro canto potrebbe rafforzare il dialogo tra settore educativo e mondo dell’impresa. I controlli andrebbero rinforzati e bisognerebbe stabilire delle sanzioni per chi organizza "falsi" stages. Gli abusi non svanirebbero dall’oggi al domani ma sarebbero molto probabilmente meno frequenti che nella situazione attuale.
Per combattere la disoccupazione giovanile e i suoi duraturi effetti negativi servono riforme del mercato del lavoro e della formazione. Esiste però uno strumento che se usato correttamente potrebbe aiutare subito i diplomandi e i laureandi ad arrivare sul mercato del lavoro con un curriculum più adeguato: lo stage. Indispensabili, però, nuove regole. Per renderlo uno strumento riservato ai soli studenti o neolaureati, da utilizzare per un periodo di tempo limitato, con rimborso spese, tutor e progetto formativo.