Ovviamente, la prima cosa da fare è fermare la diffusione del virus. Sono però necessarie anche misure su ampia scala che rendano sostenibile il periodo di blocco dell’economia, per lavoratori e imprese. Ecco come hanno agito finora gli stati.

Sfida sanitaria ed economica

L’economia globale affronta oggi il più grande shock dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 e l’impatto economico e sociale sarà probabilmente molto più forte. I dati americani sui sussidi di disoccupazione ne danno un assaggio. È una crisi di natura diversa rispetto alle precedenti: si tratta di uno shock di offerta a cui si sta affiancando uno shock di domanda. Dato che non sappiamo ancora come si risolverà l’emergenza sanitaria, è difficile identificare l’insieme e la tempistica delle misure da prendere. Una cosa è certa: ben più che nel caso della crisi finanziaria globale, gli strumenti standard di politica fiscale e monetaria non basteranno.

La prima cosa da fare, anche per l’economia, è fermare la diffusione del virus. Oltre alle misure di confinamento, è necessario rafforzare i sistemi sanitari per garantire che tutti coloro che hanno contratto il virus possano ricevere un’adeguata assistenza medica. Alla ricerca medica servono mezzi e risorse per arrivare rapidamente a cure efficaci e a un vaccino.

Gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo del vaccino sono enormi, ma occorre far sì che i risultati della sperimentazione in un paese siano usati anche in altri, assicurandosi che gli ingenti fondi pubblici messi a disposizione siano accompagnati da accordi chiari che ne permettano un utilizzo globale.

Le misure nei paesi Ocse

Allo stesso tempo, sono necessarie urgenti misure sociali ed economiche su ampia scala per rendere il periodo di confino sostenibile per lavoratori e imprese. La maggior parte dei paesi Ocse colpiti dall’epidemia hanno messo in campo una serie provvedimenti straordinari, unici per ambito, estensione e rapidità. La figura 1 riassume quelli adottati fino a venerdì 27 marzo 2020 nei 36 paesi Ocse (per i dettagli si veda il Policy Brief Ocse e la tabella allegata in continuo aggiornamento).

Il 92 per cento dei paesi Ocse per cui l’informazione è disponibile è intervenuto per sostenere la liquidità delle imprese ritardando i pagamenti delle imposte e dei contributi o con strumenti di prestito specifici.
L’89 per cento dei paesi Ocse, inoltre, ha introdotto o rafforzato misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e gli autonomi. L’Italia ha deciso provvedimenti significativi, introducendo dal nulla un’indennità una tantum per gli autonomi. Rimangono difficoltà pratiche legate all’erogazione attraverso l’Inps e al rischio di esclusione di alcune categorie ordinistiche, ma è un passo notevole per un paese in cui gli ammortizzatori sociali standard sono ancora lacunosi, soprattutto per alcune categorie di lavoratori, come appunto gli autonomi.

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Due terzi dei paesi Ocse ha introdotto o esteso forme di cassa integrazione per permettere alle imprese di ridurre l’orario di lavoro senza licenziare. In Italia, la cassa integrazione è stata notevolmente allargata, così come il Kurzarbeit in Austria e Germania, lo chômage partiel in Francia. Il Regno Unito venerdì scorso ha varato uno schema che permetterà di coprire l’80 per cento dello stipendio in caso di riduzione forzata dell’orario di lavoro. Francia e Italia hanno anche stabilito limitazioni ai licenziamenti, così da rassicurare i lavoratori, limitare i comportamenti opportunistici ed evitare lo stigma sociale del licenziamento. Tuttavia, bloccare i licenziamenti può anche portare al fallimento di alcune imprese se l’accesso effettivo alla cassa integrazione e ad altre misure di sostegno finanziario si rivelerà farraginoso o tardivo.

Il 61 per cento dei paesi Ocse ha introdotto misure per ridurre l’esposizione dei lavoratori al Covid-19, facilitando il telelavoro e aumentando gli standard sanitari sul posto di lavoro. L’accordo tra le parti sociali italiane di sabato 14 marzo, per esempio, è un modello che viene guardato con interesse anche in altri stati.

Il 61 per cento ha introdotto forme di supporto alle famiglie che, con la chiusura delle scuole, devono far fronte a carichi di cura inattesi, come “voucher baby-sitter” o congedi speciali. Ma anche per i lavoratori che possono lavorare da casa in smart working è necessario immaginare un adattamento degli orari di lavoro perché possano prendersi cura dei figli o dei genitori anziani.

Il 58 per cento dei paesi Ocse ha rafforzato le misure di protezione per lavoratori in malattia. Se possono sembrare norme scontate in Europa, non lo sono altrove. Negli Stati Uniti o in Corea, per esempio, prima di questa crisi non erano previsti congedi malattia retribuiti. E comunque nella maggior parte dei paesi i lavoratori senza un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, e in particolare gli autonomi, hanno un accesso ai congedi malattia ridotto, se non del tutto assente. Il 39 per cento dei paesi ha previsto norme specifiche di sostegno al reddito per i lavoratori in quarantena.

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Il 44 per cento dei paesi Ocse, infine, ha preso misure per evitare sfratti e per aiutare le persone in difficoltà abitativa. L’Italia e altri paesi hanno ritardato il rimborso delle rate dei mutui. Negli Usa e in Francia sono stati sospesi sfratti e pignoramenti.

Sono solo alcune delle principali misure introdotte dai vari paesi Ocse per far fronte alla crisi sanitaria, sociale ed economica senza precedenti causata dal Covid-19. Sono quelle urgenti per offrire sostegno a lavoratori, famiglie e imprese duramente colpite dalla crisi. Uguale determinazione sarà necessaria quando la pandemia sarà alle nostre spalle, ma i danni economici saranno ben visibili e sarà necessario far ripartire in modo energico l’economia globale.

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