La scarsa armonizzazione delle imposte sul reddito nell’Unione europea ha finito per produrre una competizione fiscale tra ordinamenti, spesso dannosa, per attrarre grandi contribuenti. Ora però gli stati membri cercano di porvi rimedio con due direttive.
Autore: Tommaso Di Tanno Pagina 4 di 7
Tommaso Di Tanno si divide fra attività accademica e professionale. E’ stato professore a contratto di
Diritto Tributario e di Diritto Tributario Internazionale presso le Università di Roma Tor Vergata, Roma
Università Europea, Siena e Cassino nonché docente presso la Scuola Centrale di Polizia Tributaria, il Master
Tributario dell’Università Bocconi ed il Master in Diritto di Impresa della LUISS. Ha presieduto il Consiglio di
Amministrazione di Sisal, di IPI, di Assicurazioni di Roma; il Collegio Sindacale di Anima, Banca Monte dei
Paschi di Siena, Banca Nazionale del Lavoro, British American Tobacco, Caltagirone, Vodafone. E’ stato
consigliere economico del Ministro delle Finanze e del Presidente della Commissione Industria del Senato;
membro della Commissione per il controllo dei bilanci dei partiti politici e di svariate commissioni di studio
governative.
La web tax riscritta dalla legge di bilancio 2019 recepisce appieno le indicazioni della proposta di direttiva della Commissione europea. L’Italia è il primo paese ad attuarla, anche se serve qualche ulteriore chiarimento per evitare estensioni indebite.
L’accordo tra Facebook e l’Agenzia delle entrate chiude il contenzioso italiano. Ma non risolve certo la questione di come tassare i redditi delle imprese digitali, sostanzialmente apolidi. Il punto di partenza potrebbe essere la direttiva Ue sulla base imponibile consolidata.
Prima di dare un giudizio politico sulla “pace fiscale” o indicare quante risorse se ne potrebbero ricavare, sarebbe necessario conoscere esattamente a chi si applica e quali debiti sana. Perché in un provvedimento di questo tipo i dettagli sono decisivi.
Secondo la Lega i 50 miliardi di minor gettito dovuto alla flat tax si potrebbero coprire con i proventi della “pace fiscale”. Ma le cifre realmente recuperabili sono di gran lunga più basse. Basta guardare ai conti della rottamazione delle cartelle.
La Commissione propone di introdurre una imposta sulle attività digitali. Per compensare il divario fra il luogo di creazione del valore e quello di tassazione. Ma anche per tutelare il mercato unico, evitando che gli stati adottino soluzioni nazionali.
La web tax italiana approvata definitivamente non centra l’obiettivo del riequilibrio fra il prelievo gratuito presso la nostra economia di risorse tassate solo all’estero. Dopo le modifiche della Camera si è trasformata in una misura per fare cassa.
Facebook attribuirà ad uffici nazionali (e non più alla sola Irlanda) i ricavi ottenuti nei vari paesi europei. Effetto della minaccia della web tax e delle altre iniziative Ue contro i colossi di internet? In ogni caso un cambio di atteggiamento verso il fisco a 360 gradi.
Il fatto che persone e aziende dei paesi avanzati utilizzino i paradisi fiscali non dovrebbe suscitare tanta ipocrita sorpresa. Se davvero si vuole farla finita con queste pratiche sono necessari interventi decisi, da applicare a livello internazionale.
Il vertice UE di Tallinn ha rimandato ogni decisione sulla web tax ai lavori della Commissione. Che sostiene che i profitti di un’impresa devono essere tassati dove il “valore” è creato. Ma come farlo tecnicamente? Tre le ipotesi e tutte da definire.