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La “pace fiscale”, ma con chi?

Prima di dare un giudizio politico sulla “pace fiscale” o indicare quante risorse se ne potrebbero ricavare, sarebbe necessario conoscere esattamente a chi si applica e quali debiti sana. Perché in un provvedimento di questo tipo i dettagli sono decisivi.

Su che cosa si fa pace?

Da mesi si disquisisce su un provvedimento che dovrebbe avere due obiettivi: mettere la parola fine a un inasprito rapporto fra debitori dello stato e fisco creditore; e garantire un tesoretto da spendere per ridurre “le tasse agli italiani”. Presentata così la misura può apparire sensata e appetibile anche se inevitabilmente sgradevole per chi il debito verso lo stato lo ha, invece, già onorato appieno (e coperta, perdipiù, con entrate una tantum anziché ordinarie). La storia, però, è piena di sanatorie che, ancorché, discutibili possono aiutare il compimento di passaggi altrimenti ben più duri e tortuosi. Tant’è che i suoi sostenitori si prodigano nel metterne in luce i distinguo riequilibratori basandoli sul fatto premiante che la sanatoria riguarderebbe solo chi non è ricco e ha commesso peccati tutto sommato perdonabili.

Ma per formulare un giudizio equilibrato è bene vedere le cose più da vicino e guardare i dettagli. Il primo punto di cui si discute è l’ammontare del debito da sanare con soglia ipotizzata a 100 mila oppure 200 mila oppure un milione di euro. Come va individuata la soglia? L’importo va riferito a una singola obbligazione tributaria (ad esempio: Irpef del 2012) ovvero al suo insieme (cioè l’intero debito verso il Fisco quale che sia l’origine)? Ancora: la soglia va valutata con riferimento alla sola imposta oppure include anche le sanzioni applicate e gli interessi maturati e maturandi? Posto che all’Iva non si potrebbe rinunciare per vincoli comunitari, la soglia va individuata al netto o al lordo dell’imposta sul valore aggiunto? Gli interessi e le sanzioni sul debito Iva – che possono, invece, essere rinunciati – sono valutati e possono essere “pacificati” autonomamente? Le risposte a questi interrogativi qualificano il provvedimento visto che se si va per singola obbligazione tributaria e l’asticella fosse fissata a un milione di euro saremmo di fronte a qualcosa di molto simile a un condono largo e quasi generalizzato. Al contrario, se si trattasse di stralciare debiti complessivamente inferiori a 100 mila euro, la valutazione farebbe emergere, oltreché profili in senso lato “umanitari”, anche considerazioni ragionevoli sui costi e benefici di prosecuzione di un’azione di riscossione forzata.

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La norma viene presentata come idonea a definire situazioni in cui vi è una sorta di errore scusabile (l’artigiano ha preferito pagare i suoi dipendenti e non il fisco). Come si determina la “venialità” (scusabilità) del peccato? Deriva solo dalla modestia dell’importo dovuto oppure occorre che il debitore dimostri uno stato di difficoltà derivante da “fatti precisi” (quali la richiesta di accesso a procedure contemplate nella Legge fallimentare)? I “fatti precisi” distinguono fra contribuente impresa e contribuente non impresa? La sanatoria si rivolge solo a persone fisiche o include anche organismi societari (di persone o di capitali)?
Ancora: si fa qualche distinzione fra debiti certi (quelli riconosciuti dal contribuente che li ha dichiarati come tali o concordati attraverso accertamenti con adesione o transazioni in sede giudiziale) e debiti incerti (iscrizioni provvisorie a ruolo per vicende tuttora in contenzioso)? Ancora: le posizioni in contenzioso sono tutte uguali o si distingue in funzione degli esiti, se ve ne sono, dei primi due gradi di giudizio?

Ciascuno degli interrogativi richiamati sopra va a comporre una classe di potenziali aderenti alla misura ipotizzata e dà luogo a una più appropriata valutazione tanto della natura dell’operazione (favorevole agli umili o favorevole agli evasori) che del gettito lecitamente attendibile. Se non si definiscono, quindi, nel merito queste classi ogni giudizio politico e ogni traduzione numerica dell’intervento si presta solo a sensazioni primordiali e non a valutazioni obiettive.

La “sanatoria del contante”

Accanto alla “pace fiscale” per i debiti già conclamati fa, poi, capolino una non meglio definita “sanatoria del contante”. Non si tratterebbe di una riedizione della voluntary disclosure bis (che ha avuto un largo insuccesso) ma sarebbe una misura pensata per la specifica fattispecie.

L’assenza di dettagli relativi all’ipotesi è, per il momento, tale da renderla assolutamente non valutabile. Tuttavia, la materia presenta un indubbio interesse, quantomeno per il sistema paese e, quindi, proprio per questo, pare meritevole di attenzione. Sto parlando del contante che non risulta depositato presso alcun intermediario finanziario, che può essere posseduto sia in Italia che all’estero, che è riconducibile a una persona fisica, che costituisce di per sé un pericolo per la sua mera esistenza. Sanare situazioni del genere è certo interesse del sistema paese e non mi pare sia il profilo tributario quello cui rivolgere la maggiore attenzione. Un intervento su questa materia va, quindi, valutato per la riduzione del grado di offensività criminale che può comportare piuttosto che per il gettito che ne può derivare. Al contrario, se fossero considerazioni di gettito o comunque di sanatoria tributaria a guidare la mano del provvedimento sarebbe ben difficile porre un credibile argine al suo utilizzo da parte di titolari di contante frutto non di evasione fiscale, ma di ben altra tipologia di attività.

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  1. Michele

    Premesso che personalmente ritengo ogni tipo di condono, in qualunque modo lo si chiami – italiano o inglese – condono o voluntary disclosure, una grave offesa al contribuente onesto e soprattutto un incentivo a deliquere di più in futuro, occorre però evitare di criticare il provvedimento annunciato solo perché si tratta della voluntary disclosure dei poveri, mentre quelle passate – riservate di fatto a inadempimenti di grandi dimensioni – andavano benissimo….

    • Giuseppe Imbalzano

      500.000 euro? allora mi dichiaro povero sin d’ora

  2. Domenico

    Mi chiedo se chi si sta “svenando” nel tentativo di evitare che il proprio debito arrivi a diventare cartella esattoriale( rate da 36 bis per esempio)sia da considerare un soggetto in difficoltà?

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