Il 17 giugno lagenzia di rating statunitense Moodys ha annunciato di aver posto il rating Aa2 dellItalia sotto revisione in vista di un possibile downgrade. Moodys spiega la sua decisione con tre motivi:
1) le sfide sul fronte della crescita dovute a debolezze strutturali dell’Italia ed una probabile crescita dei tassi di interesse nel prossimo futuro;
2) i rischi collegati allattuazione dei piani di consolidamento dei conti pubblici che sono richiesti per ridurre l’indebitamento italiano e mantenerlo a livelli sostenibili;
3) i rischi collegati dal cambiamento delle condizioni di finanziamento per i Paesi europei con alti livelli di debito.
Il secondo di questi tre motivi, quindi, ricollega la decisione di Moodys direttamente alle fortissime pressioni a cui negli ultimi giorni il Ministro del Tesoro Giulio Tremonti è stato sottoposto da parte dei partiti di governo per indurlo a ridurre le imposte.
Se tali pressioni contribuiranno al downgrade del nostro debito pubblico, esse condurranno anche a un aumento dei tassi di interesse pagati dallo Stato italiano. E, data lenorme massa del nostro debito, anche un minuscolo aumento dei tassi di interesse comporterà un esborso maggiore per lo Stato e quindi un inevitabile aumento del carico fiscale. Ecco quindi che chi oggi strilla perché le imposte scendano potrebbe in realtà essere tra i maggiori responsabili del loro aumento.
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La proposta di trasferire qualche ministero al Nord inizialmente ai più era apparsa una boutade. Sta diventando una questione seria. Non dovrebbe esserlo.
Dando per scontato che costi (anche finanziari) e problemi organizzativi impediranno anche soltanto di discutere il trasferimento di ministeri significativi, il rischio maggiore è che, per non scontentare nessuno, si ripieghi su una versione soft, con la creazione di sedi distaccate e uffici di rappresentanza. Non sarebbe solo uno spreco di risorse ma diventerebbe un ostacolo a una razionalizzazione della rete periferica dellamministrazione centrale, questa sì necessaria da tempo.
I maggiori ministeri (Difesa, Giustizia, Istruzione, Beni culturali, Economia, ecc.) hanno unarticolazione periferica che ricalca il disegno delle amministrazioni territoriali. È questa la principale motivazione della spinta a creare nuove Province: contano non tanto gli uffici della Provincia quanto una nuova prefettura, la sovrintendenza, il comando provinciale dei Carabinieri, e così via.
Bisognerebbe snellire queste reti. Soprattutto se ne parla da almeno dieci anni – ripensare il tutto alla luce del trasferimento di competenze a Regioni ed enti locali. Ci si aspetterebbero proposte su questo da chi vuole la riduzione del peso dello stato centrale. Ma tantè: scomparsi da tempo i marxisti immaginari di buona memoria (Vittoria Ronchey, 1975), è da un po il turno dei federalisti immaginari.
Che cosa si può dire di unIrpef a tre aliquote: 20, 30 e 40? Niente.
Si tratta di uninformazione del tutto insufficiente. Se questa, come dice la stampa, è la proposta del ministro, bisogna ricordargli che si è dimenticato di dirci alcune cose importanti: come saranno articolati i tre scaglioni a cui applicare queste tre aliquote? Come saranno articolate le detrazioni di imposta per lavoro, pensioni e per carichi familiari?
Senza queste informazioni le tre aliquote non significano niente, ma proprio niente: possono dar luogo a infinite Irpef diverse.
Un esempio: supponiamo che il mio reddito lordo sia di 30.000 euro.
Se i primi due attuali scaglioni restassero invariati e il terzo ed ultimo partisse quindi da 28.000 euro, ci guadagnerei 20 euro. Se invece i primi due scaglioni venissero accorpati così come il terzo e il quarto; allora ci guadagnerei 1.520 euro: una bella differenza!
Ma se poi contemporaneamente la mia detrazione per lavoro dipendente venisse abolita, nel primo caso ci rimetterei 816 euro, mentre ne guadagnerei 684 euro nel secondo.
Di cosa discutiamo dunque?
Meglio aspettare una vera proposta articolata e motivata dellintera riforma fiscale e non solo del pezzo relativo allIrpef, di cui siano esplicitamente indicate le finalità e per la quale sia possibile valutare chi ci guadagna e chi ci perde, perché, dato che la riforma dovrà avvenire a parità di gettito, lunica cosa certa è che non potremo guadagnarci tutti.
Perché i delegati Fiom hanno invitato i lavoratori a votare sì al referendum alla ex Bertone sull’accordo proposto dalla Fiat, dopo aver alzato barricate in situazioni simili a Pomigliano e Mirafiori? La ragione è semplice. Alla ex Bertone, la Fiom ha la maggioranza assoluta fra gli iscritti al sindacato. Un suo no all’accordo avrebbe voluto dire addio al progetto di rilancio dello stabilimento. In quel sito produttivo era impossibile scindere le questioni di principio dal destino dei lavoratori. In queste condizioni, è emersa una forte maggioranza di sì all’accordo. A Pomigliano e Mirafiori la Fiom poteva permettersi di ergersi a paladina dei diritti negati senza doversi assumere le conseguenze di questa scelta. L’accordo poteva essere fatto anche senza il suo consenso, come è regolarmente avvenuto. È una strategia che politicamente paga, come ha dimostrato l’analisi del voto del referendum a Mirafiori che abbiamo pubblicato su questo sito. Ma che si regge unicamente su un sistema di rappresentanza che incentiva la differenziazione fra le sigle sindacali e la politicizzazione del dibattito. Messi di fronte alla piena responsabilità delle proprie scelte, in quanto sindacato di maggioranza, anche la sigla più intransigente ha scelto di firmare. L’esperienza di Germania e degli Stati Uniti, paesi per altri aspetti diversissimi fra loro, insegna la stessa cosa: la presenza di interlocutore unico (in quei paesi c’è un solo sindacato in fabbrica) ha contribuito a gestire in modo efficiente i processi di ristrutturazione.
Questo episodio testimonia una volta di più la necessità di riformare il sistema di rappresentanza. Chiaramente, non è possibile istituire un sindacato unico per legge. Ma è possibile adottare regole che disincentivino la frammentazione e favoriscano la contrattazione decentrata. Si aumenterebbe la forza contrattuale dei rappresentanti dei lavoratori e si renderebbero più lineari i processi di negoziazione con l’azienda. È tempo di mettere mano alle varie proposte che giacciono in Parlamento.
Vorremmo ringraziare il Presidente del Consiglio, e vorremmo farlo per due ragioni. Perché in effetti avevamo notato qualche collega di fede rossonera segnarsi con gesti scaramantici e virare nell’umore. Ora sono tutti più sereni. E vorremmo farlo perchè ha la sensibilità di dedicare anche a questi piccoli, ma significativi dettagli parte del suo prezioso tempo. Ora, chiarito l’equivoco e rasserenati gli animi, Presidente, per favore, torni al lavoro.
p.s. vorremmo anche segnalare al Presidente che il sito del Governo è stato probabilmente attaccato da un nuovo e malizoso virus, noto come conflictofinterest. Ha la particolarità di prendere gli annunci postati sul sito del Milan e dirottarli su quello del Governo.
Cari lettori,
300 parole è una rubrica in cui i redattori de lavoce.info esprimono punti di vista con lo stile talvolta polemico e caustico – che caratterizza i corsivi della carta stampata. Può dunque rientrare in questo stile luso di qualche metafora forte. Se vestale ancorché usato ironicamente- è tutto fuorché un termine con accezione negativa, il termine pasdaran, come nota l’accorto lettore , individua un combattente guidato dalla fede. Appunto.
Ma l’aspetto più rilevante è un altro: ancora una volta notiamo come il tema dell’acqua pubblica tenda immancabilmente a scatenare reazioni viscerali. Proprio per questo lavoce.info ha organizzato, in occasione del Festival delleconomia di Trento, una serie di pro e contro, uno dei quali, il 4 giugno a Rovereto avrà come titolo: La gestione dellacqua deve essere totalmente pubblica?
In questoccasione i partecipanti allevento verranno chiamati a votare prima e dopo il confronto tra i relatori. Sarà un esperimento interessante per valutare il valore aggiunto del Festival nel cambiare le percezioni.
Tra i relatori vi sarò anche Ugo Mattei. Dispiace che giudichi il nostro tono aggressivo e insolente. Gli assicuriamo che il confronto in occasione del Festival non lo sarà, anzi sarà caratterizzato dallapproccio scientifico che sempre accompagna gli articoli de lavoce e il festival stesso.
Proprio su queste colonne, infatti, abbiamo già ampiamente trattato largomento (si veda gli articoli di Scarpa, Ponti, Massarutto) evidenziando in più occasioni come il dibattito mediatico sulla cosiddetta "privatizzazione dell’acqua" sia stato fuorviante visto che il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 prevede cambi il meccanismo di affidamento e non la proprietà dell’impresa.
Tuttavia l’argomento dell’intervento non era questo, bensì le conseguenze su settori, come quello dei trasporti locali, che con l’acqua nulla hanno che fare e che verrebbero toccati dall’eventuale abrogazione del 23 bis
In nome dellacqua pubblica, uno dei quesiti referendari propone labrogazione di un intero articolo di legge (il 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n.112, più volte modificato). Inutile dire che (contrariamente a quanto vogliono farci credere i pasdaran del referendum) quellarticolo di legge non ha nulla a che fare con la proprietà della risorsa acqua, ma solo con le modalità di gestione del servizio idrico. È invece utile sottolineare che il 23 bis (come viene familiarmente chiamato dagli addetti ai lavori) riguarda anche altri servizi pubblici locali, tra cui i trasporti. Leventuale abrogazione del 23 bis, dunque, riporterebbe il trasporto locale alle norme vigenti prima del giugno 2008. Qualcuno potrebbe fare spallucce e dire poco male: dopotutto, il 23 bis non innovava granché. Certo, il 23 bis non era la rivoluzione che alcuni speravano (e altri temevano); ma rispetto alla normativa precedente qualche pregio laveva. Vale la pena ricordare che – abrogato il 23 bis – tornerebbero a valere esclusivamente le norme del pasticciato e reticente Regolamento europeo CE/1370/2007 e dellormai lontano D.Lgs. 422 del 1997, nelle parti migliori purtroppo superato proprio dal Regolamento europeo. Non fosse altro, il 23 bis dice almeno con chiarezza che la modalità ordinaria di affidamento dei servizi è la procedura competitiva ad evidenza pubblica e pone una serie di vincoli agli affidamenti in house, cui invece il citato Regolamento comunitario lascia più o meno libero corso. Dunque, se il 23 bis verrà abrogato con il referendum del 12 giugno, liberi tutti di ricorrere al fatto in casa.
Chissà come è contento il sindaco di Roma Alemanno del regalo che gli vogliono confezionare le vestali dellacqua pubblica! Proprio nei giorni scorsi, in previsione di un esito abrogativo del referendum, il leader capitolino ha stretto accordi con i sindacati per confermare ad libitum il regime in house del trasporto pubblico romano (il fascino del casereccio a Roma è irresistibile) e ha poi accettato le dimissioni di quellamministratore delegato che, nella bufera dei mesi scorsi, era stato nominato alla guida dellAtac per riportare un po di ordine e di moralità in azienda. Purtroppo, il regalo non sarà solo per Alemanno: infatti è ormai esplicita e dichiarata la volontà di buona parte degli amministratori locali di non fare gare per diminuire il costo dei servizi locali, anche in caso di sprechi vistosi o gestioni dissennate: sono certi che le loro imprese non potranno fallire e che i contribuenti (e gli utenti) alla fine saranno chiamati a pagare. Sono anche convinti, evidentemente, che perderanno meno consensi così facendo piuttosto che ottenendo gestioni più sane e meno costose. Anche solo per dare loro finalmente torto, sarebbe bello che il quesito referendario venisse sonoramente bocciato.
Curiosa polemica tra il Ct della Nazionale italiana, Cesare Prandelli e il vicepresidente esecutivo del Milan, Adriano Galliani. Prandelli, in unintervista, aveva dichiarato che questanno avrebbe visto con favore una vittoria del Napoli nel campionato di serie A. Galliani, coinvolto con la sua società nella lotta scudetto, si è molto risentito e ha chiamato il diretto superiore di Prandelli, il presidente della Fgci, Giancarlo Abete, dicendo che era inammissibile che il Ct tifasse per qualcuno. Prandelli ha fatto subito retromarcia, dichiarando di essere stato frainteso dai media. Ma perché il Ct non può tifare per qualcuno? Che danni può arrecare alla regolarità del campionato? Al massimo può far giocare in Nazionale qualche partita in più ad alcuni giocatori rispetto ad altri. Dato che il contributo del Milan alla Nazionale italiana è al momento limitato, Prandelli può fare ben poco per cambiare i valori in campo. Si dirà: non importa il numero di giocatori del Milan in Nazionale, è una questione di principio. Benissimo. Sorprendente però che questa difesa di sani principi provenga da Galliani, che ha rivestito il ruolo di Presidente della Lega calcio dal 2002 al 2006. La Lega calcio, per chi non lo sapesse, organizza i tornei come la serie A e la Coppa Italia, stabilendo, ad esempio, anticipi e posticipi e vendendo anche alcuni diritti televisivi. La cosa notevole è che Galliani, nel periodo in cui è stato Presidente della Lega, ha mantenuto il ruolo di numero uno (almeno di fatto) del Milan. Quindi aveva, almeno in teoria, una capacità di incidere sullo svolgimento dei tornei ben più elevata di quella del Ct, a favore della sua squadra. Qualcuno obietterà: ma Galliani è stato eletto dai presidenti delle società che sapevano del suo conflitto di interesse. Poiché tutti sapevano del suo conflitto di interesse, Galliani non poteva fare nulla a favore del Milan. Chissà perché, questa mi pare di averla già sentita usare da qualcun altro.
E così la Lega dei Ticinesi è il primo partito del Cantone, con un balzo di 8 punti e una campagna elettorale concentrata sul contrasto ai transfrontalieri italiani ("i ratti" nel nobile frasario utilizzato), rei di rubare il lavoro agli autoctoni. Una notizia che fa il paio con le cronache di questi giorni dedicate alla rigida politica di contenimento dei passaggi attuata dal governo francese al valico di Ventimiglia per fermare il flusso di migranti tunisini diretti oltralpe. Come dire, una replica in salsa francese del "fora di ball" incautamente pronunciato da Umberto Bossi sulle scogliere di Lampedusa.
Insomma, sembra proprio che questi episodi segnalino un tema comune, che dalla banalità della geografia suggerisce una saggia cautela alla politica: a parte le calotte artiche, c’è sempre qualcuno più a nord di te. E costruire una identità e una politica sulla propria norditudine ti espone alla immediata ritorsione di chi, appresa la lezione, ha il vantaggio di stare qualche parallelo più a nord.
Abbiamo scritto su questo sito di Cesare Geronzi quando nessuno osava parlare di lui (Boeri, Bragantini, Guiso, Boeri). Oggi che tutti tracciano profili biografici del personaggio omettendo, ad eccezione del Financial Times, trascorsi giudiziari e procedimenti pendenti vogliamo invece guardare avanti, occuparci del dopo Geronzi.
Vorremmo poter scrivere che dora in poi ci sarà una sanzione sociale per chi viola le regole, che la reputazione conterà nella corporate governance in Italia. Purtroppo non è così. I trascorsi di Geronzi non hanno giocato alcun ruolo nella sua uscita di scena. A voltargli le spalle sono stati gli stessi che gli avevano permesso per anni di concentrare su di sé un potere immenso, guidando banche nonostante avesse subito uninterdizione giudiziaria temporanea dallattività bancaria a opera del Gip di Bologna in relazione all’inchiesta sul crac Parmalat, fosse indagato per il crac della Cirio, per il caso Parmalat-Ciappazzi e per la vicenda Eurolat, con un rinvio a giudizio con laccusa di concorso in bancarotta e usura, avesse già subito una condanna in primo grado per concorso in bancarotta nel caso Italcase Bagaglino a un anno e otto mesi di reclusione e fosse stato dichiarato temporaneamente inabile all’impresa commerciale e agli uffici direttivi.
Vorremmo poter scrivere che dora in poi si allenterà la stretta della politica sulla corporate governance. Purtroppo non è affatto detto che sia così. Luscita di scena di Geronzi coincide con il cambiamento dello statuto della Cassa depositi e prestiti, volto a permettere interventi su società quotate e non solo su piccole imprese. È possibile che si tratti della solita boutade di Tremonti, per intenderci unaltra Banca del Sud su cui guadagnarsi qualche titolo di giornale e nascondere il proprio immobilismo in un paese impaludato. Ma cè anche il rischio che il fondo strategico sia il preludio di un rinnovato ruolo dello stato nelleconomia, magari sempre attraverso Mediobanca. Più che loperazione Cdp in quanto tale, ciò che preoccupa è mancanza oggi in Italia di una cultura politica che sappia porre un argine a un governo che voglia tornare ad essere protagonista dei cambiamenti nella struttura proprietaria delle grandi aziende.
Vorremmo poter scrivere che ha vinto linternazionalizzazione sugli intrecci tra politica e finanza. Geronzi è stato lincarnazione delle ingerenze della politica nella finanza, che permettono ad aziende strutturalmente in perdita di sopravvivere creando attorno a loro un ampio consenso politico. Prodotto e insieme artefice della cosiddetta finanza romana è riuscito anche per qualche tempo a proporsi come il centro di gravità della finanza del Nord. Ma i vincitori nello scontro di potere sembrano ancora tutti appartenere al capitalismo relazionale italiano: si passa solo da una costellazione all’altra. Nuovi giochi di palazzo al posto dei vecchi. Ritorna in gioco Unicredit che, con Profumo, si era tirata fuori da Mediobanca e Generali. E ritorna in gioco Mediobanca.
Vorremmo poter scrivere, come qualcuno ha fatto, che è una vittoria degli amministratori indipendenti. Lo è solo in parte: si è trattato di minoranze organizzate, dipendenti da altri o "indipendenti di maggioranza", l’ossimoro che gira in molti consigli, piuttosto che espressione di investitori istituzionali e piccoli azionisti. Non è dunque linizio di un nuovo capitalismo, né il primo passo verso il decollo delle public company in italia. Quello che accadrà ora è molto legato agli sviluppi in Mediobanca e Unicredit, dunque alle Fondazioni bancarie. Conta poco chi sostituirà Geronzi, soprattutto dopo che la scelta è ricaduta su Gabriele Galateri di Genola. Speriamo solo che un management più giovane, voglia, come ha dichiarato di voler fare, allentare il blocco dei patti di sindacato, semplificando e rendendo più trasparente la struttura di controllo delle società quotate, a partire da Mediobanca. Sempre che la Consob non si metta di mezzo. Sconcertante che il suo nuovo presidente dichiari di voler fare di tutto per diminuire la contendibilità delle società quotate, proteggendo le imprese e non gli investitori. Vegas ha votato la fiducia a Berlusconi dopo essere stato nominato ai vertici della Consob. Oggi sembra il miglior interprete del capitalismo allitaliana: capitalisti che non vogliono metterci i capitali, persone che vogliono controllare senza investire.