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PARMACRACK, L’INNOCENZA DELLE BANCHE

Nel processo Parmalat di Milano, (quasi) tutti assolti tranne il fondatore dell’azienda Calisto Tanzi. Assolti soprattutto i manager di Bank of America che sono stati certamente in buoni e frequenti rapporti con Tanzi per tutto il periodo in cui il crack è stato in fase di cottura.
Non succede solo in Italia. Anche nelle cause civili intentate negli Stati Uniti, Bank of America e Citigroup, l’altro grande istituto bancario implicato nella vicenda, l’hanno fatta franca. Sembra proprio che le grandi banche in un modo o nell’altro riescano sempre a non pagare.
E’ una sensazione molto sgradevole. Soprattutto in un periodo in cui a causa della crisi bancaria e finanziaria degli ultimi tre mesi, i governi di tutto il mondo hanno messo da parte un ingente ammontare di risorse pubbliche – dunque denaro dei contribuenti e quindi anche di quelli truffati – per ricapitalizzare le grandi banche, messe in difficoltà dall’evolversi della crisi di mutui e derivati.
Impunite e troppo grandi per fallire: non è forse un po’ troppo?
Non per la politica italiana. Di fronte a tutto ciò, con raro tempismo, il consiglio dei ministri prende in esame un decreto milleproroghe, il solito decreto milleproroghe di fine anno, che tra le altre cose rinvia di sei mesi i termini dell’entrata in vigore della class action, cioè la possibilità di azione collettiva risarcitoria da parte dei truffati in situazioni come Parmalat e Cirio.
Proprio un bel regalo di Natale per i risparmiatori italiani!

MAESTRO UNICO: UN PASSO AVANTI E UNO INDIETRO

Il maestro unico sarà facoltativo. Questa è la decisione che è stata annunciate nei giorni scorsi dal ministro Gelmini. Le famiglie potranno scegliere tra un impegno scolastico di 24 ore (il maestro unico), 27 ore oppure 40 ore (il tempo pieno con due maestri). Il ministro Gelmini, con questa decisione, ha fatto un passo indietro ed un passo avanti. Ha fatto un passo indietro rispetto alle dichiarazioni dell’autunno in cui si faceva passare il maestro unico come una riforma fondamentale per la scuola primaria italiana. In realtà si trattava solo di tagliare sul numero di maestri. Grembiule, maestro unico e "libro unico" erano solo un tentativo di camuffare come progetto educativo quella che era solo un’esigenza di bilancio.
Bene ha fatto il ministro a recedere da un provvedimento puramente ideologico, ma non era in linea con le esigenze di gran parte delle famiglie italiane. Ma sarebbe sbagliato parlare solo di un passo indietro. Garantendo la possibilità di scegliere tra 24, 27 e 40 settimanali, il Ministro ha garantito alle famiglie l’opportunità di adattare l’impegno scolastico dei figli con le proprie esigenze. E’ molto probabile che nelle città la richiesta del tempo pieno sia massiccia, mentre nei centri più piccoli le 24 ore potrebbero avere una maggiore domanda. Tutto bene, dunque? In realtà ci resta una perplessità. La flessibilità, se sarà veramente garantita a tutte le famiglie, rischia di entrare in conflitto con l’obiettivo, ribadito da Ministro, di attuare il piano di tagli all’organico degli insegnanti della scuola primaria, a meno di non procedere ad una forte riduzione dei plessi scolastici e all’aumento del numero medio di studenti per classe. Aspettiamo di conoscere meglio i piani del Ministro Gelmini per capire come concilierà maggiore possibilità di scelta e riduzione dei costi. Come dicono gli inglesi, il diavolo è nei dettagli.

SE I TRE GRANDI RISPARMIATORI DELL’ASIA SI PARLANO

Con molta discrezione, i primi ministri della Cina, del Giappone e della Corea del Sud si sono riuniti a Fukuoka a parlare della crisi.
E’ una notizia passata un po’ inosservata sui media europei. Ma è una notizia, dato che, fino a ieri, i tre paesi erano come il cane e il gatto, veri e propri nemici storici.
Oggi invece cinesi, giapponesi e coreani hanno scoperto di avere almeno una cosa in comune: un’alta propensione al risparmio. Qualcosa che li ha indotti a mettere da parte i loro litigi passati. Risparmiare una frazione elevata del proprio reddito è oggi una virtù rara, in un mondo in cui tutto il risparmio è stato bruciato dalla crisi dei mutui.
Cosa si saranno detti cinesi, coreani e giapponesi nel meeting?
Poche cose semplici, probabilmente.

  • Prima di tutto, che gli americani hanno bisogno di soldi per salvare il loro capitalismo
  • Secondo, che gli europei litigano e fanno pace ma alla fine non possono garantire un loro contributo alla stabilità economica mondiale
  • Terzo, che – messi insieme – i tre paesi asiatici producono il 22% del Pil mondiale, più degli Usa e più dell’Europa. E che quindi stavolta, saranno loro, gli asiatici risparmiatori, a salvare il mondo dalla crisi

Se sarà così, prepariamoci: non lo faranno certo gratuitamente.

RISPARMIO ENERGETICO: CHI HA AVUTO HA AVUTO..

Molta attenzione è stata posta sulla tassazione di Sky, ma il decreto anti-crisi ha un’altra perla: l’annullamento retroattivo dell’agevolazione fiscale sul risparmio energetico.
In base alla normativa pre-decreto, chi nel corso del 2008 avesse effettuato investimenti atti a realizzare risparmio energetico aveva diritto ad una detrazione fiscale del 55%. Lo spirito della normativa era chiaro: incentivare investimenti finalizzati al risparmio energetico. Ma una volta che gli investimenti sono stati realizzati, ovvero a fine novembre 2008, perchè non rimangiarsi la promessa di de-tassazione? E’ esattamente quello che il decreto legge anti-crisi fa, in osservanza al principio del “chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato” (efficace espressione per quello che gli economisti pomposamente definiscono “time-inconsistency problem”).
Il decreto annulla retroattivamente la certezza del diritto all’agevolazione fiscale maturato con la realizzazione degli interventi effettuati nel 2008:
1) definisce un tetto complessivo alle agevolazioni (82,7 milioni di euro per il 2008). Interessante: il tetto si innalza per gli anni futuri; si vogliono “incentivare” gli investimenti futuri (quelli non ancora realizzati). Stante il volta-faccia corrente, se proprio si vorrà investire in futuro, la strategia dominante sarà quella usuale: non-fatturazione (in nero).
2)   Prevede la presentazione telematica delle istanze di agevolazione fiscale per gli interventi realizzati nel 2008 a decorrere dal 15 gennaio 2009 e fino al 27 febbraio 2009.
3)   L’esame delle istanze seguirà l’ordine cronologico – prevedibilmente, il 15 gennaio 2009 il sito dedicato andrà in tilt a un minuto dalla sua attivazione.
In buona sostanza, il decreto sostituisce (ex-post) la certezza del diritto con la "lotteria agevolazione fiscale" che ricorda quella che fu la “lotteria badanti” della Bossi-Fini.
I tempi sono difficili, la crisi incombe e il morale è depresso, è davvero necessario infierire con una immagine così miserevole dello Stato di diritto?

PERCHE’ LE GRANDI OPERE NON SERVONO CONTRO LA RECESSIONE

Il ponte di Donghai, vicino a Shanghai (oltre 32 chilometri, a 8 corsie, sul mare) è stato costruito in 3 anni e 6 mesi circa. In Italia, in quei tempi si costruiscono, in media, solo infrastrutture di trasporto di valore compreso tra 10 e 50 milioni di euro (45 milioni ci vogliono per un km di alta velocità ferroviaria, tanto per intendersi). Se si guarda non solo ai tempi di costruzione ma anche a quelli di progettazione e appalto, bisogna aggiungere altri 3 anni e 4 mesi, per un totale di circa 7 anni. Per opere di valore superiore ai 50 milioni di euro (cioè per i lotti di opere sul serio “grandi”) i tempi di realizzazione salgono a 10 anni e 8 mesi, di cui 4 anni e tre mesi per la progettazione e l’appalto.
Questi dati sono contenuti in uno studio (del novembre 2007) condotto dal Dipartimento per le politiche dello sviluppo del Ministero dello sviluppo economico. Studio, peraltro, ormai rimosso dal sito internet del Ministero. Sono dati su cui dovrebbe riflettere chi invoca più spese per nuove grandi opere come strumento anti-recessione. La riflessione potrebbe essere arricchita osservando che solo opere di valore inferiore al milione di euro vengono cantierate in poco più di un anno dall’approvazione e completate in 2 anni. Già per opere di valore compreso tra 1 e 2,5 milioni l’effettiva costruzione inizia solo dopo oltre 2 anni. In generale, quindi, la spesa per nuove grandi opere sarà domanda effettiva solo quando, con ogni probabilità saremo fuori dalla fase negativa del ciclo. Morale: se si vuole veramente fare una politica fiscale anticiclica è bene dimenticare le grandi opere, a parte garantire le risorse per completare in tempi decenti quelle già cantierate. Se proprio si vuole spendere denaro in nuovi lavori pubblici, meglio finanziare piccole e piccolissime opere: per esempio le manutenzioni straordinarie delle scuole e degli ospedali. Di questi tempi, oltre a dare ossigeno subito al Pil, si rischia anche di salvare qualche vita umana da eventi troppo frequenti per essere definiti “fatalità”.

PRIMARIE O SECONDARIE?

Il 20 novembre i militanti del PS francese, o più esattamente coloro che hanno una tessera del partito socialista, saranno chiamati a votare per eleggere il loro segretario nazionale. La lotta tra Ségolène Royal e Martine Aubry si annuncia serrata, senza dimenticare il terzo incomodo Benoit Hamon. Dato che si tratta di un ruolo politico-organizzativo (non necessariamente il segretario del PS sarà il candidato alle prossime presidenziali) non si raggiungeranno certo i livelli di mobilitazione ottenuti due anni fa per scegliere il candidato da opporre a Sarkozy. E sarà improponibile il paragone con le moltitudini che hanno partecipato alle primarie del Partito Democratico negli USA per scegliere tra Hillary Clinton e Barack Obama. Ad esempio, nell’Ohio hanno votato in 2.224.907. Alle elezioni del 2004 i voti per il Partito Democratico nello stesso stato erano stati 2.741.265. Ciò significa che a quelle primarie ha partecipato più dell’80 per cento dell’elettorato di riferimento.
E in Italia? Immaginare che nel Pdl si possa votare per qualcosa di più rilevante dell’inno o del colore delle scenografie che fanno da sfondo ai comizi dei loro leader sembra al momento utopistico. Ma le cose non vanno meglio neanche nel PD. Si possono infatti chiamare primarie le elezioni per il coordinatore cittadino del Partito Democratico a Milano che si sono svolte la scorsa settimana? Ad esse potevano votare solo i componenti dei Coordinamenti e i tesorieri di circolo più i consiglieri di zona, comunali, provinciali e regionali, i sindaci ed i parlamentari nazionali ed europei in possesso dell’attestato di Socio Fondatore del PD.
Più che elezioni sembrano riunioni per pochi eletti scelti a priori. E i numeri parlano da soli. Hanno votato in 569 mentre alle ultime elezioni politiche il PD a Milano aveva ricevuto 620.460 voti. Quindi meno dello 0,1 per cento degli elettori del PD milanese è stato consultato. E il restante 99,9  per cento? Torniamo dunque alla domanda: sono primarie, secondarie o, meglio ancora, millesimarie?
Si dirà: tanto nessuno sarebbe andato a votare per il segretario di Milano. Forse. Ma è anche vero che con regole di questo tipo non ci sarà mai un outsider disposto a dare il proprio contributo di idee nuove in una vera competizione che può destare maggiore interesse, mobilitando la base elettorale dei partiti. Se vogliono veramente ridurre la frattura tra classe politica e cittadini, se vogliono veramente far sparire la parola “casta” dal vocabolario della politica italiana, le forze politiche , tutte, dovranno passare per un maggior ricorso allo strumento delle primarie, quelle vere.

ENEA, O IL RITORNO DELLA POLITICA

All’indomani del referendum che metteva al bando il nucleare, l’allora Ente nazionale per l’energia atomica si era trovato di colpo senza una mission. Carico di tecnici esperti della materia, l’organismo si era successivamente riconvertito al tema dell’energia e dell’ambiente sopravvivendo secondo modalità più vicine a quelle del carrozzone pubblico che non a quelle di un efficiente organismo tecnico-consultivo con finalità di analisi e supporto alle decisioni politiche. Era stato con l’allora commissario Luigi Paganetto, economista in prestito dall’università di Roma-Tor Vergata, che l’Enea aveva ritrovato agli inizi del 2000 una sua mission: sfruttando la crescente attenzione anzitutto scientifica e poi politico-economica per il tema dei cambiamenti climatici, il commissario poi divenuto presidente aveva restituito un ruolo importante all’Enea come punto di rifermento nazionale in ordine all’efficienza energetica e soprattutto alle nuove tecnologie energetico-ambientali, un aspetto assolutamente cruciale del problema. Il focus su questi temi ha valso all’Enea la nomina ad Agenzia nazionale per l’efficienza energetica, come previsto dalle direttive europee. E non più tardi dell’inizio della scorsa estate, in una lettera d’indirizzo il Ministro dello sviluppo economico Scajola aveva attribuito all’Enea un ruolo propulsivo sul fronte dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e addirittura del nucleare. Ma forse è stato troppo…Evidentemente chi tocca il nucleare di questi tempi rischia di rimanere scottato. Sta di fatto che la bozza del DDL "manovra 1441-ter" (il decreto "manovra" originario si era diviso in due, la prima parte diventata il famoso DL 112 poi convertito in legge, mentre la seconda parte è stata divisa in tre ed è attualmente al vaglio del parlamento: una di queste parti contiene tutte le disposizioni sul nucleare), licenziata dalla Camera ed approdata al Senato, prevede il commissariamento non solo della Sogin, ma anche dell’Enea. Volevano addirittura cambiargli nome – doveva essere Enes – così da rendere la discontinuità con il brand ancora più netta. E perché commissariare l’Enea? In vista di una non ben motivata né chiara riforma, che non si sa quando arriverà e che giunge proprio nel momento in cui, mentre si abbandona il tentativo di azzerare i vertici dell’Autorità per l’energia con la scusa anche qui di una riforma, l’Enea sembrava aver trovato stabilmente una sua ben definita vocazione. Quando si dice il potere costruttivo, ma anche distruttivo, della politica…

ALITALIA: UNA LOTTA NELL’ABISSO

Il “Piano Fenice” non è la soluzione che si poteva sperare alla lunga crisi dell’’Alitalia. Ma ormai è l’’unica soluzione sul tappeto, a parte il fallimento. Certamente, se fosse stata accettata la proposta primaverile di Air France i costi per lo Stato e per i consumatori italiani sarebbero stati inferiori e il profilo strategico dell’operazione sarebbe stato più chiaro: Alitalia sarebbe divenuta parte del più grande gruppo mondiale di vettori aerei tradizionali (full cost). Dal Piano Fenice sembra emergere per la nuova Alitalia un profilo vicino a quello di una low cost. (nessun hub, sei basi nazionali, disponibilità del personale a trasferirsi nella base cui sono assegnati, maggior peso alla parte variabile della retribuzione per i piloti, maggior flessibilità nell’impiego per gli assistenti di volo). È probabile che la trattativa con il partner straniero si chiuda proprio nella prospettiva di offrire ad esso (chiunque sia) un vettore capace di coprire la fascia price sensitive del mercato, oltre che portare voli dall’Italia agli hub stranieri di riferimento. Cosa questo abbia a che fare con la compagnia di bandiera (tanto fortemente voluta dal premier italiano) è poco chiaro.
Piloti e assistenti di volo hanno capito perfettamente che il profilo professionale del personale viaggiante è molto diverso tra compagnie low cost e compagnie full cost. E il nuovo profilo non è a loro per niente gradito. Il Ministro Matteoli ha reso noto che chi rifiutasse l’’offerta di lavoro di Cai verrebbe escluso dai benefici degli ammortizzatori sociali. La minaccia si basa sull’’art. 1-quinquies della legge 291/2004, dove si prevede l’’esclusione dal trattamento di cassa integrazione di colui che “non accetti l’’offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello delle mansioni di provenienza”. Secondo quanto riportato dai giornali a fine settembre, lo stipendio offerto da Cai a piloti e assistenti di volo sarebbe più basso di  quello percepito nella vecchia Alitalia, ma di meno del 20%. Ma produttività e flessibilità dovrebbero essere molto maggiori. Se così effettivamente stanno le cose, la minaccia del Ministro sembra credibile. Mentre sembra incredibile che alcuni piloti e assistenti di volo non abbiano capito che forme di lotta ai limiti della legalità e oltre, dopo aver contribuito al declino dell’Alitalia, possono ora contribuire al “taglio” definitivo di chi vi ricorre.

GRAZIE CINA?

Mentre si discetta su come venire fuori dalla recessione incombente e si guarda al prossimo incontro di Washington del 15 novembre prossimo dove secondo Sarkozy dovranno essere prese decisioni forti, la China ha appena annunciato un piano di spesa pubblica per infrastrutture e spese sociali – nel solco della tradizione keynesiana delle politiche anticicliche – di 586 miliardi dollari (460 miliardi di euro), il 7% del PIL cinese, una cifra enorme. E’ la risposta cinese alla recessione che se minaccia le economie occidentali, colpisce irrimediabilmente quella cinese, causando una forte rallentamento. E’ la conseguenza della globalizzazione: il rallentamento in occidente si riverbera in oriente. Ma qui possono, grazie a finanze pubbliche meno compromesse delle nostre, compensare il calo di domanda estera con una espansione di domanda interna. Questa a sua volta attiverà non solo la produzione domestica ma anche la domanda di importazioni in Cina dal resto del mondo, contribuendo a mitigare la crisi in occidente. Chi ancora ieri biasimava la Cina come causa dei nostri malanni dovrà forse ora ringraziarla.

CON LA SCUSA DEL NUCLEARE, ARRIVA IL COMMISSARIO

All’interno del Disegno di legge sullo sviluppo, approvato per fortuna solo dalla Camera, vi è un aspetto apparentemente piccolo ma significativo. Usando come pretesto il rilancio del nucleare, si è deciso di commissariare Sogin, l’impresa del Tesoro che si occupa attualmente della dismissione degli impianti ex Enel (Caorso, Trino) e attività collegate. In generale il commissariamento interviene per sanare atti gravi, e ci si chiede che senso abbia in questo caso. Si potrà dire: la norma decide una pesante ristrutturazione di un’impresa di proprietà del Tesoro, e per guidare questa ristrutturazione è opportuno avere un Commissario. Osservazione del tutto priva di fondamento. Quando il decreto Bersani (1999) o quello Letta (2000) intervennero ancora più pesantemente su Enel (allora al 100% del Tesoro) ed Eni nulla di tutto questo avvenne. Se c’è una legge, la si applica. E si mandano via gli amministratori solo se si rifiutano di farlo. Il Commissariamento è altro. E’ il rientro della politica nelle imprese, ed è un pessimo segnale. Due informazioni, giusto per dare un’idea. Sogin è stata creata dal 1999. Da allora per anni è stata un’impresa senza un piano industriale, nella quale si infilavano plotoni di impiegati amministrativi o generali in pensione. Da circa un paio di anni ha un vero Consiglio di amministrazione, si è dotata di un piano industriale, risparmia sul personale amministrativo, mette a posto i suoi conti. Guarda caso, alla prima occasione mandiamo il Commissario. Difficile non pensar male. Per favore, onorevoli Senatori, mostrate più saggezza dei vostri colleghi della Camera!

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