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Alitalia, notizie e domande di ferragosto

Alla vigilia della pausa ferragostana, la vicenda Alitalia è ancora lontana dall’essere risolta. Il Presidente Berlusconi parla ora dell’autunno come periodo in cui si risolverà, mentre in campagna elettorale diceva che sarebbero bastate poche settimane.

CINQUE NUMERI SUL G8

I governi dei G-8 (in ordine alfabetico: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti) sono riuniti in Giappone a parlare, come sempre, dei destini del mondo. Per capire che tipo di decisioni possono uscire dalla loro riunione è utile tenere a mente cinque numeri che riassumono chi sono e che cosa rappresentano i G-8:

– sono il 40% del PIL mondiale (misurato correggendo per le differenze nella parità dei poteri di acquisto).
– producono il 25% del petrolio mondiale
– consumano il 50% del petrolio mondiale
– sono il 13% della popolazione mondiale.
– ospitano il 5% dei malati ancora vivi di AIDS.

Sono cioè un club di paesi ricchi con un gran bisogno di un’energia che producono in misura insufficiente alle loro necessità. Ma sono quasi irrilevanti sul totale della popolazione mondiale. Ed è quasi impossibile che, tra un meeting e l’altro, presi dalla politica di tutti i giorni, si ricordino dei malati di AIDS e delle altre epidemie cui ogni volta promettono qualche spicciolo. Dunque, mettiamogli pure addosso i riflettori dei media. Ma nel valutare la credibilità dei loro impegni per la fame nel mondo e le loro prediche sull’ambiente teniamo in mente i cinque numeri ricordati sopra.

IL COSTO DEL CUMULO

Il pacchetto delle misure previdenziali varate dal governo contiene l’abolizione del divieto di cumulo tra rendite da lavoro dipendente o autonomo e prestazione da pensione di anzianità. Si potrà quindi lavorare e nello stesso tempo godere di una pensione di anzianità. Da notare che il divieto era sinora totale tra pensione di anzianità e lavoro dipendente e parziale tra pensione di anzianità e lavoro autonomo. Nell’ultimo caso era cumulabile un reddito corrispondente al minimo INPS più il 70% dell’eccedenza della pensione sul minimo, con una trattenuta comunque non superiore al 30% del reddito conseguito. Secondo le intenzioni del Ministro Sacconi  l’abolizione del cumulo mira a combattere il lavoro nero e far emergere il gettito sui redditi da lavoro ora sommerso. Ma la misura porterà anche a ridurre le entrate di coloro che al momento subiscono una trattenuta sui redditi da lavoro se pensionati. Inoltre l’abolizione del divieto di cumulo rende più appetibile l’opzione del pensionamento d’anzianità, abbassando l’età di pensionamento e facendo lievitare la spesa previdenziale. La Ragioneria Generale dello Stato stima un costo della totale cumulabilità pari a 390 milioni di Euro. Può essere una stima per difetto. Il provvedimento infatti si applica a tutte le pensioni di anzianità successive al 31 dicembre 2002. Secondo l’INPS lo stock di pensionati-lavoratori è di circa 2 milioni e 40mila, ma questo dato non  tiene conto di coloro che avrebbero comunque deciso di continuare a lavorare e in più potranno godere della loro pensione di anzianità. Se il flusso delle nuove pensioni di anzianità aumentasse del 40% (rispetto al flusso in assenza del cumulo), il costo potrebbe più che raddoppiare. E’ difficile fare delle previsioni accurate. Buona quindi l’idea della rimozione del divieto, ma andrebbe applicata in un sistema “neutrale”, quale il sistema contributivo, e non in un sistema in cui le pensioni di anzianità sono in media generose.

UN BEL DAZIO ANTI-INFLAZIONE?

Il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, di fronte ad una platea amica a Mogliano Veneto (TV), ha lanciato la sua idea: ci vorrebbe un dazio europeo per aumentare la produzione agricola interna, difendere il mercato dei prodotti agricoli e, in tal modo, combattere l’aumento dei prezzi dei cereali. Non ci posso credere, direbbe Aldo del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo. L’inflazione in giugno ha raggiunto il 3,8%, mai così alta da 12 anni. Pane e pasta hanno contribuito a questo aumento rispettivamente con un +13% e +22% annuo. E il ministro, non contento di ciò che passa il mercato mondiale di questi tempi, vuole anche tassare le importazioni di cereali. E’ vero che una tassa sulle importazioni, dicono i libri di economia, favorisce i produttori interni a discapito di quelli esteri. Ma lo fa a discapito del benessere complessivo dell’economia perché incoraggia produttori forse italiani ma certamente inefficienti. E lo fa togliendo i soldi dalle tasche dei consumatori. A giudicare dai dati sull’inflazione, gli italiani con i problemi più grossi per arrivare alla fine del mese sono i consumatori, non i produttori, tanto meno i produttori di cereali che continuano a godere dei supporti di reddito garantiti dalla Politica Agricola Comune dopo la riforma del 2003. Almeno la Robin Tax di Tremonti è una tassa sui profitti che non aumenta i costi di produzione e quindi di per sé potrebbe non essere trasferita sui prezzi finali (anche se sulla benevolenza di petrolieri e banchieri sarebbe meglio non fare conto). Ma un dazio sulle importazioni di grano, no: aumenterebbe di sicuro i costi e sarebbe trasferito pari pari su più alti prezzi dei cereali, del pane e della pasta. Ministro Zaia, non sarebbe meglio ripensare alla sua idea ed evitare così di far piovere sul bagnato?

VENDITE, -2%: ARRIVA LA RECESSIONE?

Le vendite al dettaglio nell’aprile 2008 sono scese di due punti percentuali rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. E’ la temuta recessione che si avvicina a grandi passi? Troppo presto per dirlo. Come avverte l’Istat, il dato pubblicato riguarda il valore totale delle vendite, e incorpora quindi sia l’andamento delle quantità vendute che quello dei prezzi di vendita. Un segno “meno” complessivo può quindi essere il risultato sia di una riduzione delle quantità vendute che di una riduzione dei prezzi. Per gli alimentari ci sono pochi dubbi: i prezzi sono saliti (circa +6% su base annua nel 2007). Il segno “meno” è quindi da attribuire ad una flessione delle quantità vendute. Ma il segno meno per le vendite di alimentari è piccolo: solo -0,8%. Non sono gli alimentari i principali responsabili della flessione delle vendite: la voce delle vendite diminuita in modo più marcato è quella dei beni non alimentari (-3,4%). E qui siamo in dubbio: le nostre spese in prodotti non alimentari possono diminuire sia perché comperiamo meno telefonini ma anche perché il prezzo dei telefonini scende nel tempo. C’è poi da considerare che, nascoste sotto ai dati aggregati, succedono tante cose. Una di queste è la continuazione del processo di ristrutturazione nel settore della distribuzione. La grande distribuzione (nelle sue varie forme: ipermercati, supermercato, hard discount, grandi magazzini) per ora tiene, facendo segnare un più zero e qualche cosa rispetto ad un anno fa. E’ la piccola distribuzione a far segnare valori molto negativi. Se recessione è, dunque, per ora non è la recessione di tutti ma solo di qualcuno, quelli con le spalle meno larghe. Del resto era stato così anche nella ripresina del 2006-07: pochi grandi esportatori ci avevano guadagnato e molto, mentre i tanti piccoli avevano solo visto passare la locomotiva della ripresa in televisione.

PERCHE’ AUMENTA IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE

Dopo due anni di continua discesa, il tasso di disoccupazione nel primo trimestre dell’anno in Italia è tornato a crescere: 7,1 per cento rispetto al 6,4 per cento del primo trimestre del 2007. Non è una buona notizia, ma deve comunque essere letta con attenzione. Il tasso di disoccupazione può aumentare perché diminuiscono gli occupati o perché aumentano le persone che vogliono cercare un lavoro. In Italia negli ultimi dodici mesi sono stati creati più di trecentomila posti di lavoro grazie a un importante contributo dei lavoratori stranieri. Il tasso di occupazione, il rapporto tra occupati e persone tra 15 e 65 anni, è infatti aumentato ancora e si attestato al 58,3 per cento. In sostanza il tasso di disoccupazione è aumentato perché vi è stato un massiccio aumento dell’offerta di lavoro. L’aumento della disoccupazione non è ancora un fenomeno preoccupante, anche perché ad aumentare è stata soprattutto la componente femminile della forza lavoro, con una crescita quasi del 4 per cento in tutto il territorio, mezzogiorno compreso. Se il mercato del lavoro funziona, queste persone troveranno presto un lavoro e contribuiranno ad aumentare il tasso di occupazione del Paese. A livello legislativo, il Governo ha presentato una serie di modifiche legislative sulla regolamentazione dl lavoro. Il disegno di legge prevede la reintroduzione del lavoro a chiamata, una figura prevista dalla legge Biagi e cancellata dal Governo Prodi. Si prevede anche un’ulteriore liberalizzazione del lavoro a termine, con l’introduzione di deroghe oltre i 36 mesi introdotti nella precedente legislatura. Si tratta, tutto sommato, di modifiche marginali e che non cambieranno in modo significativo il nostro mercato del lavoro. Più importante è invece l’abolizione completa del divieto di cumulo tra pensione e lavoro. E’ una misura che certamente contribuirà a aumentare il tasso di occupazione degli individui sopra i 55 anni. Ne avevamo bisogno.

W LA GERMANIA

PRENDENDO SUL SERIO L’ALBANIA

Quando era stata avanzata dal Ministro dell’economia in pectore Giulio Tremonti aveva un po’ il sapore della boutade neocolonialista: perché non costruiamo una centrale nucleare nella vicina Albania visto che non è possibile farlo, per varie ragioni, entro i confini nazionali?Presumibilmente l’idea era quella di aggirare le opposizioni di casa e l’esito del referendum del 1987, allo stesso tempo ottenendo elettricità a condizioni privilegiate e vantaggiose. Poi vennero l’assenso di Pierferdinando Casini, Antonio Marzano ed Enrico Letta, le ragionate perplessità di Chicco Testa, e da ultimo lo scetticismo dell’ex-commissario europeo Mario Monti che si sentirebbe “più tranquillo ad avere il nucleare attivo in Francia piuttosto che in altri paesi”. Senza dubbio si riferiva all’Albania, ma forse aveva doti di preveggenza pensando anche ai confini con il nostro Friuli-Venezia Giulia. Quando però il premier dell’Albania Sali Berisha ha dichiarato di non volere escludere i suoi concittadini dal grande potenziale rappresentato dall’energia nucleare e che “l’ideale sarebbe un accordo con i paesi vicini, Italia per prima. Finanzieremo con il governo di Roma un impianto da costruire in Albania” e quando Enel ha dichiarato “nel caso in cui si raggiunge un accordo tra i due governi noi valuteremo questo progetto”, allora abbiamo pensato che si faceva sul serio. Ed allora proviamo a fare sul serio anche noi. Perché l’Italia vorrebbe il nucleare? Possiamo fornire tre ragioni (ma l’elenco non è esaustivo): 1) contribuisce a ridurre le nostre emissioni di gas-serra e quindi ad ottemperare ai vincoli di Kyoto ed europei; 2) riduce la nostra dipendenza energetica dall’estero attraverso minori importazioni di gas usato per produrre elettricità; 3) riduce la bolletta energetica delle famiglie perché il kilowattora prodotto con il nucleare costa meno di quelli prodotti con il gas e con le fonti rinnovabili. Che contributo dà la “proposta albanese” a queste tre esigenze? La risposta è negativa per i primi due quesiti e forse o probabilmente positiva per il terzo. Ma non è chiaro in che misura dovrebbe essere preferibile o più economico importare elettricità dall’Albania anziché – come di fatto stiamo correntemente facendo – dalla Francia, dalla Svizzera o … dalla Slovenia.

ALITALIA, TOTO E CATRICALA’

Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite  arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.

TREMONTI, FAISSOLA E IL MUTUO CREATIVO

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