Molti commentatori hanno in questi giorni sostenuto la necessità di separare nettamente il management delle banche dalla politica. Siamo d’accordo. Come mostrano gli studi di Paola Sapienza, non è chiaro quali siano gli obiettivi di banche in cui continua a esserci una forte influenza della politica. Il loro comportamento è influenzato da interessi locali e cicli politici più che dal desiderio di garantire redditività ed efficienza.
Il vero problema è: come?
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Cambia il nome, ma le abitudini della vecchia legge finanziaria non si perdono. Le modifiche che il Senato sta apportando alla legge di stabilità stravolgendone l’impianto a un paio di giorni dall’approvazione definitiva del provvedimento richiamano il fatidico assalto alla diligenza.
Sembrava una battaglia persa. E forse lo è. O forse no. No, non sto parlando della campagna elettorale di Berlusconi, ma del calcio a Natale. Meglio, a Santo Stefano. Ormai da tanti anni la Premier League ha la sua giornata più seguita il 26 dicembre, nel Boxing Day. E anche quest’anno dalle 4 di pomeriggio fino alle 11 di sera gli spettatori di tutto il mondo potranno guardare Manchester United, Chelsea, Liverpool e tutte le altre squadre inglesi giocare. La serie A sarà invece, come al solito, chiusa per ferie. I calciatori del nostro campionato più importante saranno in larga maggioranza a prendere il sole in resort situati in isole tropicali. Ma, ecco la novità, la serie B scenderà regolarmente in campo per la 21° giornata di campionato.
Non cresciamo da oltre un decennio, la disoccupazione e’ salita al 10,8 per cento, fra i giovani supera il 35 per cento. Le ammnistrazioni pubbliche intermediano la metà di quanto il paese produce, evidentemente senza riuscire ad incidere sulla crescita. Per finanziare questa spesa, spesso inefficiente, per farlo hanno portato la pressione fiscale oltre il 50 per cento. Quarant’anni fa era poco sopra il 30 per cento e il paese creceva. Nello scorso decennio abbiamo avuto governi di centro-destra, centro-sinistra. Tecnici, ma i segni di un’inversione di tendenza non si sono visti. A me pare evidente che occorre ripensare il modo radicale al funzionamento della nostra società. Per questo mi preoccupano molto alcune affermazioni di Pierluigi Bersani, il possibile futuro presidente del consiglio.
La Corte dei Conti francese, facendo appunto i conti, afferma in un suo non recentissimo documento ufficiale (1)che la nuova linea Torino-Lione presenta un’utilità sociale per lo meno dubbia e più probabilmente negativa. Per affermarlo si avvale di valutazioni quantitative del tutto analoghe a quelle da anni elaborate sia in Francia che in Italia da chi ha espresso perplessità sulla priorità economico-sociale del progetto. La Corte francese ignora la lacunosa analisi costi-benefici presentata dai promotori italiani e in più si sofferma sugli aspetti finanziari del progetto che – sempre secondo la Corte – presenta rendimenti attesi trascurabili. In Italia, invece, non risulta che l’analisi finanziaria del progetto sia mai stata presentata al pubblico.
Il Primo Ministro francese – rispondendo alla nota della Corte dei Conti l’8 ottobre scorso (da qui la pubblicazione solo recente dei due documenti) – non entra in alcun modo nel merito degli allarmanti “numeri” snocciolati dalla Corte ma, in un documento di singolare lunghezza, parla dei molteplici e pressanti impegni presi in passato con l’Italia e la Commissione Europea. Sorprendentemente (o forse no), ci sono molte somiglianze tra gli argomenti del Primo Ministro francese e quelli usati da gran parte dei politici e dei governanti italiani. A Parigi e a Roma chi ha il dovere di decidere non sembra voler discutere dell’utilità sociale di questo particolare investimento in relazione ad altri possibili progetti su cui impegnare i denari pubblici, ma unicamente evidenzia come la scelta sia frutto dell’altrui volontà, che ci si è reciprocamente vincolati a soddisfare. Viene in mente – che il flatus arrivi da Roma o da Parigi – l’auto-assolutorio borbottio delle vergini spose alla prima notte di nozze: “…non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio”.
Al margine, va segnalato che la nota della Corte dei Conti e la replica del Ministro hanno aperto un vivace dibattito in Francia. In Italia, invece, stampa e televisioni hanno ignorato tutto (fatta eccezione per il Fatto Quotidiano). Eppure, le notizie dalla Francia dovrebbero poter arrivare rapidamente in Italia: non devono mica inerpicarsi per le balze alpine con trogloditi treni sbuffanti. Però è meglio essere prudenti – devono aver pensato i grandi sacerdoti dell’informazione nazionale: con la situazione dei conti pubblici che abbiamo, a qualcuno potrebbero venire in mente strane idee (conclusione del malpensante Ponti). Chissà, si saranno distratti! (conclusione del Boitani buonista).
(1) Doc. CdC REF 64174 del 1° Agosto 2012
L’onorevole Elio Belcastro, del Partito del Sud, denuncia che il prezzo dei voti, nella sordida compravendita che precede le elezioni, ha raggiunto i 300 euro. Belcastro osserva indignato che, in elezioni precedenti, il prezzo non superava i 70 euro.
Lasciamo da parte facili ironie sul fatto che di solito la lamentela sul prezzo viene dal lato della domanda (chi ha una certa età ricorderà forse la buffa canzone “Carlo Martello” di de André, in cui il sovrano lamenta un certo tipo di inflazione). Il punto che voglio fare e’ molto semplice. L’incremento di prezzo non necessariamente indica un peggioramento del senso civico dei siciliani. Invero, il prezzo dei voti potrebbe essere aumentato a causa di una riduzione dell’offerta di voti. Cioe’, se meno votanti sono disponibili a essere comprati, il prezzo di un voto aumentera’ (in equilibrio). In questo caso, la notizia riportata dall’onorevole Belcastro sarebbe una buona notizia.
Questo paradosso e’ un classico della teoria economica. In un mercato in cui sia la domanda che l’offerta possono variare, l’aumento del prezzo di equilibrio indica solo che il rapporto fra domanda e offerta e’ aumentato; ma non consente di trarre conclusioni sui valori assoluti di nessuno dei due lati del mercato. Per fare un esempio concreto, in un altro mercato illecito, quello della droga, un aumento del prezzo e’ generalmente interpretato come un successo, perche’ e’ evidenza che l’interdizione ha effetto.
Quindi: dalla teoria economica arriva un verdetto di assoluzione dei votanti siciliani (seppure per mancanza di prove)!
Arsenale di Venezia, il luogo simbolo della città. In agosto, dopo due secoli di usurpazione, lo Stato decide di restituirlo ai veneziani: tutto, tranne i pochi edifici ancora utilizzati dalla Marina Militare. La legge prevede anche che ogni reddito proverrà alla città da quel complesso (che evidentemente è inalienabile) dovrà essere impiegato per la sua ristrutturazione.
Il primo “decreto sviluppo” che ricordo era del maggio 2011 (il DL 70, finito poi in Gazzetta Ufficiale il 12 luglio). Conteneva, tra l’altro, “zone a burocrazia zero”, interventi sulla scuola e interventi di semplificazione. Poi nel giugno 2012 abbiamo avuto un altro decreto sviluppo (il DL 83, andato in G.U. l’11 agosto 2012) al cui centro si trovavano “Misure urgenti per l’agenda digitale e la trasparenza della pubblica amministrazione”. Ora un altro decreto sbandierato come ugualmente orientato allo sviluppo (no, scusate: stavolta si chiama “crescita”) promette finalmente semplificazione nei rapporti con la pubblica amministrazione e digitalizzazione dell’amministrazione e della scuola.
Il primo “decreto sviluppo” che ricordo era del maggio 2011 (il DL 70, finito poi in Gazzetta Ufficiale il 12 luglio). Conteneva, tra l’altro, “zone a burocrazia zero”, interventi sulla scuola e interventi di semplificazione. Poi nel giugno 2012 abbiamo avuto un altro decreto sviluppo (il DL 83, andato in G.U. l’11 agosto 2012) al cui centro si trovavano “Misure urgenti per l’agenda digitale e la trasparenza della pubblica amministrazione”. Ora un altro decreto sbandierato come ugualmente orientato allo sviluppo (no, scusate: stavolta si chiama “crescita”) promette finalmente semplificazione nei rapporti con la pubblica amministrazione e digitalizzazione dell’amministrazione e della scuola.
Massimo rispetto per tutti, per carità, soprattutto per chi ha in mano il difficile compito di raddrizzare questo paese. Ma la stanchezza di fronte agli slogan è grande. Abbiamo visto molti più “decreti sviluppo” che sviluppo; non sarebbe meglio evitare di sbandierare etichette di seconda mano e purtroppo logore? Anche il contenuto purtroppo, stanti gli insuccessi del passato, perde di credibilità. Anni di tentativi di digitalizzazione non hanno prodotto gran che (sarei tentato di dire “nulla”, ma non esageriamo). Mentre il tira-e-molla su chi debba guidare l’agenzia digitale continua ad assomigliare ad una rissa da basso impero, e gli investimenti per colmare il digital divide rimangono a livelli (come giustamente dice Squinzi) da aperitivo.
Allo stesso modo lascia perplessi il fatto che l’ennesimo tentativo di semplificare i rapporti tra cittadino e burocrazia non abbiano fatto tesoro degli errori del passato. Credevamo che la legge Bassanini del 1997 avesse messo la parola fine a un rapporto cittadini-amministrazione simile a quello che avevamo nel periodo feudale. Purtroppo la burocrazia è molto più forte del nostro legislatore e ha disfatto tutto quanto si era cercato di fare, come ben sa chi ha a che fare quotidianamente con i processi amministrativi.
Perché l’attuale tentativo di riforma digitale dovrebbe funzionare? Sono stati modificati in profondità i sistemi di incentivi, remunerazione e controllo all’interno delle pubbliche amministrazioni? Questo Governo riesce a farci rimpiangere Brunetta! Inutile mettere su carta tante riforme se poi la loro attuazione resta nella totale discrezionalità della nostra burocrazia, il cui potere risiede non certo nella semplificazione ma -al contrario- cresce proprio quando i processi sono oscuri e incontrollabili. Come dicono gli americani, è inutile pensare che il tacchino apparecchi la tavola per Natale.
Intervenendo a un convegno, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha sottolineato che le remunerazioni dei top manager bancari non sembrano “coerenti con l’attuale fase congiunturale”. Sante parole.
Compenso del governatore della Banca d’ Italia: 682.000 euro
Stipendio di Ben Bernanke, chairman della Fed: 154.000 euro (200.000 dollari).