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GRECIA, UN’OCCASIONE DA NON SPRECARE

Il popolo greco si è dimostrato più lungimirante della Troika. Non ha ceduto alla tentazione di premiare con il voto il partito (Syriza) che prometteva di stracciare il tristemente famoso Memorandum, che ha imposto pesanti condizioni alla Grecia in cambio degli aiuti finanziari dei partner europei. La campagna elettorale di quel partito ha finito per trasformare le elezioni del 17 giugno in un referendum sulla permanenza nell’euro, e i Greci hanno responsabilmente scelto di restare nell’area euro, facendo così prevalere un obiettivo di lungo periodo sui sacrifici immediati necessari per raggiungerlo. Al contrario, la gestione delle trattative da parte della Troika è stata finora caratterizzata dall’imposizione di target di bilancio impegnativi e con scadenze molto ravvicinate. Più volte abbiamo sottolineato che questo modo di gestire la crisi greca è stato miope e ha esposto i paesi dell’area euro al rischio di un evento traumatico quale l’uscita di un paese membro dalla moneta unica. Se ciò avvenisse, l’unione monetaria sarebbe declassata ad un accordo di cambio, nel quale gli attacchi speculativi potrebbero rendere insostenibile il costo del debito pubblico per altri paesi, costringendoli ad uscire dall’area euro. La crisi di un piccolo paese si trasformerebbe così nella crisi della moneta unica nel suo insieme.
Ora si apre una finestra di opportunità. Il peggio potrà essere evitato solo se l’Europa sarà veramente disponibile a rivedere la sua impostazione, trattando con il nuovo governo una revisione degli accordi che conceda alla Grecia il tempo per fare le riforme strutturali di cui ha bisogno: revisione del meccanismo di riscossione delle imposte, snellimento della pubblica amministrazione, privatizzazioni. Paradossalmente, la Troika si troverà costretta a trattare con il maggiore responsabile di questa situazione: Samaras, leader del partito (Nuova Democrazia) che, quando era al governo nel 2009, comunicò dati falsi sul bilancio pubblico. Questo è il risultato di avere messo alle corde il governo socialista di Papandreou, costringendolo di fatto alle dimissioni, e di non avere fatto nulla per agevolare il governo tecnico di Papademos. I margini di trattativa sono ristretti, data la scarsa flessibilità della Troika. Prepariamoci al rito delle estenuanti negoziazioni, sotto la minaccia di non erogare le prossima tranche di finanziamenti europei, senza la quale il governo di Atene sarà insolvente tra un mese.  

FOTOVOLTAICO: FINITA LA FESTA RIMANE IL CONTO DA PAGARE

Nonostante la recessione, un settore industriale ha continuato a crescere in Italia: il fotovoltaico. Grazie agli incentivi, pagati dagli italiani con aumenti delle bollette elettriche. Tra l’altro, la crescita della produzione da fonti rinnovabili avviene mentre scende la domanda complessiva di energia elettrica. Senza contare lo sbilanciamento della rete dovuto alla forte variabilità della produzione fotovoltaica ed eolica, che finirà per aumentare il costo richiesto dai gestori di centrali termoelettriche per tenere a disposizione un’alta capacità di riserva.

ENERGIA RINNOVABILE: OLTRE IL COSTO DEGLI INCENTIVI

I due decreti che ridefiniscono il sistema degli incentivi alle rinnovabili elettriche sono nati sotto una cattiva stella: bocciati dalla Commissione europea, poi approvati con modifiche dalla Conferenza Stato-Regioni. Vedremo ora cosa succederà in Parlamento. Ma parlare ancora dell’eccessivo costo degli incentivi e dell’onere per le bollette degli italiani significa mettersi in un’ottica molto ristretta. Mentre dovrebbe essere ferma la volontà di rendere il sistema progressivamente meno dipendente dalle fonti fossili e dagli approvvigionamenti dall’estero.

NOMINE, BASTEREBBE IL MINIMO SINDACALE

Sulle nomine, partiamo da qualche citazione. Sul sito bersanisegretario.it si legge “Dobbiamo riportare il merito dal cielo alla terra” (Pier Luigi Bersani).  Su angelinoalfano.it si dice della “volontà di dar vita a un ”partito degli onesti” e che valorizzi il ”merito” (discorso tenuto a Mirabello).  Lascio ai lettori valutare se esista qualche ragione per la quale dobbiamo prendere sul serio queste due persone.
Le nomine sono chiaramente un segnale importante di quanto si prende sul serio il momento attuale e la gestione di snodi importanti del nostro sistema economico quali il sistema delle telecomunicazioni (l’autorità per le comunicazioni) o dei trasporti (si attende già da un po’ la nomina del primo collegio della neo-costituita Autorità per questo settore). Sotto questo profilo è evidente, ma già lo sapevamo, che la nostra classe politica è inadeguata.
Detto questo, su due ruoli fondamentali quali il presidente dell’Agcom e l’Autorità dei trasporti il pallino è in mano al Governo. C’è solo da sperare che il Governo sappia prendere le distanze, ma non con le solite parole poco utili: con i fatti. Occorrono – semplicemente – persone con competenze e capacità che le rendano all’altezza dei problemi che dovranno affrontare.
Qualcuno parla di “coraggio”. No. La nomina di persone competenti non sarebbe un atto di coraggio, di elevato contenuto morale o simili. Vorrebbe semplicemente dire “fare le cose normali”.
Si tratta di nomine chiave in posti non ornamentali, di ruoli di gestione di nodi importanti del nostro sistema economico. Chiedere che incarichi delicati siano attribuiti a persone competenti è chiedere semplicemente che il Governo faccia il suo “banale” dovere. Il fatto che questo Governo abbia poco coraggio è purtroppo evidente da tempo. Quello che chiediamo ora è molto meno del coraggio: chiediamo solo il minimo sindacale.

CHI C’È DIETRO A BEPPE GRILLO

Il presidente Napolitano ha scelto di sminuire il successo elettorale dei grillini, ricordando nostalgicamente che il vero boom ebbe luogo negli anni 60. Per molti commentatori politici, si è trattato di un (inutile) voto di protesta da paragonare all’astensione. Il voto degli scontenti. Forse è perché oggi sono in molti in Italia ad essere scontenti, ma gli elettori dei grillini non possono essere descritti come persone che vivono ai margini della società. Anzi. Si tratta per la maggior parte di uomini tra i 35 e i 45 anni, con un elevato titolo di studio, che risiedono nelle grandi città. Gli elettori del Movimento 5 Stelle non sono dunque solo indignados, giovanissimi che, come in Spagna, vedono il loro futuro ipotecato dalla crisi economica, né donne in cerca di maggiori spazi in una società ancora troppo maschilista. Sono piuttosto i rappresentanti di una delle fasce d’età tipicamente più dinamiche della società e del mercato del lavoro, che dovrebbe essere in prima fila per contribuire alla rinascita ed alla crescita del paese. E che invece in Italia si ritrova senza presente, con un lavoro incerto, in un paese ingessato dai corporativismi, e dalla gerontocrazia, che ha smarrito da troppi anni la via della crescita economica. Se si tratta di un voto di protesta è una protesta che viene dal cuore della società, e che deve far riflettere sul futuro del paese. Gli anni 60 sono lontani. Le elezioni amministrative hanno mostrato che oggi c’è bisogno di un profondo rinnovamento della classe politica. Ciò è possibile. Alcuni esempi: nuove regole elettorali, come il doppio turno di collegio, che consentano ai cittadini di eleggere veramente i propri rappresentanti anche nelle elezioni politiche, garantendo però nel contempo la governabilità, così come appunto succede con i comuni. Drastica riduzione dei deputati e senatori, affinché il rapporto numerico tra rappresentanti e cittadini sia in linea con quello degli altri paesi europei. Modifica della legge sui finanziamenti ai partiti, che vanno immediatamente ridotti, con sistemi di rimborso che non premino solo coloro che in quel momento sono al potere.

IDEONA: IL PAREGGIO DI BILANCIO!

Il Senato ha approvato in seconda lettura e con la maggioranza dei due terzi dei parlamentari (dunque senza richiedere un referendum confermativo) la legge che introduce nella nostra Costituzione l’obbligo del bilancio in pareggio. A distanza di meno di 24 ore il governo ha varato il Documento di Economia e Finanza (Def) che sancisce che l’obiettivo del pareggio di bilancio non verrà raggiunto nel 2013, come il nostro Paese si era impegnato a livello europeo, ma, nella migliore delle ipotesi nel 2015. Secondo il Fondo Monetario dovremo attendere addirittura fino al 2017 per centrare questo obiettivo. Abbiamo perciò introdotto nella nostra Costituzione  un principio per violarlo fin dall’inizio? Non si rischia in questo modo di ulteriormente indebolire la Costituzione che dovrebbe invece racchiudere norme non facilmente derogabili e modificabili dal Parlamento? In realtà, la tabella sugli obiettivi di finanza pubblica contiene una nota che sostiene che non solo “l’obiettivo sarà raggiunto, ma anche ampiamente superato in termini strutturali (corsivo nostro)”. In altre parole, ci sarà un deficit ma solo perché il livello del Pil sarà molto basso a causa del ciclo economico sfavorevole. Il bilancio aggiustato per il ciclo sarà in attivo già nel 2013. Tutto bene, dunque? Il problema è che, come scriveva Martin Wolf sul Financial Times, nessuno sa cosa precisamente sia il bilancio aggiustato per il ciclo o il disavanzo strutturale. Ad esempio, nel 2007 il Fondo Monetario Internazionale accreditava la Spagna di un surplus strutturale consistente e l’Irlanda di un bilancio strutturalmente in pareggio. A quattro anni di distanza, il Fondo aveva rivisto le stime del bilancio strutturale per questi stessi paesi concludendo che entrambi i paesi nel 2007 erano in deficit di bilancio e l’Irlanda addirittura di più dell’8 per cento. Come è possibile dare forza di legge a stime che sono, per la loro stessa natura, fortemente aleatorie? E chi farà tali stime? Sarà il governo stesso a stabilire l’entità dello scostamento ciclico? O dovremo chiedere alla Corte Costituzionale di imparare l’econometria? A inizio agosto 2011, nel commentare l’intenzione del Governo Berlusconi di introdurre il bilancio in pareggio in Costituzione, citavamo un proverbio turco “Se stai annegando ti aggrappi anche a un serpente”. Per fortuna, grazie al Governo Monti, ci siamo un po’ allontanati dal rischio di annegamento. Proprio per questo pensiamo sarebbe meglio trovare modi più convincenti nel rendere credibile il nostro impegno di rientro del debito. Invece di imitare il Ministro Tremonti il quale, per stimolare la crescita, voleva cambiare l’articolo 41 della Costituzione, sarebbe meglio iniziare facendo sul serio la spending review, a partire dai capitoli di spesa che sono oggi sotto gli occhi di tutti gli italiani perché contornati di episodi di corruzione: la spesa sanitaria e i costi della politica, in primis rivedendo le norme sul finanziamento pubblico ai partiti. Parafrasando il Ministro Passera, crediamo possano venire maggiori benefici dall’attuazione di ideuzze concrete su come tagliare la spesa che dall’ideona del pareggio di bilancio in Costituzione.

L’INESODABILE

Il Presidente dell’Inps Mastrapasqua, nel corso di un’audizione parlamentare, si è rifiutato di rilasciare dati sul numero dei cosiddetti lavoratori “esodati”, lavoratori bloccati dalla riforma pensionistica varata dal governo in novembre e precedentemente licenziati dalle loro aziende nell’aspettativa che avrebbero poi fruito delle pensioni d’anzianità. Come è noto, il Governo aveva inizialmente ignorato il problema e poi fortemente sottostimato il loro vero numero. Si trova così ora a dover reperire faticosamente risorse per finanziare ammortizzatori sociali che, presumibilmente, costeranno di più delle pensioni d’anzianità inizialmente previste per loro. Il Presidente dell’Inps ha detto in Parlamento che i dati li darà solo al Governo. Peccato che sul sito dell’Inps venga esplicitamente sostenuto che l’Inps vuole “offrire un contributo alla conoscenza e all’analisi dei principali elementi del sistema di previdenza e d’assistenza del nostro Paese.” Rientra, in effetti, tra le funzioni istituzionali dell’ente, quella di fornire statistiche sulla copertura dei sistemi assicurativi e assistenziali che gestisce.
Non è la prima volta che Mastrapasqua mostra di ignorare i compiti di informazione del suo istituto. Nota la sua dichiarazione riguardo all’opportunità di informare i giovani sul loro futuro previdenziale: “se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati, rischieremmo un sommovimento sociale”. I comunicati stampa dell’Inps sotto la gestione Mastrapasqua offrono sistematicamente poche informazioni e tantissime interpretazioni in genere favorevoli al governo in carica.  Ad esempio, al picco delle ore di Cassa Integrazione nell’agosto 2010, il comunicato Inps sottolineava come “diminuisce ancora il tiraggio della cassa integrazione”, vale a dire il grado di utilizzo delle ore autorizzate . Singolare che il comunicato non riportasse il numero di ore utilizzate, ma solo le percentuali di cosiddetto tiraggio. Il fatto è che moltiplicando le percentuali di “tiraggio” riportate dal comunicato per il numero di ore autorizzate, si sarebbe scoperto che l’utilizzo della Cassa era aumentato.
Forse è per questa sua “capacità comunicativa” che Mastrapasqua sta superando ogni record di durata alla guida dell’istituto. E il decreto salva-Italia ha salvato la sua poltrona per altri 3 anni. L’art 21, comma 9, della legge 214/2011 infatti, ha prorogato la durata in carica del Presidente  dell’INPS fino al 31  dicembre  2014.

IL PRIVATO è POLITICO

E’ un vecchio slogan degli anni Settanta. Segnò l’irrompere della politica in territori fino ad allora esclusi, dalla sessualità ai rapporti di coppia all’impegno come progetto complessivo di vita. Deve essere tornato in mente a Francesco Belsito, un uomo alla cui vista proviamo un naturale moto di stima per Cesare Lombroso. Belsito, amministratore della Lega Nord, Sottosegretario alla Semplificazione, Consigliere di Amministrazione di Fincantieri, una delle maggiori imprese italiane a proprietà pubblica, un curriculum costellato di incidenti, dal diploma conseguito (forse) a Fratta Maggiore con firme dubbie del preside alle due Lauree estere da istituzioni non riconosciute, una scalata politica degna di un oro olimpico, da autista di Biondi agli albori di Forza Italia alle attuali e ben remunerate responsabilità pubbliche, una disinvoltura nei rapporti che lo vede in pericolose prossimità con personaggi della ‘ndrangheta, una naturale attrazione per gli investimenti in luoghi esotici e discreti, dalla Tanzania a Cipro. Il privato è politico, dicevamo, deve essere tornato a mente dell’ottimo Belsito quando ha pagato la fattura per il rinnovo del tinello di casa Bossi con i soldi del rimborso delle spese elettorali. Non destasse orrore, si potrebbe dire: un uomo del nostro tempo.

L’AUTOGOL DEL CALCIO ITALIANO

Ennesima puntata dal calcioscommesse. Andrea Masiello, ex capitano del Bari, si è autoaccusato di avere venduto la il derby con il Lecce del maggio scorso per circa 300mila euro (da dividere con alcuni compagni di squadra), contribuendo attivamente alla sconfitta della sua squadra con un autogol intenzionale. Una delle domande più ovvie è: perché in Italia? Perché non ci sono partite truccate in Premier League o in Bundesliga?
Una possibile spiegazione viene dalle parole di Masiello, il quale, per giustificare la combine, ha detto che il Bari non pagava più gli stipendi e pertanto i giocatori dovevano arrangiarsi. C’è dunque una connessione tra le partite truccate e lo stato economico disastrato del calcio italiano emerso recentemente da un rapporto di Figc, Arel e Pricewaterhousecoopers. Per quanto si pensi che tutti i calciatori siano super-ricchi, in realtà molti di essi lo sono solo sulla carta, dato che le società pagano spesso in ritardo gli stipendi e non sempre interamente. Non è un caso che i nomi implicati siano quelli di giocatori di secondo piano o vicini alla fine dell’attività agonistica, cioè coloro per cui è più pressante il problema di cosa fare dopo il calcio giocato. Nessuno deve piangere per i problemi dei calciatori, che restano mediamente dei privilegiati, beninteso, ma mettere sullo stesso piano Masiello e Ibrahimovic è solo populismo.
Cosa si può fare allora per evitare altri casi Masiello? In primo luogo sarebbe bene che il controllo sui conti delle società, fatto dalla Covisoc, fosse più rigoroso in modo tale da evitare che i calciatori rimangano senza stipendi per mesi. Saranno anche pagati troppo, ma se c’è un contratto esso va rispettato per tutti, anche per i calciatori. Bisognerebbe inoltre riflettere sulla possibilità di ridurre il numero di squadre ammesse alla serie A e alla serie B. Alcune di esse sono palesemente inadeguate dal punto di vista finanziario alla sfida. Il Bari lo scorso anno era di fatto retrocesso dopo poche giornate, come il Cesena quest’anno. Anche senza che le partite siano vendute, il campionato risulta ugualmente falsato. In terzo luogo, dobbiamo penalizzare severamente i protagonisti delle combine. Platini, presidente dell’Uefa, propone una radiazione a vita, che impedisca ai corrotti anche di diventare allenatori o dirigenti. Bene. Ma bisogna ricordare che truccare una partita di calcio non è quasi mai un’attività individuale. Ci vuole che ci sia l’accordo di un gruppo di giocatori per essere certi di indirizzare il risultato. Questo implica che nella squadra interessata da una combine ci siano delle voci che girano (il portiere del Bari Gillet aveva forti sospetti sull’autogol di Masiello, come si vede dal filmato diffusissimo ormai sulla rete). La vera domanda è allora: possibile che le società coinvolte non sapessero nulla? Nessun dirigente parlava con la squadra? Nessuno aveva dei sospetti sui calciatori implicati? Se così fosse le società sarebbero responsabili quanto meno di mancato controllo dei loro tesserati. Sta a loro fare in modo che le squadre vadano in campo per cercare di ottenere, nei limiti delle loro possibilità, il miglior risultato sportivo. In altre parole, occorre riflettere sulla possibilità di sanzionare le società per le loro omissioni nella sorveglianza dei calciatori. Certo, è una strada non priva di controindicazioni perché non è mai semplice accettare il principio del “non poteva non sapere” come base per una sanzione, ma non è nemmeno tollerabile che gli spettatori, dopo un autogol, debbano chiedersi se c’è dietro una combine.

Rigore e crescita!?

Lunga e dura è la scalata

che al PIL dobbiamo fare:

le giornate sono amare,

Monti monta di giornata.

 

Dice siamo improduttivi,

la pension va ritardata,

tutta Italia riformata,

per riuscir competitivi.

 

Mentrel’IVA s’incrementa,

il gasolio ancora sale,

con la base catastale,

ecco l’IMU che ci addenta.

 

Son più care le carote

le bollette più salate,

fare il pieno quest’estate,

lascerà le tasche vuote.

 

Pure in banca che salasso

spese, tasse e commissioni

nulla fruttano i milioni,

meglio i soldi in materasso.

 

Ma ora crescita s’aspetta,

finalmente anche al precario

verrà dato un buon salario,

con del Passera ricetta.

 

Sarà l’Aquila costrutta,

i foresti investimenti

soffieranno come i venti,

sull’Italia men corrutta.

 

Ed il debito pregresso,

senz’articolo diciotto,

ch’era ormai tabù decotto,

lo vedrem tagliato e flesso.

 

Forse sogno o sono desto?

Anche se provo un magone

a sentir un tal Martone,

lo sviluppo verrà presto:

 

e perciò confido e spero,

in Herr Mario e la Fornero.

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