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QUANDO LA COSTITUZIONE FA A PUGNI COL FEDERALISMO

Di tanto in tanto emergono proposte per inserire nella Costituzione limiti numerici alla pressione fiscale o alla spesa pubblica. Così nella riforma costituzionale del 2005 (poi respinta dal referendum) si stabiliva che dal federalismo non poteva derivare un aumento della pressione fiscale. Nella proposta di un gruppo di senatori presentata in questi giorni (vedi allegato) si fissa un limite al 45 per cento del Pil per la spesa pubblica. Il principale motivo per essere contrari a questo tipo di regole è che esse equivalgono a rinunciare alla politica fiscale (cosa non da poco per chi già non controlla la politica monetaria).
Nel caso italiano vi è anche un altro aspetto: queste regole sono in contraddizione – insanabile – con i principi del federalismo fiscale inseriti nella nostra Costituzione con la riforma del Titolo V. Regioni ed enti locali hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” (art. 119). Qualsiasi limite alla spesa pubblica o alle imposte totali richiederebbe di neutralizzare l’autonomia finanziaria di tutti i Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Si può imporre in Costituzione il pareggio di bilancio a tutti, si può imporre un limite alla spesa dello Stato o alle imposte erariali, non si può imporre un limite sulla somma delle spese o delle imposte di migliaia di soggetti autonomi. In effetti non si hanno notizie di disposizioni del genere in altri paesi. Insomma, bisogna scegliere: o i limiti alla spesa pubblica e alla pressione fiscale o l’autonomia e la responsabilità locale.
Una postilla: naturalmente un federalismo senza (o con poca) autonomia tributaria locale, dove le imposte sono statali e vengono ripartite tra i territori sulla base del principio “ognuno si tiene una quota delle proprie imposte” (si chiamano “compartecipazioni”) non soffre di questa contraddizione. Peccato che con un modello siffatto – che in parte è quello che stiamo realizzando – gli amministratori locali in pratica continuerebbero a decidere sulle spese ma non sulle entrate. Un modo per scegliere contro autonomia e responsabilità locale.

LA DISCONTINUITÀ PUÒ ATTENDERE

Nel giorno dell’appello di industriali, sindacati e banche a favore di un segnale di discontinuità nella politica economica italiana è passata in secondo piano un’altra notizia. Ieri il consiglio di amministrazione della Cassa depositi e prestiti ha approvato la creazione della Società per le partecipazioni “strategiche”. Sarà una spa con un capitale di 1 miliardo di euro con l’obiettivo di investire in quote di minoranza di imprese operanti in settori “di rilevante interesse nazionale”, quali la difesa, la sicurezza, l’energia, ecc. L’obiettivo è creare valore attraverso una maggiore efficienza e l’aumento di competitività. La Cassa depositi e prestiti specifica che “i requisiti fondamentali delle imprese target sono una situazione di equilibrio economico-finanziario, adeguate prospettive di redditività e significative prospettive di sviluppo”. Resta solo un dubbio: ma se una società ha i conti in ordine adesso e ha ragionevoli prospettive di crescita e di reddito, perché non dovrebbe riuscire a trovare capitali sul mercato? Perché gli investitori privati non dovrebbero finanziare tali imprese? Qual è il fallimento del mercato che sta operando? In che modo questa società riuscirà ad aumentare l’efficienza delle partecipate e la loro competitività? Nulla di questo si evince dal comunicato della Cdp. Tenendo conto che nell’aprile scorso si pensava di usare questo fondo per “salvare” Parmalat dall’Opa di Lactalis, c’è da pensare che questo sarà l’ennesimo strumento per buttare soldi pubblici in operazioni dissennate dal punto di vista economico e selezionate solo in base a criteri politici. Insomma, un’altra delle tante operazioni che hanno caratterizzato la politica economica nella prima e nella seconda Repubblica. Dopo questa fondamentale operazione, tutti in vacanza. La discontinuità può attendere.

LA MIA ALTA VELOCITA È MEGLIO DELLA TUA

Appaiono davvero notevoli le dichiarazioni del governatore della Liguria Claudio Burlando (ex ministro dei Trasporti) che ha sostenuto sui media che l’Alta Velocità Torino-Lione non serve a niente e costa carissima, mentre è essenziale la linea Genova-Milano. In realtà, questa è nota come “terzo valico”, per ricordare che ce ne sono già due su quell’asse, assai poco utilizzati, e pubblicamente dichiarato inutile dall’ad delle Ferrovie Mauro Moretti solo pochi anni fa. Come ha fatto a diventare essenziale tutt’a un tratto? L’ex governatrice del Piemonte Bresso e il governatore attuale Cota, insieme all’ex sindaco di Torino Chiamparino e all’attuale Fassino han sempre assicurato che è vero il contrario e che l’AV Torino-Lione è l’opera più utile che si possa fare. Son tutte persone d’onore, ma chi ha ragione?
La disputa ha anche precedenti illustri: sul “Riformista” due anni fa ci fu un vivacissimo dibattito tra il governatore del Veneto e l’assessore campano ai trasporti Cascetta (professore assai noto nel settore dei trasporti) sui meriti relativi dell’AV veneta e di quella Napoli-Bari. E a proposito della linea AV veneta ancora recentemente (Boitani, Il Sole 24 Ore) alcuni “capitani coraggiosi” di quella regione si offrirono di costruirla a loro spese, certo purché fosse garantito un adeguato ritorno ai loro investimenti (senza precisare da chi ma, chissà perché, sospettiamo che pensassero allo Stato).
Come spiegare questa imbarazzante e “bipartisan” perdita del senso del ridicolo? La motivazione potrebbe essere semplice: si tratta di opere di dubbia utilità, tanto che se gli utenti dovessero pagare con le tariffe una parte non simbolica dei costi di investimento, si scioglierebbero come neve al sole ben prima di essere cementate. Allora devono essere interamente finanziate dalle casse pubbliche, e si tratta di cifre rilevantissime: accaparrarsi una bella fetta dei pochi soldi pubblici in palio fa gola a tutti. Dulcis in fundo, la concorrenza funziona pochissimo in questo settore, per cui una quota consistente dei sub appalti finisce ad imprese locali, che spesso poi manifestano gratitudine ai decisori politici di riferimento (anche in modo lecito, si intende). La funzionalità dell’opera non è davvero in cima all’agenda dei decisori, che nella più parte dei casi inaugureranno i cantieri, ma non ne vedranno la conclusione, essendo i tempi di realizzazione mediamente nell’ordine dei dieci anni. Queste opere tuttavia potranno collegarci ad Alta Velocità ad un importante paese europeo: la Grecia, dove le spese infrastrutturali per le Olimpiadi hanno contribuito non poco allo sfascio dei conti pubblici.

NELLE TASCHE NO. NEL PORTAFOGLIO (TITOLI) SÌ

L’avevano detto, l’avevano giurato, anche a Pontida: non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani! Così è stato. Nelle tasche degli italiani le mani no, ma nel portafoglio si: più precisamente nel portafoglio titoli. Forse quella promessa “nelle tasche mai” nascondeva un trucco: la potevano fare perché l’avrebbero mantenuta e l’avrebbero mantenuta perché nelle tasche degli italiani – eccezion fatta per il portachiavi, l’accendisigari e un fazzoletto di carta  e qualche spicciolo – non c’è niente di attraente.  Oggi possono sostenere di non aver mai parlato di portafogli, solo di tasche e quindi di essere stati, come si conviene a un buon politico, di parola. E il mantenimento della parola e la coerenza in politica pagano sempre.

CONSOB: INDIPENDENZA È CREDIBILITÀ

Ieri la Consob ha convocato i rappresentanti dell’agenzia di rating Standard & Poor’s Italia per chiedere delucidazioni su un report diffuso dall’agenzia lo scorso primo luglio sulla manovra correttiva varata dal governo. Il report sosteneva essenzialmente, l’inefficacia della manovra ai fini della riduzione del rischio sul debito. Due erano i punti sollevati dalla Consob, che ha il potere di vigilanza sulle agenzie di rating, insieme all’Autorità per i mercati e le borse europee (Esma). Il primo era quello relativo alla tempistica del comunicato di S&P, arrivato a mercati aperti. Il secondo riguardava l’affidabilità del report, dato che il testo della manovra non era ancora ufficiale al momento della diffusione del report. Non è ovvio che la prima obiezione sia corretta. I titoli di Stato italiani sono trattati su tutti i mercati mondiali e pertanto è difficile che tutti i mercati in cui essi sono trattati siano chiusi. Più fondata sembra la questione dell’affidabilità delle informazioni su cui S&P ha basato il suo report. Questo episodio si aggiunge alla lunga lista di critiche che le agenzie di rating hanno ricevuto in questi anni. Giudizi su società rimasti positivi fino a pochi giorni prima di insolvenze o scoperta di gravi irregolarità, conflitti di interesse e, come denunciava ieri il Corriere Economia, scarsa trasparenza sulla struttura interna.
Ma, al di là della fondatezza delle obiezioni sollevate,  la decisione della Consob lascia spazio a interpretazioni meno che nobili sulla sua reale motivazione. È difficile resistere alla tentazione di pensare che l’ex sottosegretario all’Economia, Giuseppe Vegas, adesso Presidente della Consob, abbia voluto spezzare una lancia a favore del ministro Tremonti e della sua manovra correttiva. Ed è anche difficile non ricordare come l’ultimo gesto di Vegas prima di diventare Presidente sia stato quello di votare la fiducia al governo Berlusconi. Insomma, un’azione che potrebbe avere una interpretazione perfettamente plausibile può essere vista in una luce meno favorevole a causa del passato di chi compie tale scelta. Sarebbe bene tenere in mente questa considerazione anche nella scelta del futuro Governatore della Banca d’Italia.

CHIEDERE MENO TASSE? RISCHIA DI FARLE AUMENTARE

Il 17 giugno l’agenzia di rating statunitense Moody’s ha annunciato di aver posto il rating Aa2 dell’Italia sotto revisione in vista di un possibile downgrade. Moody’s spiega la sua decisione con tre motivi:
1) le sfide sul fronte della crescita dovute a debolezze strutturali dell’Italia ed una probabile crescita dei tassi di interesse nel prossimo futuro;
2) i rischi collegati all’attuazione dei piani di consolidamento dei conti pubblici che sono richiesti per ridurre l’indebitamento italiano e mantenerlo a livelli sostenibili;
3) i rischi collegati dal cambiamento delle condizioni di finanziamento per i Paesi europei con alti livelli di debito.
Il secondo di questi tre motivi, quindi, ricollega la decisione di Moody’s direttamente alle fortissime pressioni a cui negli ultimi giorni il Ministro del Tesoro Giulio Tremonti è stato sottoposto da parte dei partiti di governo per indurlo a ridurre le imposte.
Se tali pressioni contribuiranno al downgrade del nostro debito pubblico, esse condurranno anche a un aumento dei tassi di interesse pagati dallo Stato italiano. E, data l’enorme massa del nostro debito, anche un minuscolo aumento dei tassi di interesse comporterà un esborso maggiore per lo Stato e quindi un inevitabile aumento del carico fiscale. Ecco quindi che chi oggi strilla perché le imposte scendano potrebbe in realtà essere tra i maggiori responsabili del loro aumento.

LEGHISTI MIEI, FEDERALISTI IMMAGINARI

La proposta di trasferire qualche ministero al Nord inizialmente ai più era apparsa una boutade. Sta diventando una questione seria. Non dovrebbe esserlo.
Dando per scontato che costi (anche finanziari) e problemi organizzativi impediranno anche soltanto di discutere il trasferimento di ministeri significativi, il rischio maggiore è che, per non scontentare nessuno, si ripieghi su una versione soft, con la creazione di sedi distaccate e uffici di rappresentanza. Non sarebbe solo uno spreco di risorse ma diventerebbe un ostacolo a una razionalizzazione della rete periferica dell’amministrazione centrale, questa sì necessaria da tempo.
I maggiori ministeri (Difesa, Giustizia, Istruzione, Beni culturali, Economia, ecc.) hanno un’articolazione periferica che ricalca il disegno delle amministrazioni territoriali. È questa la principale motivazione della spinta a creare nuove Province: contano non tanto gli uffici della Provincia quanto una nuova prefettura, la sovrintendenza, il comando provinciale dei Carabinieri, e così via.
Bisognerebbe snellire queste reti. Soprattutto – se ne parla da almeno dieci anni – ripensare il tutto alla luce del trasferimento di competenze a Regioni ed enti locali. Ci si aspetterebbero proposte su questo da chi vuole la riduzione del peso dello stato centrale. Ma tant’è: scomparsi da tempo i marxisti immaginari di buona memoria (Vittoria Ronchey, 1975), è da un po’ il turno dei federalisti immaginari.

HO GIOCATO TRE NUMERI AL LOTTO…

Che cosa si può dire di un’Irpef a tre aliquote: 20, 30 e 40? Niente.
Si tratta di un’informazione del tutto insufficiente. Se questa, come dice la stampa, è la proposta del ministro, bisogna ricordargli che si è dimenticato di dirci alcune cose importanti: come saranno articolati i tre scaglioni a cui applicare queste tre aliquote? Come saranno articolate le detrazioni di imposta per lavoro, pensioni e per carichi familiari?
Senza queste informazioni le tre aliquote non significano niente, ma proprio niente: possono dar luogo a infinite Irpef diverse.
Un esempio: supponiamo che il mio reddito  lordo sia di 30.000 euro.
Se i primi due attuali scaglioni restassero invariati e il terzo ed ultimo partisse quindi da 28.000 euro, ci guadagnerei 20 euro. Se invece i primi due scaglioni venissero accorpati  così come il terzo e il quarto; allora ci guadagnerei  1.520 euro: una bella differenza!
Ma se poi contemporaneamente la mia detrazione per lavoro dipendente venisse abolita, nel primo caso ci rimetterei 816 euro, mentre ne guadagnerei  684 euro nel secondo.
Di cosa discutiamo dunque?
Meglio aspettare una vera proposta articolata e motivata dell’intera riforma fiscale e non solo del pezzo relativo all’Irpef, di cui siano esplicitamente indicate le finalità e per la quale sia possibile valutare chi ci guadagna e chi ci perde, perché, dato che la riforma dovrà avvenire a parità di gettito, l’unica cosa certa è che non potremo guadagnarci tutti.

FISCO SEMPLICE? GIAMMAI!

Anche quest’anno non mi sono arreso
e con orgoglio e un po’ di presunzione,
lasciate le mie cose, il tempo ho speso
a elaborar qualche dichiarazione;

ché andar da un CAF o da un commercialista
non si convien se si ha l’armamentario
di chi in azienda ha fatto il fiscalista,
forte di laurea in diritto tributario.

Cosa direi agli amici ed ai parenti
se abbandonassi il campo di battaglia?
"Sei vecchio ormai" direbber quei serpenti
"per stare al passo col fisco canaglia".

Come un guerrier che fiero impugna un brando,
il TUIR in mano e l’occhio alle istruzioni,
ho combattuto il mostro duellando
con percentuali, acconti, detrazioni,

codici, spese ed agevolazioni,
un algoritmo degno di alte menti,
procedimenti per compensazioni,
addizionali e simili accidenti.

Sforzo supremo è stato l’affrontare
la cedolare secca sugli affitti.
Basta la Legge? No, la Circolare
occorre attender per cascar da ritti.

E che profluvio di provvedimenti
e testi e guide ed interpretazioni,
quante opinioni, caveat, commenti
di scalzabubbole e professoroni!

Vinta la pugna, stanco e affaticato,
qual penitente con addosso un saio,
levando gli occhi al cielo ho sospirato:
"Dimmi, perché tutto ‘sto gorillaio?"

Ed una voce m’ha trafitto il cuore:
"O vecchio grullo, perché ti lamenti?
Non eri tu che al pien del tuo fulgore
di ciò campavi assieme a tante genti?

E ora che vuoi? La semplificazione?
Che sappia far da sé il contribuente?
Di Adamo Smith sei la reincarnazione?
Questo desir togli dalla tua mente

e lascia tutto se sei ancora a tempo,
ché si profila un mondo più infernale
quando tra poco scenderà sul campo
un nuovo mostro: il Fisco federale".

Andrea Ponziani

Doloroso rientro dal debito

Dalla imperial Brusselle,
per noi tristi novelle,
ossia, pur senza la ripresa,
dovrem troncar la spesa

e il debito pregresso
ridurlo ad un di presso
di molti assai miliardi:
bando a esitar e ritardi!

Dicon che stavolta
sarà la pelle estorta
al medio cittadino,
ridotto a pane e vino.

Per regger la manovra
dovrà il Pil star sovra
ad un livello tale,
per il nostral stivale,

che pur in Cina e India,
ov’è stretta la cinghia,
mai non s’è raggiunto.
Si cresca al doppio punto!!

Ecco qui il problema
per l’italo sistema:
non basta sia enunciato,
come sarà affrontato?

La spesa andrà smezzata,
la produttività doppiata,
sian tutti  più efficienti,
pure gli Stato dipendenti .

Mio caro, popolo italiano,
dal ligure al campano,
amici e pure voi nemici,
siam pronti ai sacrifici?!

Mi piacerà ascoltare,
quel che da dire e fare
avranno tutti quanti quelli,
che fanno i bravi e i belli.

Bersani, vuol rientrare!?
O è meglio rimandare?
Ragassi, mica siamo matti,
Silvio chiappali tu i ratti!

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