Si è conclusa finalmente la questione Alitalia Air France. Come pronosticato più volte negli ultimi mesi, Alitalia è finita nellorbita di Air France, quindi finalmente la partita è chiusa. E una buona compagnia aerea senza grandissime ambizioni che però avrà un suo futuro, un futuro dato proprio da questo partner straniero perché dà solidità alla compagine azionaria, dà garanzie ai clienti, dà garanzie ai lavoratori. Ci si può chiedere perché è stata così lunga la strada per arrivare a questa soluzione, che era già stata prefigurata, con condizioni peraltro migliori per lo stato italiano, molti mesi fa. Ora resta aperta la partita degli aeroporti. Si fa un gran parlare di Malpensa e di Linate, ma la questione è relativamente semplice: Cai accetta di investire in Malpensa a patto di eliminare ogni concorrenza con gli aerei da Linate. Altro non è che il vecchio piano che, da dieci anni a questa parte, ha cercato di mandare avanti. In realtà è un piano che già negli anni scorsi si è mostrato fallimentare e che è contrario agli interessi di sviluppo del Nord. Ci sono le infrastrutture che sono Linate e Malpensa; lunica strada coerente con le esigenze di sviluppo è proprio quella di liberalizzare lutilizzo degli aeroporti e di conseguenza aumentare lofferta. E lunica strada utile per lo sviluppo industriale del paese.
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Tengo ancor sugli scaffali
i miei vecchi manuali,
dove allora sinsegnava
che sul prezzo comandava
la domanda con lofferta,
che tiravan la coperta,
da sua parte ciascheduna
a favor di chi consuma.
Cera in banca la raccolta
dei depositi, ben folta,
ed i soldi risparmiati
alle aziende reimprestati.
Non di carta, ma reali
eran sì i fondamentali,
mentre il deficit statale
più di tanto non su sale.
Poi i tempi son cambiati,
ed apparsi i derivati
con i fondi ed i futuri,
dagli aspetti un poco scuri.
Tutto fecesi globale,
la finanza agì letale
e le index delle banche
di limpiezza furon manche.
Il castello delle carte
costruito fu con arte,
però al soffio del Madoffie
son crollate le scartoffie.
Ma dellonda del gran crackque,
mai nessuno si compiacque
di predire chera in vista
e silente, molto fu l economista.
Dei bei tempi ho nostalgia
del Fenizio e il De Maria,
quando lIRI era un modello
e la crisi… si parava con lombrello,
mentre adesso è uno tsunami:
chissà… se basteran gli Obami!
Nel processo Parmalat di Milano, (quasi) tutti assolti tranne il fondatore dell’azienda Calisto Tanzi. Assolti soprattutto i manager di Bank of America che sono stati certamente in buoni e frequenti rapporti con Tanzi per tutto il periodo in cui il crack è stato in fase di cottura.
Non succede solo in Italia. Anche nelle cause civili intentate negli Stati Uniti, Bank of America e Citigroup, l’altro grande istituto bancario implicato nella vicenda, l’hanno fatta franca. Sembra proprio che le grandi banche in un modo o nell’altro riescano sempre a non pagare.
E’ una sensazione molto sgradevole. Soprattutto in un periodo in cui a causa della crisi bancaria e finanziaria degli ultimi tre mesi, i governi di tutto il mondo hanno messo da parte un ingente ammontare di risorse pubbliche – dunque denaro dei contribuenti e quindi anche di quelli truffati – per ricapitalizzare le grandi banche, messe in difficoltà dall’evolversi della crisi di mutui e derivati.
Impunite e troppo grandi per fallire: non è forse un po’ troppo?
Non per la politica italiana. Di fronte a tutto ciò, con raro tempismo, il consiglio dei ministri prende in esame un decreto milleproroghe, il solito decreto milleproroghe di fine anno, che tra le altre cose rinvia di sei mesi i termini dell’entrata in vigore della class action, cioè la possibilità di azione collettiva risarcitoria da parte dei truffati in situazioni come Parmalat e Cirio.
Proprio un bel regalo di Natale per i risparmiatori italiani!
La proposta di equiparare letà di pensionamento delle donne a quella degli uomini (rispettivamente 60 e 65 nella legislazione attuale) è sensata da un punto di vista attuariale se si considera che le donne vivono in media più a lungo degli uomini. Inoltre una compensazione ex post per gli svantaggi che le donne devono fronteggiare durante le loro carriere, che consiste nella possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro, conferma le differenze tra uomini e donne invece di appianarle. In particolare la differenza più marcata tra uomini e donne è nella partecipazione al lavoro e un trattamento pensionistico di favore non rappresenta certamente la molla che convincerà le donne a partecipare alle attività produttive. Tuttavia occorre precisare che la sentenza della corte europea, tesa ad armonizzare le età di uscita, si concentra sui lavoratori pubblici, in quanto appartenenti a uno specifico regime professionale, e quindi non obbliga lItalia ad un trattamento di parità previdenziale tra generi in tutti i casi.
Il vero problema è che, pur essendo cresciuta letà media di pensionamento, i lavoratori italiani vanno ancora in pensione troppo presto rispetto alla media europea, uomini e donne. La soluzione è quella di ristabilire, da subito, i criteri di uscita flessibili della legge del 1995 (legge Dini). Queste regole prevedevano una finestra di uscita tra i 57 e i 65 anni con livelli diversi della prestazione pensionistica che crescevano al crescere delletà di pensionamento. Per agganciarsi alla normativa vigente per le pensioni di anzianità si potrebbe prevedere una finestra di 58-66 anni. Naturalmente in questo caso lintera pensione (e non solo la quota contributiva) dovrà rispondere alle regole del sistema contributivo con una penalizzazione per chi va in pensione prima (una decurtazione della pensione) e un premio per chi va più tardi. Oltre a garantire una parità di trattamento tra uomini e donne, sarebbe salvaguardata la sostenibilità del sistema pensionistico e si realizzerebbero dei risparmi per le casse dello stato.
Il mercato del lavoro ha tenuto, più che altro, grazie ai lavoratori stranieri. I dati pubblicati oggi dallindagine sulle forze lavoro relative al terzo trimestre del 2008 mostrano un mercato del lavoro che tra giugno e settembre del 2008 non ha perso posti di lavoro. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 6,1 per cento rispetto al secondo trimestre.
Anche se non vi è stato il crollo temuto, la situazione del mercato del lavoro segna un chiaro peggioramento su base annua. Confrontando i dati con il terzo trimestre del 2007, i nuovi occupati nellanno sono stati 100 mila circa, una quantità decisamente inferiore a quella registrata negli ultimi due anni.
Il dato forse più significativo su base annua è la leggera caduta del tasso di occupazione, ossia del rapporto tra occupati e popolazione in età lavorativa. E la prima volta da diversi anni. Il motivo della caduta di questo rapporto è legata allaumento del numero di lavoratori potenziali. Questultima, a sua volta, è legata alla popolazione straniera e al suo assorbimento nel campione delle forze lavoro. Nel dettaglio, in un anno loccupazione straniera è aumentata di 285 mila unità, mentre loccupazione italiana è diminuita di circa 180 unità. In altre parole, dobbiamo ringraziare gli immigrati se il mercato del lavoro ha tenuto.
Sul fronte interno, si conferma il forte dualismo territoriale. L’occupazione nel Nord del paese è infatti aumentata dell1 per cento, quando nel mezzogiorno si è registrata una diminuzione dello stesso ammontare. Anche questo dipende in larga misura dagli immigrati, perché sappiamo bene che gli immigrati sono molto più mobili e tendono a spostarsi in posti a maggior domanda di lavoro.
Il maestro unico sarà facoltativo. Questa è la decisione che è stata annunciate nei giorni scorsi dal ministro Gelmini. Le famiglie potranno scegliere tra un impegno scolastico di 24 ore (il maestro unico), 27 ore oppure 40 ore (il tempo pieno con due maestri). Il ministro Gelmini, con questa decisione, ha fatto un passo indietro ed un passo avanti. Ha fatto un passo indietro rispetto alle dichiarazioni dell’autunno in cui si faceva passare il maestro unico come una riforma fondamentale per la scuola primaria italiana. In realtà si trattava solo di tagliare sul numero di maestri. Grembiule, maestro unico e "libro unico" erano solo un tentativo di camuffare come progetto educativo quella che era solo un’esigenza di bilancio.
Bene ha fatto il ministro a recedere da un provvedimento puramente ideologico, ma non era in linea con le esigenze di gran parte delle famiglie italiane. Ma sarebbe sbagliato parlare solo di un passo indietro. Garantendo la possibilità di scegliere tra 24, 27 e 40 settimanali, il Ministro ha garantito alle famiglie l’opportunità di adattare l’impegno scolastico dei figli con le proprie esigenze. E’ molto probabile che nelle città la richiesta del tempo pieno sia massiccia, mentre nei centri più piccoli le 24 ore potrebbero avere una maggiore domanda. Tutto bene, dunque? In realtà ci resta una perplessità. La flessibilità, se sarà veramente garantita a tutte le famiglie, rischia di entrare in conflitto con l’obiettivo, ribadito da Ministro, di attuare il piano di tagli all’organico degli insegnanti della scuola primaria, a meno di non procedere ad una forte riduzione dei plessi scolastici e all’aumento del numero medio di studenti per classe. Aspettiamo di conoscere meglio i piani del Ministro Gelmini per capire come concilierà maggiore possibilità di scelta e riduzione dei costi. Come dicono gli inglesi, il diavolo è nei dettagli.
Con molta discrezione, i primi ministri della Cina, del Giappone e della Corea del Sud si sono riuniti a Fukuoka a parlare della crisi.
E una notizia passata un po inosservata sui media europei. Ma è una notizia, dato che, fino a ieri, i tre paesi erano come il cane e il gatto, veri e propri nemici storici.
Oggi invece cinesi, giapponesi e coreani hanno scoperto di avere almeno una cosa in comune: unalta propensione al risparmio. Qualcosa che li ha indotti a mettere da parte i loro litigi passati. Risparmiare una frazione elevata del proprio reddito è oggi una virtù rara, in un mondo in cui tutto il risparmio è stato bruciato dalla crisi dei mutui.
Cosa si saranno detti cinesi, coreani e giapponesi nel meeting?
Poche cose semplici, probabilmente.
- Prima di tutto, che gli americani hanno bisogno di soldi per salvare il loro capitalismo
- Secondo, che gli europei litigano e fanno pace ma alla fine non possono garantire un loro contributo alla stabilità economica mondiale
- Terzo, che – messi insieme – i tre paesi asiatici producono il 22% del Pil mondiale, più degli Usa e più dellEuropa. E che quindi stavolta, saranno loro, gli asiatici risparmiatori, a salvare il mondo dalla crisi
Se sarà così, prepariamoci: non lo faranno certo gratuitamente.
Molta attenzione è stata posta sulla tassazione di Sky, ma il decreto anti-crisi ha unaltra perla: lannullamento retroattivo dellagevolazione fiscale sul risparmio energetico.
In base alla normativa pre-decreto, chi nel corso del 2008 avesse effettuato investimenti atti a realizzare risparmio energetico aveva diritto ad una detrazione fiscale del 55%. Lo spirito della normativa era chiaro: incentivare investimenti finalizzati al risparmio energetico. Ma una volta che gli investimenti sono stati realizzati, ovvero a fine novembre 2008, perchè non rimangiarsi la promessa di de-tassazione? E esattamente quello che il decreto legge anti-crisi fa, in osservanza al principio del chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato (efficace espressione per quello che gli economisti pomposamente definiscono time-inconsistency problem).
Il decreto annulla retroattivamente la certezza del diritto allagevolazione fiscale maturato con la realizzazione degli interventi effettuati nel 2008:
1) definisce un tetto complessivo alle agevolazioni (82,7 milioni di euro per il 2008). Interessante: il tetto si innalza per gli anni futuri; si vogliono incentivare gli investimenti futuri (quelli non ancora realizzati). Stante il volta-faccia corrente, se proprio si vorrà investire in futuro, la strategia dominante sarà quella usuale: non-fatturazione (in nero).
2) Prevede la presentazione telematica delle istanze di agevolazione fiscale per gli interventi realizzati nel 2008 a decorrere dal 15 gennaio 2009 e fino al 27 febbraio 2009.
3) Lesame delle istanze seguirà lordine cronologico prevedibilmente, il 15 gennaio 2009 il sito dedicato andrà in tilt a un minuto dalla sua attivazione.
In buona sostanza, il decreto sostituisce (ex-post) la certezza del diritto con la "lotteria agevolazione fiscale" che ricorda quella che fu la lotteria badanti della Bossi-Fini.
I tempi sono difficili, la crisi incombe e il morale è depresso, è davvero necessario infierire con una immagine così miserevole dello Stato di diritto?
Il ponte di Donghai, vicino a Shanghai (oltre 32 chilometri, a 8 corsie, sul mare) è stato costruito in 3 anni e 6 mesi circa. In Italia, in quei tempi si costruiscono, in media, solo infrastrutture di trasporto di valore compreso tra 10 e 50 milioni di euro (45 milioni ci vogliono per un km di alta velocità ferroviaria, tanto per intendersi). Se si guarda non solo ai tempi di costruzione ma anche a quelli di progettazione e appalto, bisogna aggiungere altri 3 anni e 4 mesi, per un totale di circa 7 anni. Per opere di valore superiore ai 50 milioni di euro (cioè per i lotti di opere sul serio grandi) i tempi di realizzazione salgono a 10 anni e 8 mesi, di cui 4 anni e tre mesi per la progettazione e lappalto.
Questi dati sono contenuti in uno studio (del novembre 2007) condotto dal Dipartimento per le politiche dello sviluppo del Ministero dello sviluppo economico. Studio, peraltro, ormai rimosso dal sito internet del Ministero. Sono dati su cui dovrebbe riflettere chi invoca più spese per nuove grandi opere come strumento anti-recessione. La riflessione potrebbe essere arricchita osservando che solo opere di valore inferiore al milione di euro vengono cantierate in poco più di un anno dallapprovazione e completate in 2 anni. Già per opere di valore compreso tra 1 e 2,5 milioni leffettiva costruzione inizia solo dopo oltre 2 anni. In generale, quindi, la spesa per nuove grandi opere sarà domanda effettiva solo quando, con ogni probabilità saremo fuori dalla fase negativa del ciclo. Morale: se si vuole veramente fare una politica fiscale anticiclica è bene dimenticare le grandi opere, a parte garantire le risorse per completare in tempi decenti quelle già cantierate. Se proprio si vuole spendere denaro in nuovi lavori pubblici, meglio finanziare piccole e piccolissime opere: per esempio le manutenzioni straordinarie delle scuole e degli ospedali. Di questi tempi, oltre a dare ossigeno subito al Pil, si rischia anche di salvare qualche vita umana da eventi troppo frequenti per essere definiti fatalità.
Il 20 novembre i militanti del PS francese, o più esattamente coloro che hanno una tessera del partito socialista, saranno chiamati a votare per eleggere il loro segretario nazionale. La lotta tra Ségolène Royal e Martine Aubry si annuncia serrata, senza dimenticare il terzo incomodo Benoit Hamon. Dato che si tratta di un ruolo politico-organizzativo (non necessariamente il segretario del PS sarà il candidato alle prossime presidenziali) non si raggiungeranno certo i livelli di mobilitazione ottenuti due anni fa per scegliere il candidato da opporre a Sarkozy. E sarà improponibile il paragone con le moltitudini che hanno partecipato alle primarie del Partito Democratico negli USA per scegliere tra Hillary Clinton e Barack Obama. Ad esempio, nellOhio hanno votato in 2.224.907. Alle elezioni del 2004 i voti per il Partito Democratico nello stesso stato erano stati 2.741.265. Ciò significa che a quelle primarie ha partecipato più dell80 per cento dellelettorato di riferimento.
E in Italia? Immaginare che nel Pdl si possa votare per qualcosa di più rilevante dellinno o del colore delle scenografie che fanno da sfondo ai comizi dei loro leader sembra al momento utopistico. Ma le cose non vanno meglio neanche nel PD. Si possono infatti chiamare primarie le elezioni per il coordinatore cittadino del Partito Democratico a Milano che si sono svolte la scorsa settimana? Ad esse potevano votare solo i componenti dei Coordinamenti e i tesorieri di circolo più i consiglieri di zona, comunali, provinciali e regionali, i sindaci ed i parlamentari nazionali ed europei in possesso dellattestato di Socio Fondatore del PD.
Più che elezioni sembrano riunioni per pochi eletti scelti a priori. E i numeri parlano da soli. Hanno votato in 569 mentre alle ultime elezioni politiche il PD a Milano aveva ricevuto 620.460 voti. Quindi meno dello 0,1 per cento degli elettori del PD milanese è stato consultato. E il restante 99,9 per cento? Torniamo dunque alla domanda: sono primarie, secondarie o, meglio ancora, millesimarie?
Si dirà: tanto nessuno sarebbe andato a votare per il segretario di Milano. Forse. Ma è anche vero che con regole di questo tipo non ci sarà mai un outsider disposto a dare il proprio contributo di idee nuove in una vera competizione che può destare maggiore interesse, mobilitando la base elettorale dei partiti. Se vogliono veramente ridurre la frattura tra classe politica e cittadini, se vogliono veramente far sparire la parola casta dal vocabolario della politica italiana, le forze politiche , tutte, dovranno passare per un maggior ricorso allo strumento delle primarie, quelle vere.