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PRENDENDO SUL SERIO L’ALBANIA

Quando era stata avanzata dal Ministro dell’economia in pectore Giulio Tremonti aveva un po’ il sapore della boutade neocolonialista: perché non costruiamo una centrale nucleare nella vicina Albania visto che non è possibile farlo, per varie ragioni, entro i confini nazionali?Presumibilmente l’idea era quella di aggirare le opposizioni di casa e l’esito del referendum del 1987, allo stesso tempo ottenendo elettricità a condizioni privilegiate e vantaggiose. Poi vennero l’assenso di Pierferdinando Casini, Antonio Marzano ed Enrico Letta, le ragionate perplessità di Chicco Testa, e da ultimo lo scetticismo dell’ex-commissario europeo Mario Monti che si sentirebbe “più tranquillo ad avere il nucleare attivo in Francia piuttosto che in altri paesi”. Senza dubbio si riferiva all’Albania, ma forse aveva doti di preveggenza pensando anche ai confini con il nostro Friuli-Venezia Giulia. Quando però il premier dell’Albania Sali Berisha ha dichiarato di non volere escludere i suoi concittadini dal grande potenziale rappresentato dall’energia nucleare e che “l’ideale sarebbe un accordo con i paesi vicini, Italia per prima. Finanzieremo con il governo di Roma un impianto da costruire in Albania” e quando Enel ha dichiarato “nel caso in cui si raggiunge un accordo tra i due governi noi valuteremo questo progetto”, allora abbiamo pensato che si faceva sul serio. Ed allora proviamo a fare sul serio anche noi. Perché l’Italia vorrebbe il nucleare? Possiamo fornire tre ragioni (ma l’elenco non è esaustivo): 1) contribuisce a ridurre le nostre emissioni di gas-serra e quindi ad ottemperare ai vincoli di Kyoto ed europei; 2) riduce la nostra dipendenza energetica dall’estero attraverso minori importazioni di gas usato per produrre elettricità; 3) riduce la bolletta energetica delle famiglie perché il kilowattora prodotto con il nucleare costa meno di quelli prodotti con il gas e con le fonti rinnovabili. Che contributo dà la “proposta albanese” a queste tre esigenze? La risposta è negativa per i primi due quesiti e forse o probabilmente positiva per il terzo. Ma non è chiaro in che misura dovrebbe essere preferibile o più economico importare elettricità dall’Albania anziché – come di fatto stiamo correntemente facendo – dalla Francia, dalla Svizzera o … dalla Slovenia.

ALITALIA, TOTO E CATRICALA’

Forse qualcuno dovrebbe ricordare ai tanti protagonisti sulla scena che nella travagliata vicenda Alitalia i destini della compagnia di bandiera non possono sottrarsi ad un severo scrutinio degli effetti sull’assetto competitivo dei mercati. A questo compito verrà chiamata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato quando eventualmente si materializzerà il famoso compratore. Senza volersi sostituire alla disamina che il Presidente Catricalà dovrà effettuare, balza agli occhi la impraticabilità di una soluzione che vedesse Airone di Carlo Toto, il secondo vettore per quote di mercato sulle rotte cruciali del mercato italiano, tra cui il Roma-Milano, tra i protagonisti della vicenda. Non sorprende nemmeno che sia stata invocata da British Airways e da Ryanair la normativa europea sugli aiuti di stato, altro caposaldo delle politiche della concorrenza, in merito al prestito di 300 milioni che ha ridato una boccata di ossigeno ad Alitalia e ha appesantito di altrettanto le tasche dei contribuenti. Senza volersi in questo caso sostituire al Commissario alla Concorrenza Kroes, balza altrettanto agli occhi la pretestuosità con cui si vuole presentare come motivato da ragioni di mercato un prestito ponte di cui è noto il pilone di partenza, l’attuale disastrosa situazione di Alitalia, ma è nascosto nella nebbia quello di arrivo, il famoso compratore. Insomma, dovunque la si guardi la vicenda Alitalia inciampa pericolosamente nei paletti che le normative sulla concorrenza pongono. Questo forse ci aiuta a comprendere come tutti gli spasmi e le contorsioni che si susseguono hanno dietro interessi forti e rendite  arcignamente difese, ma non tengono in minimo conto gli interessi di noi consumatori, di noi semplici passeggeri e di noi contribuenti. Non dubitiamo che le autorità preposte alla concorrenza sapranno al momento buono far sentire la propria voce. L’unica perplessità nasce dal fatto che il momento buono è già giunto da tempo senza che la voce dei custodi della concorrenza si facesse sinora sentire alta e netta.

TREMONTI, FAISSOLA E IL MUTUO CREATIVO

IL GOVERNO OMBRA

Ride al cielo e al solleone,
lieto il premier Berluscone,
mentre all’ombra se ne stanno
i ministri senza scranno.

Dietro a un tavolo quadrato,
son seduti da ogni lato
e seriosi, scarso il fuoco,
hanno parte in questo gioco.

Prende Valter la parola,
come se si fosse a scuola
detta il compito da fare,
ma però senza copiare,

che con sferza e rude piglio,
del governo il neo consiglio
sotto esame, niente sconto,
sarà all’alba ed al tramonto.

C’è agli Esteri Fassino,
la sua è l’ombra di un crissino,
non c’è quella di Fioroni,
che ripassa le lezioni,

a Settembre è rimandato,
come gli altri fu bocciato.
Il Bersan, bravo figliolo,
ripiegato ha il suo lenzuolo

ed Enrico, detto Letta,
nuova, dice, ha la ricetta
perché quella del passato
il paese ha stramazzato.

Maria Pia stall’istruzione,
Linda all’amministrazione,
Ermete del verde si cura:
tutti con la faccia scura!

Nel loft ora l’ombra si è spenta,
pure Dario s’addormenta;
sogni spuntano e chimere,
ma al pensier del cavaliere,

si ridestano pieni d’affanni
“e se l’ombra durasse vent’anni!?”

I SACRIFICI DELLE BANCHE

“Quello che va bene per la Fiat va bene per l’Italia” era un adagio popolare tanti anni fa. Il Presidente dell’Abi sembra averlo riscoperto. Commentando l’intervista in cui il Ministro Tremonti annunciava (peraltro non meglio specificati) sacrifici per petrolieri e banche, Faissola ha affermato: “E’ nell’interesse del Paese che l’industria bancaria sia andata bene, se non altro perché ha pagatotante imposte. Una riduzione degli utili non giova neppure al bilancio dello Stato” (Repubblica, 11 maggio 2008).
Ma perché i profitti delle banche italiane sono così elevati? L’Indagine conoscitiva preparata dall’Autorità per la Concorrenza nel 2007 scatta una fotografia impietosa del settore bancario italiano. “Dall’indagine svolta emerge che il mercato dei servizi bancari si caratterizza per l’esistenza di un deficit informativo a sfavore della clientela, di numerosi ostacoli alla mobilità di quest’ultima, di un frequente ricorso a forme leganti più servizi … La spesa per il conto corrente in Italia è superiore a quella di tutti gli altri paesi considerati. In particolare, la differenza di costo con gli altri paesi oscilla tra il 17% (Germania) e l’83% (Olanda)”. Solo pochi giorni fa Bankitalia è intervenuta per segnalare il mancato rispetto, in numerosi casi, delle norme sulla portabilità dei mutui, che rendono possibile la sostituzione di un istituto bancario con un altro senza costi per il debitore.
Il vero interesse del Paese, Presidente Faissola, sta nell’avere un settore bancario competitivo, in cui sia ridotto il costo dei servizi bancari per la clientela. Ben vengano i profitti delle banche quando sono legati a guadagni di efficienza. Ma fino a che essi provengono da scarsa concorrenza e dal rifiuto di adottare misure a favore della mobilità dei clienti, ben pochi si strapperanno i capelli se alle banche verrà chiesto di fare sacrifici.

TUTTE LE DONNE DEL PRESIDENTE

INNOVARE ALL’INNOVAZIONE

Ferrovie e Alitalia: un matrimonio contro natura

L’’ultima, geniale trovata: far assorbire Alitalia dalle Ferrovie dello Stato. Peccato non si possa. Questa operazione richiederebbe il vaglio dell’Autorità antitrust nazionale e della Commissione europea, le quali non potrebbero che osservare quanto segue.

DIECI GRANDI ECONOMISTI

Nella storia della scienza
che fa capo a Smith Adamo
il PiDi ha sua semenza
ed i frutti van lontano,

che l’Italia ammodernata
a quei dieci è sempre grata
pel suo Pil che ha sorpassato
pur la Cina e l’Emirato.

Riformista fu l’Amato,
di che cosa l’ho scordato,
ma il primato del ritardo
spetta a Prodi, il neo Ricardo.

Riformò primo l’Occhetto
ma degli esiti splendenti
ha sprecato il tesoretto
il Tommaso, tutto denti.

Nel cenacolo glorioso
s’è allocato, assai borioso,
pure Visco che alle masse
regalò molte più tasse.

Dirimpetto un busto bello:
Quintin Sella? No è Rutello.
Poi D’Alema in piedistallo,
posto al pari del Marshallo.

Nella storia del pensiero
c’è Bersani, ligio e fiero,
del mercato è lui l’alfiere:
spalancollo al parrucchiere.

E’ tra i dieci Bassolino,
seguitor di Celestino,
sul Vesuvio si è seduto,
fece anch’egli, il gran rifiuto.

Ma migliore prolusione
fu però di Vu Veltrone,
che appen vide il programma del partito,
Samuelsone ha il Nobél restituito,
poi con lena senza eguale
ha riscritto il manuale.

ALITALIA NON DALLE NOSTRE TASCHE!

Ci risiamo. Ancora una volta la politica si è messa nel mezzo e così è saltata la trattativa con AirFrance-Klm, come otto anni fa era saltata quella con Klm. Nel frattempo la compagnia ha perso prestigio, aerei e collegamenti internazionali, con danno rilevante per lo sviluppo del  Paese. Non solo, Alitalia ha perso soldi in 14 degli ultimi 15 anni e ha succhiato (per ricapitalizzazioni) oltre 5 miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti italiani; contribuenti che in grande maggioranza non volano. La spregiudicatezza  elettorale del prossimo Presidente del Consiglio, la cecità dei sindacati e un malinterpretato federalismo territoriale hanno spinto anche Air France a ritirarsi. Ora, con la compagnia con l’acqua alla gola e a rischio di fallimento minuto per minuto, si propone un ulteriore sacrificio, un prestito “ponte” di 300 milioni di euro, di nuovo sulle spalle del tartassato contribuente italiano. Un prestito oltretutto che la Commissione Europea ha già bollato come illecito aiuto di Stato. Tanto che qualcuno propone di giustificare il prestito con “ragioni di ordine pubblico”. Ma a tutto c’è un limite, quantomeno di decenza. Naturalmente, il ricco Presidente del Consiglio “in pectore” e i suoi amici sono liberissimi di offrire contributi volontari alla compagnia di bandiera, se così desiderano.  Ma il Consiglio dei Ministri ancora in carica non attinga alle nostre tasche. Perché – caduta la trattativa con Air France-Klm – il “ponte” non porta da nessuna parte in tempi brevi: alla fine del ponte sembra esserci solo il vuoto o qualche altro lungo “ponte”. Insomma, tanti altri nostri soldi buttati. Sarebbe meglio che il Governo aspettasse ancora 2 o 3 giorni e poi, se non si manifestassero prospettive serie e concrete (industriali oltre che finanziarie), lasci partire il commissariamento. Probabilmente, così si arriverà al fallimento. Sarebbe forse una lezione salutare per tutti gli sgangherati attori di questa pessima…compagnia di giro.

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