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La rottura in sede UE sul Patto di Stabilità e Crescita: le reazioni in Germania

Il fatto: i ministri finanziari della UE hanno sospeso la procedura per eccesso di deficit nei confronti di Francia e Germania, votando contro la proposta del commissario UE Solbes – appoggiata da Austria, Finlandia, Olanda e Spagna – di imporre maggiori risparmi aidue paesi (per il 2004 erano stati richiesti alla Germania 6 miliardi di euro aggiuntivi rispetto a quanto previsto, e 2 miliardi nel 2005). Il ministro delle Finanze tedesco Eichel, insieme al collega francese Mer, ha invece sottoscritto una dichiarazione d’intenti non vincolante, per cui i due Paesi vogliono ridurre i deficit nei prossimi due anni secondo le loro forze, condizionando il rientro nel parametro nel 2005 ad una crescita sufficiente del pil (1,6% nel prossimo anno, 1,8% in quello successivo).

Secondo il compromesso raggiunto la Germania dovrebbe dunque abbassare il deficit 2004 dello 0,6%, depurato della congiuntura, e dello 0,5% nel 2005.

Le reazioni in Germania: i politici. Il compromesso sul deficit fra Germania ed UE ha creato ulteriore tensione fra governo rosso-verde e opposizione (Cdu-Csu e liberali); lo si è visto al Bundestag nella seduta di presentazione dell’equivalente tedesco della nostra finanziaria. Ciò fra l’altro renderà ancora più complesse le trattative in corso al comitato di mediazione, dove si stanno discutendo le riforme del mercato del lavoro e i cui risultati sono attesi a breve. Il cancelliere Schroeder ha difeso il compromesso, sostenendo che chi vi si oppone, tralascia l’opportunità di una maggior crescita nel prossimo anno. Il nome completo del patto è Patto di Stabilità e Crescita; per cui vi sono fasi in cui bisogna tenere in maggior considerazione il secondo obbiettivo. Schroeder ha poi definito l’accordo come un compromesso ragionevole fra ulteriore consolidamento e sostegno ai segnali di crescita. Se la Germania avesse accettato i risparmi imposti, ne sarebbe stata gravemente danneggiata l’economia e soprattutto la congiuntura interna. Per rafforzare gli impulsi di crescita in Germania è infatti necessario anticipare al 2004 la riforma fiscale prevista per il 2005 e ciò non sarebbe stato compatibile con i risparmi voluti dalla commissione UE. Sempre secondo il cancelliere la Germania avrebbe potuto adempiere alle richieste della Commissione, se avesse rinunciato ad anticipare lo sgravio fiscale. Schroeder ha difeso la violazione alle regole del patto davanti al Bundestag e ha definito il medesimo aperto a interpretazioni. Per il ministro delle finanze Eichel il Patto non è morto e va mantenuto così com’è, solo va applicato in modo sensato. Eichel ha suggerito di fare pressioni di consolidamento sugli stati nelle fasi di forte crescita, riprendendo un pensiero del suo collega e oppositore olandese Zalm.

Soddisfatti del compromesso si sono dichiarati anche i verdi e il sindacato DGB, mentre l’Unione (CDU-CSU) teme che la violazione del patto abbia effetti negativi sull’euro. E per bocca del capogruppo Merz sostiene che i ministri finanziari hanno violato nello spirito e nella lettera il patto. Non si tratterebbe, com’è stato presentato, di un compromesso, ma di una brutale decisione a maggioranza dalle conseguenze imprevedibili. Non è escluso che ben presto altri paesi chiederanno un trattamento speciale come la Germania e la Francia. Anche se nel breve periodo le conseguenze non saranno rilevanti, nel medio aumenteranno i deficit e a lungo termine vi saranno pesanti ripercussioni sul livello degli interessi ed anche sulla stabilità della moneta. Dello stesso parere la Csu: Stoiber vede nel comportamento del ministro Eichel la fine del patto e un segnale completamente sbagliato per i paesi candidati all’ingresso nella UE.

Le reazioni in Germania: economisti e commentatori

A sostegno della posizione di Eichel sono intervenuti alcuni esperti. Ad es. Selm di HWWA (Hamburgisches Welt-Wirtschafts-Archiv) vede nell’attuale sviluppo la possibilità che dal vecchio patto ne sorga uno nuovo. Questo Patto di stabilità II dovrebbe essere più completo del precedente, che prevede eccezioni solo in caso di recessioni reali. Al momento dell’attuazione del patto non si era calcolato la possibilità che ci fossero tre anni di stagnazione, sebbene le conseguenze per i bilanci pubblici siano simili a quelli di una forte recessione. Inoltre le nuove linee guida dovrebbero obbligare gli stati a consolidare di più nei periodi di boom che in tempi di crisi congiunturale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di avere bilanci in pareggio nell’arco di un intero ciclo congiunturale.

Tuttavia la maggior parte degli economisti sono più critici: essi concordano sul fatto che il compromesso raggiunto a Bruxelles segna lo smantellamento del patto, e uno dei 5 saggi, Wolfgang Franz, mette in guardia da una perdita di fiducia e da un forte aumento degli interessi a lungo termine come conseguenza della decisione presa. Per l’esperto monetario Neumann il patto è praticamente morto, se lo si mette fuori gioco nel momento del bisogno. Anch’egli tuttavia sostiene che il patto non era stato concepito per una stagnazione continua, in quanto si orientava al ciclo congiunturale noto fino a quel momento. Tuttavia la stagnazione non si affronta con deficit persistenti, bensì con cambiamenti strutturali tempestivi, cosa che né Germania né Francia hanno fatto.

Per molti commentatori non si tratta solo di valutare in che misura soffrirà la futura stabilità dell’euro, se viene data dispensa per una politica di bilancio deficitaria: in discussione è il modo brutale in cui il governo francese e tedesco si sono imposti sulla Commissione europea e sui piccoli stati membri. Non esistono dunque regole uguali per tutti, e ciò che viene concesso alla Germania, il Portogallo se lo può ancora per un pezzo sognare. Nessuno dovrebbe sottovalutare le devastanti conseguenze di un simile fatto; sia che si tratti della futura Costituzione europea che di politica estera o di difesa comune molte belle idee provenienti da Berlino o da Parigi saranno da ora in poi guardate con sospetto, in quanto possibili portatrici di interessi occulti. Per questo trionfo effimero di Schroeder e di Eichel su Bruxelles pagherà la Germania, quando il governo rosso-verde sarà solo storia. Conseguenze visibili saranno in tempi non troppo lontani più elevati deficit di bilancio non solo in Germania e in Francia, bensì anche nell’eurozona. Senza la Germania a difesa della cultura della stabilità, i ministri finanziari dei paesi che si sforzano ancora seriamente per il pareggio di bilancio, si troveranno ancora più in difficoltà nell’affrontare le forti lobby politiche che esercitano pressioni sulle finanziarie. La rottura del patto diminuisce le opportunità di una crescita più elevata e quindi di più posti di lavoro e maggior benessere per tutti i cittadini. Ma i politici sanno bene che l’importo di queste perdite a medio termine non è quantificabile, mentre gli effetti congiunturali ottenibili con il denaro distribuito nel breve periodo può aiutare a vincere in un’elezione o nell’altra, ad esempio nel 2005 nel Nordreno Vestfalia. Per consolidare il suo potere il cancelliere ha gettato al vento anche il monito dei più strenui controllori del patto, e dunque non indugerà a fare pressioni politiche sulla Banca centrale europea, se questa per i deficit crescenti si dovesse vedere costretta ad aumentare gli interessi.

Il presidente del Consiglio degli esperti per la valutazione dello sviluppo economico, Wolfgang Wiegard, nel presentare il 12 novembre il rapporto annuale sull’economia, ha sollecitato il governo a rispettare il patto; un nuovo superamento del deficit nel prossimo anno, senza che vengano applicate sanzioni, rischia di smantellare il patto stesso, che è invece necessario anche per il consolidamento interno. Per il presidente della Bundesbank Welteke, fra i compiti principali di un’assennata politica pubblica vi è quella di avere i conti in ordine e a questo servono le norme del patto di stabilità.

Anche per Hundt, presidente di BDA (Confederazione federale delle associazioni tedesche dei datori di lavoro) la decisione dei ministri finanziari rappresenta lo smantellamento del patto di stabilità; particolarmente fastidioso risulta il fatto che proprio chi ha voluto il patto contribuisca ora alla sua fine.

Per la maggior parte degli analisti la decisone dei ministri finanziari non avrà gravose conseguenze sul corso dell’euro; ieri non vi è stata quasi variazione. Anche per il DIW (istituto di ricerca economica) il compromesso non dovrebbe portare ad un ulteriore aumento dell’euro; il patto di stabilità non lo influenzerebbe quasi. I mercati avrebbero già recepito il conflitto e la soluzione adottata non è poi una grande sorpresa, ha dichiarato Horn, capo di DIW-congiuntura. Il conflitto era inevitabile ed è buona cosa che si sia arrivati al compromesso. Finché gli stati europei possono bloccare l’inflazione, si avrà un euro forte. Il legame fra gli adempimenti dei criteri di stabilità dell’euro e la forza della moneta comune è minimo. Se si arrivasse ad una situazione come quella Argentina, allora sarebbe diverso, tuttavia sia la Germania che l’Europa ne sono ben lontane. Decisiva per la forza dell’euro è la crescita dei prezzi; tuttavia l’inflazione non è prevista nel patto di stabilità e Horn, che si è sempre dichiarato molto critico nei confronti del patto, vede confermata la sua opinione in merito alla necessità di riformarlo, prendendo in considerazione le influenze congiunturali.

Anche Rolf Elgeti di Commerzbank Securities ritiene che il mercato ha già da tempo recepito un ammorbidimento del patto; tuttavia ciò ha causato danni strutturali per quanto riguarda la stabilità della moneta sul lungo periodo. Per il momento sul mercato azionario le conseguenze saranno positive: un euro forte è certamente il rischio più temuto dal mercato azionario stesso; un euro forte assottiglia i profitti delle imprese europee esportatrici e il mercato tedesco e belga dovrebbero essere quelli che traggono maggiori benefici dall’attuale situazione, in quanto è massima la loro dipendenza dall’export. Le imprese che hanno debiti o costi in dollari e le cui attività di bilancio o i fatturati sono nell’eurozona saranno invece quelle più penalizzate dall’ euro debole

Comunque la Germania deve risparmiare di più, questo è il monito che l’economista Wurzel dell’Ocse ha lanciato alla presentazione della nuova previsione di crescita; egli invita a non finanziare l’anticipo della riforma fiscale attraverso i debiti: la riforma dovrebbe avera una quasi totale copertura, in modo particolare attraverso il taglio delle sovvenzioni. Secondo l’Ocse la Germania non raggiungerà neppure nel 2005 l’obiettivo posto dal patto di stabilità; nel 2003 il deficit sarà di 4,1, per l’anno successivo del 3,7% e nel 2005 di 3,5%.

 

 

 

La rassegna stampa si basa su articoli apparsi in: Financial Times Deutschland, Handelsblatt, Frankfurter Allgemeine Zeitung, Sueddeutsche Zeitung, Tagesspiegel-online

Gianfranco

Oggi voglio parlare di Gianfranco
che ha proposto il voto agli immigrati
con questa mossa astuta ha vinto il Banco
ed ora da le carte agli alleati

Il due di picche all’Umberto Bossi
Con la speranza che lasci il panno verde
Quel diabolico ruspante saltafossi
Che riesce a vincere anche quando perde

L’asso di quadri al lucido Follini
Con cui i giochi di squadra sono tanti
Lui che ha addolcito un po’ la Bossi-Fini
Imponendo di sanare le badanti

La Peppa Tencia l’ha lasciata al Silvio
Per dire chiaro che non farà più sconti
Che appenderebbe volentieri a Ponte Milvio
Oltre all’Umberto anche l’ottimo Tremonti

Certo è un po’ strano che per dire queste cose
Riempiendo l’alleanza di cerotti
Sia ricorso a proposte coraggiose
Che piacciono a D’Alema e Bertinotti

Prendiamo atto che quella destra abbraccia
L’idea che il Cingalese o il Filippino
Si porti dietro oltre alle sue braccia
Anche i diritti di ogni cittadino

* * *

Sono contento ma l’incredulità rimane
Un tarlo fastidioso che lavora
Si è fatto vivo nella mente anche stamane
Risvegliandomi di colpo di buon ora

Se non fosse per le cose che ha affermato
Sulle droghe leggere da proibire
Penserei che Gianfranco si è fumato
Quelle cose che propone di bandire

L’incerto futuro dei co.co.co.

Questa discussione telematica fra Paolo Sestito, coordinatore del Gruppo di monitoraggio politiche del lavoro presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, e Pietro Ichino, è avvenuta il 17 ottobre 2003 sul nostro portale. Nel dibattito, che qui riportiamo, vengono affrontati i principali cambiamenti che la Legge Biagi, in vigore dal 24 ottobre, porterà ai cosiddetti co.co.co.

Vivere in un Paese, votare in un altro

Il vice-Presidente Gianfranco Fini propone di dare diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati. Riproponiamo un intervento di Giancarlo Perasso sul principio secondo cui chi paga le tasse deve avere diritto di voto. Si noti che ciò implica che gli italiani all’estero non dovrebbero avere diritto di voto.

Ispirazione formidabile

Siete una fonte d’ispirazione formidabile

La morte di Franco Modigliani. Rassegna della stampa estera

“Keynesian loyalist noted for life-cycles saving theory”, Financial Times, 28 settembre 2003.

Franco Modigliani è stato indubbiamente uno dei più grandi cervelli che Hitler ha regalato agli Stati Uniti. Ebreo, fuggito dall’Italia durante le persecuzioni antigiudaiche ispirate al modello tedesco, l’economista si poi rifiutato per lungo tempo di avere a che fare con il suo paese natale. Ma ritornò nel 1955 e, pur criticando gli eccessi gerarchici dell’accademia italiana, tenne diverse lezioni universitarie e collaborò con il Corriere della Sera, dalle colonne del quale si oppose con forza alla pratica della “scala mobile”.

“Professor Franco Modigliani, Nobel prizewinning economist and author of the life-cycle theory of spending”, The Independent 29 settembre 2003.

L’economista, autore della teoria del ciclo vitale e premio Nobel nel 1985, non aveva mai perso una delle principali qualità di un intellettuale: sapere ascoltare. Raramente parlava per primo, e spesso apriva bocca per dire: “Interessante, raccontatemi di più!”. Grande uomo di studi, riconosceva il ruolo strumentale della teoria, che doveva nascere dal mondo reale, per poi svilupparsi sulla carta. Per tornare quindi alla realtà, sui cui dati doveva confrontarsi e verificare la propria validità.

“Franco Modigliani, 85, MIT teacher, Nobel laureate in economics”, The Boston Globe, 26 settembre 2003.

“Il più grande economista vivente”, così lo ha definito il collega Paul Samuelson, aggiungendo che, oltre al Nobel per l’economia, avrebbe potuto vincere anche in altri rami. Modigliani è riuscito a individuare gli aspetti semplici di complessi sistemi economici, dalla finanza aziendale ai risparmi personali, e li ha insegnati a generazioni di studenti. “Scienza dell’economia e politica economica sono sue cose diverse”, sosteneva, “e noi economisti possiamo avere opinioni divergenti in politica, ma l’economia come scienza ci unisce”.

“Franco Modigliani, 85, Nobel-winning economist, dies”, The New York Times, 26 settembre.

Franco Modigliani, uno degli economisti che meglio hanno spiegato i cambiamenti economici degli ultimi 50 anni, è rimasto ancorato al suo compito fino alla fine. Criticando la politica fiscale espansiva dell’attuale governo statunitense, accusato di mandare all’aria i risparmi accumulati nel tempo, con inopportune misure di tagli alle imposte e conseguente aumento del deficit.

“Franco Modigliani, prix Nobel d’économie 1985”, Le Monde, 27 settembre 2003.

L’economista, di origine italiana ma residente negli Stati Uniti, si è interessato fino a una settimana prima della morte alla politica del proprio paese natale. Inviando una lettera di protesta, co-firmata con i colleghi Paul Samuelson e Robert Solow, contro la decisione di un’associazione ebraica americana di conferire un premio a Silvio Berlusconi. Il quale aveva precedentemente scagionato Mussolini dalle accuse di genocidio, definendo le deportazioni di Ebrei come “un lungo esilio”.

“Wirtschafts-Nobelpreistraeger Modigliani gestorben”, Basler Zeitung Online, 25 settembre 2003.

L’economista italiano, residente negli Stati Uniti, è sempre stato un critico osservatore della politica economica del Bel Paese. Personaggio molto richiesto dai mezzi di comunicazione italiani, Modigliani accusava spesso il suo paese natale di carente senso dello stato e di poca fiducia nelle istituzioni pubbliche.

“Fallace el premio Nobel de Economìa Franco Modigliani, estudioso del aborro domestico”, El Mundo, 26 settembre 2003.

Franco Modigliani non è nato economista. I suoi primi studi sono stati in legge. Ciononostante, durante l’università gli riuscì di vincere un premio di economia organizzato da un’associazione culturale progressista, nella quale maturarono le sue idee antifasciste. Costretto a lasciare l’Italia per le persecuzioni contro gli Ebrei, Modigliani raggiunse gli Stati Uniti, dove cominciò la sua carriera accademica che lo ha portato al Nobel

Il teatrino

Quando ha deciso di scendere in campo,
uomo del fare, col suo verbo schietto
a molti è parso la luce di un lampo
con il passato un bel taglio netto

A rimarcare che tutto è cambiato
Lei ci ha invitato a un nuovo cammino
Basta col rito vetusto e abusato
Della Politica e del suo Teatrino

Chi l’ha creduta, non io, lo confesso,
forse ha pensato con vago stupore
che ogni problema non è più lo stesso
se ad affrontarlo è un imprenditore

E si è disposto in trepida attesa
Di soluzioni chiare e efficaci
Tasse ridotte, una giusta pretesa
Ma ne saranno davvero capaci?

Ponti, autostrade e nuovi trafori
Tutta l’Italia un immenso cantiere
Flessibilissimi i nuovi lavori
Verranno i fatti, non solo chimere.

Ma se per caso poi Le si obbietta
Che del programma si è visto pochino
Che queste cose ancor le si aspetta
Lei tuona irato: riecco il Teatrino!

Potrebbe dire a noi tutti Italiani
Che cosa intende con questo Teatrino?
I riti curiali dei democristiani?
Lo sguardo triste di Piero Fassino?

Non so perché, ma avevo pensato
Che Lei intendesse una cosa diversa
Non qualche cosa che vien dal passato
Prima Repubblica sepolta e sommersa

Guardando Vito e Schifani in azione
O Taormina che allude beffardo
Igor Marini che fa il testimone
O le sparate di Umberto il Lombardo

Mi ero convinto che Lei intendesse
Parlare dell’oggi, e la cosa mi quadra
Che col Teatrino in realtà Lei alludesse
Al tragicomico della sua squadra.

In mezzo a cui il suo volto ci accoglie
Illuminato da un raggio un po’ crudo
C’è qualche crepa, il cerone si scioglie
E poi un sussurro: guardate, il re è nudo.

Se la liberalizzazione finisce al buio

I black out e le interruzioni programmate dell’estate ci rivelano quanto il problema della sicurezza del sistema sia stato trascurato nell’approccio seguito per l’apertura alla concorrenza del settore elettrico. Il caso americano dovrebbe far riflettere i federalisti a oltranza sui rischi che derivano da legislazioni troppo frammentate. Quanto all’Italia, ha il vantaggio di una rete strutturata da un monopolista, ma resta da verificare l’efficacia dei recenti interventi del Governo per sopperire alla scarsità dell’offerta.

Il fallimento del vertice di Cancun -Rassegna della stampa estera-

“Cancùn’s charming outcome”, The Economist, 20-26 settembre 2003, pag.13.

Il fallimento del vertice di Cancùn non sta nella difesa di nobili principi da parte dei paesi poveri, ma è dovuto a cinismo, delusione e incompetenza. I negoziati erano inquadrati nell’ambito del Doha Round, il cui principale obiettivo è quello di liberalizzare gli scambi internazionali, soprattutto dove questo è utile per il Terzo Mondo, quindi nei prodotti agricoli. Ma con la fine senza risultati delle trattative, ci vorranno forse più di cinque anni per arrivare a una conclusione soddisfacente e sostanziale in tal senso. E nel frattempo perde punti l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), dove ogni nazione, piccola o grande, povera o ricca, ha diritto di veto. Un raro esempio in cui ai paesi poveri è permesso di confrontarsi con quelli ricchi

“Developing-world victory may be a long-term loss”, The Wall Street Journal Europe, 16 settembre 2003, pag.A1

I negoziati di Cancùn sono terminati per le forti resistenze dei paesi in via di sviluppo contro le posizioni dei paesi più ricchi, contrari a ridurre i sussidi interni al settore agricolo. Ma la presunta vittoria delle nazioni del Sud può presto ritorcersi contro di loro. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), infatti, è la sede più importante in cui i paesi poveri possono dare voce ai problemi delle loro economie. Se tuttavia i summit OMC falliscono e l’organizzazione perde di rilevanza nel processo di liberalizzazione dei commerci, chi ne soffre sono soprattutto coloro che non hanno alternative cui rivolgersi. Mentre nel frattempo potenze commerciali come Stati Uniti, Giappone e Cina hanno in programma un crescente numero di accordi bilaterali di libero scambio. Ed è soprattutto in questo tipo di trattative dove il nano ha meno potere nell’influenzare il gigante.

“Killing the goose”, The Wall Street Journal Europe, 16 settembre 2003, pag.A10.

L’Unione Europea deve rendersi conto che non può più permettersi di difendere la sua politica di sostegno all’agricoltura. Perché costa, perché i contadini rappresentano solo il 5% della popolazione europea e il 2% del suo prodotto interno lordo, e perché impedisce, come si è visto a Cancùn, una maggiore liberalizzazione del mercato dei beni manufatti e dei servizi. Cancùn è fallita, ma non lo è ancora il Doha Round. L’Unione Europea e gli Stati Uniti dovrebbero capire che non possono continuare a danneggiare gli interessi, per esempio, delle imprese esportatrici tedesche o delle grandi aziende Usa di software, solo per ascoltare la voce dei contadini e allevatori di oche del Perigord francese.

“Road from Cancùn leads to Brussels”, Financial Times, 16 settembre 2003, pag.16.

Gli accordi di liberalizzazione commerciale hanno finora portato grandi vantaggi soprattutto per il ricco Nord del mondo, che ha aperto i propri mercati quando conveniva e li ha lasciati chiusi quando invece riteneva fosse meglio così. I benefici per il Sud sono invece stati minori, soprattutto rispetto al caso di più ampie liberalizzazioni. A Cancùn i paesi poveri hanno detto di no alle proposte delle nazioni più ricche su una maggiore apertura dei mercati negli investimenti, nella concorrenza e negli appalti pubblici. Perché prima vogliono che il Nord apra a sua volta i propri mercati agricoli. Il Sud non si accontenta più delle teorie sul libero scambio, ma vuole fatti dai paesi ricchi. Nei quali quindi sta la chiave per lo sperabile futuro successo del Doha Round.

“L’échec de Cancùn”, Le Monde, 16 settembre, pag.14.  

A un miliardo di dollari al giorno ammontano i sostegni all’agricoltura elargiti in Giappone, Unione Europea e Stati Uniti. A Cancùn l’Europa ha in ogni caso dato prova di voler raggiungere un compromesso, quando ha proposto di individuare i sussidi veramente nocivi per gli agricoltori del Terzo Mondo. Ma si è poi rifiutata di impegnarsi su una data per la loro soppressione. L’unico motivo di speranza che viene da Cancùn è forse la prova del funzionamento democratico dell’OMC, che non si è dimostrata essere uno strumento al servizio dei paesi ricchi, ma una sede di reale confronto.

“Ein vielleicht heilsamer Shock”, Handelsblatt, 16 settembre 2003.

Secondo Anton Boerner, presidente dell’Associazione Tedesca per il Commercio (Bundesverbandes des Deutschen Gross- und Aussenhandels), è necessario che le discussioni sulla liberalizzazione dei commerci riprendano al più presto. Nell’interesse dei paesi ricchi, ma anche di quelli in via di sviluppo. Tra i quali ci sono, per esempio, India e Brasile, che traggono grandi benefici dal processo di globalizzazione. E il Brasile ha già detto di essere ben conscio della propria responsabilità, in vista di future negoziazioni multilaterali per una maggiore apertura dei mercati. Per cui è possibile che Cancùn si trasformi in un “trauma benefico” per la successiva conclusione del Doha Round.

A tavola col ministro

Girolamo Sirchia, dopo la battaglia contro il fumo, parte per una nuova crociata e insedia una Commissione scientifica di alto livello per decidere la dieta ideale degli italiani. Sapevamo che il liberismo non era più di moda. Ma qui siamo al trionfo del paternalismo. Ci spiace, signor ministro, ma vorremmo continuare a scegliere noi il menu. Sperando sempre che qualche ristoratore non prenda la palla (o la polpetta) al balzo: porzioni più ridotte sì, ma allo stesso prezzo di prima. Per sfruttare anche l’elasticità della domanda al prezzo. Tutto grasso che cola per far dimagrire gli obesi italiani.

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