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DIFFICOLTÀ E RISCHI SULLA STRADA DEL FONDO MONETARIO EUROPEO

Il Fondo monetario europeo non è solo un’idea molto difficile da realizzare. Per i paesi dell’Unione monetaria rappresenterebbe un’alternativa al Fondo monetario internazionale. E anche chi non ha i conti pubblici in ordine potrebbe così sentirsi autorizzato a seguire con disinvoltura politiche fiscali anticicliche, sicuro di avere comunque una rete di protezione. Mentre invece è necessario rafforzare il controllo europeo sulla disciplina di bilancio dei paesi membri. La perdita di influenza all’interno dell’Fmi.

QUANDO IL PIL FA I CONTI CON IL CAPITALE INTANGIBILE

Il Pil non misurerà la felicità, ma finché resta l’indicatore principale della statistica economica occorre cercare di calcolarlo al meglio. Oggi le spese per beni intangibili sono contabilizzate tra i costi, perché si ipotizza che non contribuiscano alla produzione futura. Se invece si considerano tra i beni capitali, il quadro della crescita economica di un paese diventa sostanzialmente diverso. Il capitale intangibile dell’Italia si compone per una quota molta alta di investimenti in consulenze. Mentre rimane bassa la spesa in ricerca scientifica.

INTERVENIRE PRIMA CHE PASSI LA NOTTATA

Disoccupazione all’8,6 per cento e Pil 2009 a -5 per cento: l’economia italiana soffre ancora i colpi di coda di una crisi ormai finita. Ma c’è lo spazio e la necessità per gli incentivi temporanei con efficacia limitata a sei mesi ai settori in difficoltà. Si tratta di permettere alle imprese di avviare processi di ristrutturazione in modo socialmente non distruttivo. Di interventi di questo tipo si parla da tempo, ma il governo continua inspiegabilmente a rinviarne l’adozione.

CAMBIAMO IL PATTO DI STABILITÀ

Il Patto europeo di stabilità e crescita così com’è ha ormai esaurito il suo ruolo e il recente caso della Grecia ne è la prova. Come rinnovarlo per far sì che funzioni? Il tema è delicato. Soprattutto perché è nell’interesse dei paesi in crisi cavalcare il timore del contagio e della debolezza europea per ottenere di più. Ma una riforma è urgente, perché non è detto che si possa contare su una ripresa per ridurre i disavanzi. Ecco alcune proposte.

UNO STOP SULLA STRADA DEL RITORNO ALLA CRESCITA

Il ritorno alla crescita del Pil dell’Italia si è fermato subito: il dato destagionalizzato del Pil (stima preliminare) indica -0.2 per cento rispetto al terzo trimestre, quando era invece aumentato dello 0.6%. Il dato medio 2009 rispetto alla media 2008 è -4.9 per cento.
Non sono ancora disponibili dati disaggregati sulle varie voci del Pil, ma si può dire che sul brutto dato del quarto trimestre hanno pesato soprattutto due elementi: la battuta d’arresto della Germania e il peggioramento del mercato del lavoro italiano. Il Pil tedesco (da cui dipendono in modo rilevante le nostre esportazioni e che aveva trainato la crescita europea nel secondo e terzo trimestre) ha subito una battuta d’arresto inattesa, almeno inattesa sulla base dell’andamento della produzione industriale tedesca che era stata sostanzialmente positiva nel quarto trimestre. Sul fronte interno i consumi hanno mostrato segnali di cedimento. Ha cominciato pesare con maggiore evidenza sui consumi l’aumento della disoccupazione che, sulla base dei dati provvisori, ha raggiunto in dicembre l’8,5 per cento, cioè un punto e mezzo in più rispetto al dicembre 2008. Sembra tornare a valere la cosiddetta legge di Okun: per ogni due punti di calo del Pil la disoccupazione dovrebbe salire di un punto percentuale. E’ quello che è successo negli ultimi dodici mesi. Un segno che la cassa integrazione non basta più.
Siccome non è possibile fare conto su un rapido recupero del mercato del lavoro, è venuta l’ora che il governo dedichi uno sforzo ulteriore a reperire le risorse per alimentare i consumi senza peggiorare il debito pubblico. Bisogna togliere a chi ha una minor propensione a consumare (i "ricchi") e dare a chi consuma di più (i "poveri" e il ceto medio). Certo, avere a disposizione un’imposta sulla prima casa delle persone più abbienti (si chiamava Ici fino ad un paio di anni fa) farebbe comodo in questa situazione.

PIIGS, PORCI CON LE ALI

Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all’interno dell’euro-sistema e l’assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

2010: PERCHE’ L’AMERICA FARÀ MEGLIO DI EUROPA E ITALIA

Il 2010 ci porta un’economia mondiale trainata dall’Asia emergente, un’America che riparte più velocemente dell’Europa e un’Italia che cresce poco, in linea con i paesi dell’area euro. La crescita tra Europa e Usa diverge anche perché la produttività europea e italiana è diminuita durante la crisi mentre negli Stati Uniti l’aumento della disoccupazione, con i suoi alti costi sociali, è stato almeno usato per aumentare l’efficienza aziendale nelle imprese sopravvissute.

Oltre il Pil

Il più contestato tra indicatori economici spesso messi in discussione è senz’altro il Pil. Per il quale da tempo gli economisti cercano un’alternativa. Proprio per questo in Francia si è messa all’opera una commissione presieduta da due premi Nobel. Con risultati però deludenti per chi si aspettava un nuovo indicatore sintetico che sostituisse completamente il prodotto interno lordo. Anche perché si continua a non rendere davvero espliciti gli obiettivi che si vogliono perseguire. Un contributo più originale potrebbe invece arrivare proprio dall’Italia.

2010: LE RAGIONI DELL’OTTIMISMO

Il 2009 si chiuderà come l’anno economicamente peggiore del secondo dopoguerra. Ma per il 2010 si può provare ad essere più ottimisti. I dati del terzo trimestre mostrano infatti che l’economia italiana è ripartita. Grazie alle esportazioni, che in tutta l’area euro sono la voce più nettamente positiva. Segno che il mondo inizia a mettere dietro le spalle la crisi. Ma è soprattutto all’economia tedesca che dobbiamo guardare. Se la Germania andrà bene, come sembra, le cose andranno bene anche per il nostro paese.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutti i lettori per i commenti.
 
I lettori Vincenzo Scrutinio e Marco hanno ragione: negli scenari 1 e 2 si assume che in Italia il tasso d’inflazione passi dall’attuale -0,5% al 1,13% ed al 3%, rispettivamente, (supponendo una crescita del PIL all’1%), senzache i tassi nominali aumentino. Questo avverrebbe solo se l’accelerazione dei prezzi non fosse anticipata dai mercati e dunque non si riflettesse sui tassi nominali. Nel caso limite opposto in cui i tassi nominali aumentassero perfettamente in linea con l’inflazione (vale a dire diventassero pari al 4.64% e al 6.51%) i tassi reali non cambierebbero, e l’unico vantaggio rimarrebbe quello proveniente dalla crescita del PIL. In questo caso l’entità della manovra richiesta per stabilizzare il rapporto debito PIL in Italia si ridurrebbe meno, al 5,25%, in entrambi gli scenari.
Il lettore Dino Martellato, invece, ha torto. Il rapporto debito PIL è cruciale per la sostenibilità, perché ci dice qual è il surplus primario necessario per ottenere quei risparmi che permettano allo stato di rimborsare il debito esistente e di pagarne gli interessi maturati.
Il lettore (e collega) Riccardo Ercoli solleva il punto delle regole fiscali: non esistono, sostiene, regole fiscali in Italia che vincolino il Governo a metter in atto gli aggiustamenti previsti negli scenari. Due osservazioni in proposito: 1) nell’articolo si vuole metter in luce quali aggiustamenti di bilancio sarebbero necessari per stabilizzare il rapporto debito PIL nei due paesi, e non esprimere un giudizio circa la probabilità che questi siano messi in atto; 2) la mia opinione sull’efficacia delle fical rules è che queste regole siano per lo più adottate dai paesi virtuosi (in termini di disciplina di bilancio), ma che di per sé non rendano i paesi virtuosi (si veda in proposito il mio IMF Working paper).

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