È iniziata la consultazione pubblica sulla Strategia energetica nazionale. Tra gli obiettivi, la riduzione del costo dell’energia per consumatori e imprese, uno degli ostacoli principali alla competitività della nostra economia. Ma sarà difficile realizzarlo.
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Il “decreto sviluppo” si segnala per alcune altre disposizioni relative ad aspetti a cui il ministero dello Sviluppo economico intende dare risalto anche per l’inclusione nel documento di Strategia energetica nazionale (Sen) licenziato di recente.
Il Governo Monti sembra avere trattato la materia energetica in maniera distratta, a tratti anche svogliata. I provvedimenti presi sono comunque molti. Contraddistinti da una discutibile interpretazione del significato di “sostenibile”. Troppo limitata la Strategia energetica nazionale.
Sospesa da una discussa ordinanza del Consiglio di Stato, torna la congestion charge milanese. Intanto, i dati mostrano chiaramente che Area C è stata un successo. Ha ridotto gli ingressi in città del 34 per cento. La minor congestione ha contribuito al calo delle emissioni di tutti i principali inquinanti locali. La velocità dei mezzi pubblici di superficie è aumentata del 6 per cento e gli incidenti sono scesi del 28 per cento. Paradossalmente, proprio la sospensione estiva ha fatto piazza pulita della tesi che la riduzione del traffico fosse dovuta alla crisi economica.
Il prezzo dei carburanti è stato l’argomento dell’estate, come non avveniva da qualche anno. Ma dopo gli grossi sconti del fine settimana, sono arrivati implacabili gli aumenti. Tuttavia, per una volta, c’è stato vero scontro sui prezzi iniziato dal leader del mercato, Eni. E forse prima ancora dalla campagna Fiat-IP del prezzo bloccato del carburante per tre anni. Eni e Fiat, però, sono anche i leader nel metano. Perché non scommettere con convinzione sulle auto a metano ora che i consumi di gas sono in calo e l’Italia si ripropone come hub d’Europa?
Che cosa differenzia le due vicende dell’Ilva e della Carbosulcis? Intanto sono diversi i numeri, anche se il dramma dei lavoratori è lo stesso. Ma mentre per Taranto si possono ipotizzare interventi che consentano di continuare la produzione, la miniera sarda non sembra avere un futuro, neanche come polo di ricerca e sperimentazione sul “carbone pulito“. Altri luoghi in Italia necessitano di una riconversione industriale e territoriale. Speriamo che le due emergenze attuali servano da lezione e il paese riesca a darsi una politica industriale capace di assicurare una crescita sostenibile.
Cosa hanno allora in comune due storie di attualità così diverse per numeri, caratteristiche e implicazioni, come quelle dell’Ilva e della Carbosulcis? Tutte due sono emergenze che scoppiano all’improvviso e portano alla luce l’inadeguatezza di una classe politica e dirigente, spesso collusa con rappresentanti dei lavoratori che preferiscono tutelare l’esistente, prolungare il più possibile lo status-quo, che immancabilmente si configura come il privilegio delle generazioni correnti a scapito di quelle future. Perché il trade-off esiste e va affrontato.
Qual è il destino che si profila per le due aziende? A Taranto, la decisione del Tribunale del riesame, giunta ai primi di agosto, sembra concedere la prosecuzione della produzione dell’Ilva, ma tecnici e ingegneri devono cominciare la messa in sicurezza e la bonifica delle apparecchiature. Si ragiona sulla copertura dei parchi minerari, le cui polveri velenose sono trasportate nelle giornate ventose verso le zone abitate, in particolare del quartiere Tamburi.
Nonostante la recessione, un settore industriale ha continuato a crescere in Italia: il fotovoltaico. Grazie agli incentivi, pagati dagli italiani con aumenti delle bollette elettriche. Tra l’altro, la crescita della produzione da fonti rinnovabili avviene mentre scende la domanda complessiva di energia elettrica. Senza contare lo sbilanciamento della rete dovuto alla forte variabilità della produzione fotovoltaica ed eolica, che finirà per aumentare il costo richiesto dai gestori di centrali termoelettriche per tenere a disposizione un’alta capacità di riserva.