La Bce ha inaugurato l’era delle Outright Market Transactions. È l’atteso piano di acquisto di titoli sovrani sul mercato secondario. Ha quattro caratteristiche essenziali: è illimitato nella sua portata; gli acquisti saranno pienamente sterilizzati; riguarda titoli con scadenza breve e prevede condizioni per il paese che voglia accedervi. Dimostra che almeno la Banca centrale si preoccupa della sopravvivenza della moneta unica e ne rafforza l’indipendenza. Ma ripropone un rimpallo di responsabilità con gli Stati membri e difficilmente risolverà i problemi dell’euro.
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Perché è tanto importante l’unione fiscale europea? Perché autorità monetaria e politica devono cooperare, soprattutto (ma non solo) nei momenti di crisi. Nell’Eurozona, però, ci sono una banca centrale e 17 stati membri ed è pressoché impossibile mettere tutti d’accordo. Così la Bce rimanda gli interventi “non convenzionali” all’Efsf. Con un effetto paradossale: i paesi non vogliono ricorrere al Fondo perché temono un effetto reputazionale negativo. E un aggravarsi dello spread dei tassi del loro debito.
Come rimediare al disordine monetario dell’eurozona, ovvero spread alle stelle, scomparsa del mercato monetario e fuga dei depositi? In altre parole, come evitare la dissoluzione dell’euro?
Il commento di Tommaso Monacelli sulle recenti decisioni prese della Bce è, a mio parere, troppo severo. Sicuramente le Borse sono rimaste deluse quando hanno compreso che non avrebbero ricevuto immediatamente in pasto il piano di acquisti dei titoli di stato dei paesi europei in difficoltà, come la Spagna e l’Italia.
Anziché spiccare un volo da ape, la Bce ronza su e giù come un grosso e pesante insetto. Infatti, dopo le recenti dichiarazioni del presidente Mario Draghi i mercati si aspettavano provvedimenti decisi, come un programma di acquisto di titoli (di stato e non) preannunciato nella sua durata, nella sua ampiezza e nei suoi obiettivi. Invece, soltanto segnali sull’eventualità che, forse, si potrà agire in futuro. Un autogol. E la delusione dei mercati non ha mancato di farsi sentire.
Mario Draghi ha promesso che farà tutto quello è necessario per salvaguardare l’euro. Sembra essersi impegnato a rendere la Banca centrale un prestatore di ultima istanza, assegnandole così un ruolo finora ritenuto incompatibile con gli attuali Trattati. Anche l’unione bancaria discussa all’ultimo vertice europeo è stata anticipata da una dichiarazione del presidente della Bce. Insomma, i rischi restano, ma l’ottimismo deriva dal fatto che a guidare la politica monetaria europea è un serio economista, che è anche un astuto politico.
Quando è stato introdotto l’euro gli squilibri delle bilance dei pagamenti correnti erano molto contenuti e non strutturali. Ma nei sette anni successivi il surplus corrente della Germania è esploso ed è ormai il più alto al mondo, superiore persino a quello della Cina. Parallelamente, sono anche cresciuti enormemente i disavanzi dei cinque paesi dell’area mediterranea. È una situazione insostenibile, ma le soluzioni “classiche” sono di difficile applicazione perché inaccettabili dalla Germania o efficaci solo nel lungo periodo. L’ipotesi di agire sull’Iva.
Il panico di questi giorni sui mercati raccoglie un po’ tutti i timori e gli errori fatti da quando la crisi dell’area euro ha fatto irruzione nelle nostre vite. E’ un segnale forte. Questa volta non basterà neanche ristrutturare delle zombie banks. Non si può avere un sistema bancario stabile senza finanze pubbliche sotto controllo, almeno fin quando gran parte di queste finanze pubbliche non entreranno a far parte di un progetto di unione politica europeo.
Un pacchetto di salvataggio che impedisca il crollo dell’euro non può prescindere da trasferimenti di solidarietà dai paesi a tripla A verso i paesi con zero A. Ma ciò richiede anche un cambiamento nella divisione dei compiti all’interno dell’Eurozona. Alle autorità sovranazionali devono essere attribuiti tutti quei poteri di controllo che rendono credibile il principio del “mai più salvataggi”. Ovvero, ciò che permette il fallimento di un singolo Stato senza per questo coinvolgere le sorti dell’intera area: dall’unione bancaria all’Iva, dal reddito minimo alla politica sull’immigrazione.
L’accordo raggiunto tra i ministri dell’Eurogruppo venerdì 20 luglio è stato salutato dai mercati finanziari con un tonfo delle borse e un aumento degli spread. La ragione è che il destino della Spagna sta scivolando pericolosamente verso quello della Grecia: aiuti europei insufficienti in cambio di condizioni che rischiano di sprofondare il paese in una recessione sempre peggiore e socialmente insostenibile.