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Categoria: Unione europea Pagina 55 di 98

L’ERRORE DI AVER DIMENTICATO HUME

La crisi della zona euro mette in evidenza tutti limiti della costruzione europea. L’errore principale è stato non chiudere definitivamente le banche centrali nazionali. Permettendo così agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema finanziario e del meccanismo di Hume. La sottovalutazione di questi problemi, assieme all’incapacità di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.

Se la Grecia esce dall’euro

La crisi greca si avvicina all’epilogo. Anche se tecnicamente l’insolvenza di uno Stato non implica l’abbandono dell’euro, la Grecia potrebbe essere tentata da un ritorno alla dracma. Non tanto per i vantaggi della svalutazione, quanto per riguadagnare sovranità nella gestione della politica monetaria. Per gli altri paesi dell’area, il danno principale sarebbe la perdita di credibilità della moneta unica, con l’unione monetaria di fatto declassata a un accordo di cambio. Per l’Italia le conseguenze sarebbero gravi, in termini di tassi di interesse e di fiducia nel sistema bancario.

QUANT’È OTTUSO IL FISCAL COMPACT

Il recente (bell’) articolo di Francesco Daveri su lavoce.info sostiene due principali tesi. La prima è che le recenti elezioni in Europa mostrano una tratto comune: la rivolta di ampi settori dell’elettorato europeo, soprattutto in Francia, Grecia, ma anche alle amministrative italiane e tedesche, contro la (auto) condanna all’austerità permanente voluta dalla Signora Merkel, e codificata nel Fiscal compact. La seconda è che esistono poche alternative al Fiscal compact, visto che a protestare di più sono proprio i paesi che, in termini di spesa pubblica, hanno “razzolato” male (peggio dei tedeschi). Sul primo punto, rilevo che le principali novità politiche delle elezioni in Italia ed in Francia, Grillo e Le Pen jr, non mi sembrano facilmente riconducibili all’austerity del Fiscal compact, quanto invece ad una protesta contro l’establishment della politica (Sarkozy in Francia e la Casta da noi) incapace e, spesso, corrotto. Diverso il caso della Grecia. Sul secondo punto, osservo che i dati riportati nell’articolo, la spesa pubblica rapportata al Pil ed la spesa “nominale” (espressa cioè in euro correnti) vanno interpretati con cautela. Circa il rapporto spesa/Pil, l’evidenza empirica (molto controversa) suggerisce che contrazioni della prima provocano una riduzione più che proporzionale del secondo (un moltiplicatore superiore all’unità), come i recenti casi della Grecia e dell’Italia indicano abbastanza chiaramente. Dunque un aumento del rapporto spesa/Pil potrebbe semplicemente avverarsi anche quando i tagli aggravano la recessione. Ancor maggiore prudenza va mostrata nell’interpretare le variazioni in termini nominali. È noto che l’origine degli attuali squilibri all’interno dell’Europa sia da ricercare nella perdita di competitività dei paesi periferici nei confronti della Germania. La Figura 1 riporta l’andamento dei prezzi al consumo in Germania (linea blu), Grecia (rossa) e Spagna (gialla).

In questi ultimi due paesi, tra il 2000 ed il 2010, i prezzi sono aumentati rispettivamente di 16 e del 23 punti percentuali  più che in Germania (1). Se allora si vuole vedere quali stati europei hanno accresciuto/tagliato i propri servizi ai cittadini, occorre correggere i dati della crescita della spesa nominale per l’inflazione. Così facendo si ottiene la Figura 2. Questa mostra che, grazie alla moderazione dei prezzi, tra il 2000 ed il 2009 la Germania è stata in grado di accrescere la spesa pubblica ben più che Spagna e Grecia (circa 20 punti percentuali di crescita reale in più). La figura mostra anche altri due aspetti importanti: dopo il 2009, i tagli in Grecia sono stati durissimi, circa il 30 per cento in termini reali. Dunque è la risposta degli elettori è comprensibile. Inoltre, a partire dal 2009 La Germania ha effettuato tagli di spesa superiori ai 20 punti percentuali in termini reali. Sta tutta qui l’ottusità del Fiscal compact: imporre corsetto recessivo per tutti, anche a chi non ne ha bisogno, aggravando le difficoltà di tutti.

(1) Questi numeri in realtà sottostimano la perdità di competitività in Spagna e Grecia. Essa andrebbe misurata confrontando i soli prezzi dei beni non commerciabili (cioè dei prezzi dei servizi privati che non sono scambiati sul mercato globale). Questi sono cresciuti più di quelli al consumo in Grecia e Spagna, mentre sono cresciuti meno in Germania. Dunque si sovrastima la spesa reale in Spagna e Grecia e si sottostima quella tedesca

LA RISPOSTA DELL’AUTORE A PAOLO MANASSE CON REPLICA

È una nota un po’ criptica: sarebbe bene chiarire, perché non viene spiegato, com’è il prezzo dei beni non commerciati non traded. Forse un indice dei prezzi dei servizi privati? Si potrebbe usare un indice dei prezzi dei servizi privati o un indicatore dei salari pubblici, seppure anche quest’ultimo metodo non sia del tutto adatto, in quanto poi i beni pubblici vengono spesso finanziati in deficit inficiando la proporzionalità tra salari e “prezzi al cliente”. Insomma, si tratta di un problema spinoso. Penso  che usare le grandezze nominali, eventualmente deflazionate sul Pil nominale, sia la cosa migliore per evitare problemi metodologici. Per la Spagna la perdita di competitività spiega solo una piccola parte del differenziale di spesa tra Germania e Spagna: +71 per cento in termini nominali. I prezzi dei servizi pubblici greci, invece, aumentano di più anche perché i greci sono più corrotti dei tedeschi (come succede da noi con gli appalti, i Mondiali di calcio e le Olimpiadi). Quindi l’aumento dei prezzi è in parte spiegato dal peggioramento della qualità del servizio. Peggioramento di qualità che bisognerebbe sottrarre dalle quantità. Anche per questo, se non si riesce a distinguere bene tra prezzi e quantità, le grandezze nominali forniscono qualche utile indicazione.  

 

E UNA PRECISAZIONE

di Paolo Manasse

Nel mio pezzo di commento ho semplicemente dedotto dal tasso di crescita nominale della spesa l’inflazione dei prezzi al consumo. Questo verosimilmente sovrastima la crescita dei prezzi nella pubblica amministrazione (che produce servizi non tradables) in Germania, dove i prezzi al consumo crescono meno che altrove,  e viceversa  sottostima la crescita dei prezzi in Spagna e Grecia, dove i prezzi al consumo salgono più che altrove, e dunque più dei tradables. Quindi gli andamenti del grafico in effetti tendono a sottostimare la spesa pubblica in Germania e sovrastimarla in Spagna e Grecia. In altre parole se avessi avuto a disposizione indicatori migliori con cui deflazionare i valori nominali, la spesa in Germania sarebbe risultata ancor più alta e quella in Spagna e Grecia ancor più bassa.
Poi se negli ultimi anni la corruzione sia aumentata in Grecia (se è rimasta alta ma costante non ci sarebbero effetti) è difficile stabilirlo, ma credo non sia ovvio.

LA FUGA DI CAPITALI NEI CONTI DELLA BANCA D’ITALIA

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LA DEMOCRAZIA E IL FISCAL COMPACT

Le elezioni in Francia, Grecia, Italia e Germania hanno messo in evidenza che nell’’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono maggiore spesa pubblica sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi non c’è via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.

 

LO SPREAD E I VERTICI UE

I vertici UE servono a tranquillizzare i mercati oppure contribuiscono a peggiorare la situazione? Se guardiamo la misura della “temperatura” della crisi più conosciuta, lo spread tra i titoli decennali del Tesoro greco, italiano, spagnolo e francese con i Bund tedeschi, nessun vertice è riuscito a fermare la corsa al rialzo (nel grafico le barre verticali segnalano le più importanti riunioni del Consiglio europeo o dell’Ecofin, le riunioni dei ministri delle Finanze). Anzi, per quanto non si possa dedurre dal grafico alcun nesso di causalità, si può notare come nel 2011 alla vigilia dei vertici lo spread tendesse a scendere, segno di aspettative positive sull’esito del summit per poi risalire subito dopo, probabilmente per la delusione dei mercati rispetto alle decisioni effettivamente prese. Alcune volte la risalita dello spread è molto rapida, come in seguito ai vertici di giugno e luglio 2011 e soprattutto a quelli del 26 ottobre o del 9 dicembre scorso, entrambi presentati come “il momento verità” per l’Unione, ma conclusi in un nulla (o poco) di fatto. Solo da inizio gennaio 2012 lo spread per Italia, Spagna e Francia ha cominciato lentamente a scendere, contestualmente alla firma del nuovo trattato e (forse soprattutto) all’azione della BCE e alla liquidità a basso tasso offerta da questa alle istituzioni bancarie europee (LTRO). Le nuove incertezze di questi giorni, però, rischiano di vanificare anche questo relativo miglioramento.

Il grafico fa parte di un breve saggio sulla comunicazione delle istituzioni europee in tempi di crisi “La sauna di Olli. O dell’inutilità della propaganda UE” pubblicato nel Quaderno Speciale di Limes, intitolato “Media come armi” uscito il 26 aprile.

ALLA FRANCIA SERVE UN PRESIDENTE CORAGGIOSO

La campagna elettorale del primo turno ha evitato ogni discussione sui problemi fondamentali che affliggono la Francia. E probabilmente non se ne parlerà neanche in vista del secondo turno. Ma il futuro presidente dovrà affrontarli. Il debito pubblico è insostenibile e va ridotto. Tanto più che la disciplina di bilancio non è un concetto antitetico a quello di crescita. Non va poi contestato il Fiscal compact, ma bisogna portare in Europa idee nuove e forti. Quanto alla questione cruciale della disoccupazione, per risolverla serve una seria riforma del mercato del lavoro.

 

PERCHÉ L’EURO RIMANGA

La sopravvivenza dell’euro è davvero condizionata alla realizzazione di un’unificazione politica, probabilmente prematura? Se l’unione politica stenta, non è detto che spezzare l’unità monetaria accresca il benessere dell’area. I problemi di competitività di alcuni paesi hanno cause che non dipendono dal cambio. Essenziale è invece l’unione della finanza e delle sue regole. E il sistema finanziario europeo dovrebbe essere meno banco-centrico. Mentre servirebbe una procedura comunitaria ufficiale per gestire eventuali ristrutturazioni ordinate dei debiti pubblici.

LA RIPRESA DEGLI ALTRI

Mentre i dati congiunturali di fine 2011 e inizio 2012 certificano un peggioramento della congiuntura economica europea, il superindice Ocse suggerisce che le cose andranno meglio nel secondo semestre 2012. Non per tutti allo stesso modo. Per ora le prospettive di miglioramento riguardano Germania e Regno Unito, non Italia, Francia e Spagna. Ma le differenze di prospettive in Europa sono anche una sfida a cogliere le opportunità che la ripresa degli altri presenta anche a chi ancora non vede l’uscita dal tunnel.

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