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UNIONE BANCARIA: LONTANI DALLA META

La Commissione UE ha presentato il primo tassello dell’unione bancaria europea: nuove regole per gestire le crisi bancarie. Ogni paese dovrebbe perciò dotarsi di un fondo per la risoluzione delle crisi  pre-finanziato dalle stesse banche. In dieci anni, dovrebbe raggiungere una capacità di intervento pari all’1 per cento dei depositi garantiti. Prevista anche la collaborazione tra autorità di supervisione nazionale. È un buon inizio, ma il traguardo è ancora molto lontano. Con i tempi di decisione dell’Europa, rischiamo di arrivarci quando l’euro non ci sarà più.

La Commissione UE ha presentato il 6 giugno una proposta di direttiva sulla gestione delle crisi bancarie. Lo scopo è evitare che in futuro si ripeta quello che è successo negli ultimi anni: i dissesti delle banche hanno imposto un costo enorme ai bilanci pubblici di alcuni paesi, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. I casi dell’Irlanda e della Spagna sono i più eclatanti: i salvataggi delle banche hanno portato i governi dei due paesi sull’orlo dell’insolvenza, costringendoli a chiedere l’aiuto comunitario (l’Irlanda l’ha già fatto, la Spagna lo farà presto). La Commissione stessa ammette di avere approvato – tra l’ottobre 2008 e lo stesso mese del 2011 – aiuti di stato agli intermediari finanziari per 4.500 miliardi di euro (equivalenti al 37 per cento del Pil comunitario). (1)

GLI ELEMENTI DELLA PROPOSTA

La proposta della Commissione prevede tre fasi: prevenzione, intervento tempestivo, gestione della crisi.
Prevenzione
. In via preventiva, le banche devono predisporre piani di azione da attivare in caso di deterioramento della loro situazione finanziaria. Le autorità devono predisporre in dettaglio le procedure per la gestione di eventuali crisi di istituzioni finanziarie.
Intervento tempestivo
. Se una banca è sottocapitalizzata, l’autorità deve intervenire per imporre le misure necessarie alla ricapitalizzazione ed eventualmente alla ristrutturazione del debito. Essa può anche imporre la sostituzione temporanea del management, nominando uno “special manager” incaricato di ripristinare la sana e prudente gestione.
Gestione della crisi
. Se le misure precedenti non sono state efficaci, l’autorità può prendere il controllo dell’istituzione finanziaria in dissesto, imponendo alcune misure quali:

– vendita della banca in dissesto a un altro istituto bancario;
– separazione delle attività in “buone” e “cattive”: le prime sono destinate alla vendita a una altra banca, le seconde sono conferite in una bad bank o liquidate;
– in mancanza di un acquirente, la banca viene ricapitalizzata imponendo agli azionisti di subire una riduzione (anche totale) del valore delle loro azioni. Ai creditori (tranne ai depositanti garantiti) può essere imposta una riduzione del valore dei loro titoli, con eventuale conversione in azioni.

Queste operazioni naturalmente richiedono l’iniezione di risorse nuove. Ogni paese dovrebbe perciò dotarsi di un fondo per la risoluzione delle crisi bancarie, pre-finanziato dalle stesse banche. Nell’arco di dieci anni, il fondo dovrebbe raggiungere una capacità di intervento pari all’1 per cento dei depositi garantiti. Potrà anche essere richiesto il contributo dei fondi di assicurazione dei depositi già esistenti in ogni paese. È anche previsto che i fondi nazionali si prestino risorse tra di loro.
Infine, si prevede che le autorità di supervisione nazionale collaborino tra di loro, grazie anche all’attività di coordinamento svolta dalla European Banking Authority (Eba). Questo aspetto è particolarmente rilevante per le istituzioni che hanno una significativa presenza in diversi paesi della UE (cross-border institutions).

BENE, MA L’UNIONE BANCARIA È LONTANA…

La finalità della proposta è condivisibile. I disastri prodotti da alcuni sistemi bancari hanno costretto i governi a intervenire, perché non ci si può permettere che le banche falliscano: il fallimento di una grande banca, per gli effetti a catena che produce, ha un costo enorme per tutto il sistema economico e finanziario (il caso Lehman Brothers ha fatto scuola). Tuttavia, i salvataggi, oltre a essere costosi per i contribuenti, incoraggiano i manager delle banche a prendersi elevati rischi, facendo conto sull’intervento pubblico in caso di difficoltà. La scelta tra le due alternative, fallimento o salvataggio, è quindi molto difficile e produce comunque esiti indesiderabili. Per uscire dall’impasse, occorre una procedura speciale per gestire le crisi bancarie, diversa dalle normali procedure fallimentari. Deve assicurare che una banca in crisi finanziaria possa continuare a operare, evitando così che si interrompa la sua partecipazione al sistema dei pagamenti, dei prestiti interbancari e alle imprese, dei depositi della clientela. Nello stesso tempo, la banca deve essere ristrutturata imponendo ad alcuni soggetti gli stessi costi che avrebbero sopportato in un normale fallimento: i manager, gli azionisti, i creditori non garantiti. Il pregio della proposta della Commissione consiste nell’introdurre un quadro di regolazione comune ai paesi europei, che soddisfa questa esigenza.
Allargando lo sguardo alla cosiddetta “unione bancaria” di cui tanto si parla in questi giorni, c’è da essere meno positivi. Secondo la stessa Commissione – e secondo le dichiarazioni di altre autorità e di numerosi politici e commentatori – l’unione bancaria dovrebbe comprendere i seguenti elementi:

– un unico fondo di assicurazione dei depositi per tutte le banche europee;
– un unico fondo europeo per la risoluzione delle crisi bancarie e una unica autorità per la loro gestione (almeno per le banche cross-border);
– una unica autorità di supervisione bancaria (per banche cross-border e di importanza sistemica);
– un insieme di regole unico (rule book) per la supervisione di tutte le banche europee.

Siamo molto lontani dalla realizzazione di questo quadro, di cui la proposta di direttiva è solo il primo passo. Essa prevede solo una armonizzazione tra le regole nazionali e una collaborazione tra le autorità dei singoli paesi. Le banche tedesche, sebbene non godano di ottima salute, sono contrarie a qualsiasi forma di “mutualizzazione” dei debiti bancari prima che la supervisione bancaria sia stata accentrata presso una autorità europea. Finché questa condizione non sarà soddisfatta, la Germania si opporrà alla assicurazione europea dei depositi, così come ai prestiti tra Fondi nazionali previsti dalla proposta della Commissione. Ma altri paesi, primo fra tutti la Francia, sono ostili a cedere la loro sovranità. Questa contrapposizione è anche quella che sbarra la strada agli Eurobond.

…NEL FRATTEMPO LA CASA BRUCIA

Ma quello che colpisce di più sono i tempi biblici che occorrono anche per fare questo primo passo. Per arrivare alla proposta di Direttiva, la Commissione ha attivato due processi di consultazione, il primo dei quali nel 2009. Ora la proposta dovrà avere l’approvazione, per niente scontata, del Consiglio europeo e del Parlamento. Se tutto va bene, entrerà in vigore nel 2015. Quindi ci vogliono sei anni per passare dalle parole ai fatti.
Questi sono i tempi di decisione dell’Europa, anche per un provvedimento che non comporta nessuna cessione di sovranità nazionale. Figuriamoci per misure più impegnative, quali quelle previste dal progetto di unione bancaria europea. Naturalmente questo non vuole dire che non bisogna mai cominciare: è importante fare i primi passi e dare al mercato il segnale che si ha la volontà politica di fare quelli successivi. Tuttavia occorre anche affrontare tempestivamente, con gli strumenti a disposizione, le questioni urgenti, quali la revisione dell’accordo con la Grecia e la ricapitalizzazione delle banche spagnole. Altrimenti, l’unione bancaria, se mai si farà, arriverà sulle ceneri dell’euro.

 

(1) Va precisato che non si tratta necessariamente di uscite di cassa: molti stanziamenti sono stati sotto forma di garanzie, che solo in alcuni casi si sono tradotte in uscite effettive.

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QUANTA INCERTEZZA SULL’EURO

  1. Piero

    La crisi non e’ stata provocata dalle banche, esse hanno assorbito nei loro bilanci la perdita del valore degli asset attivi composti da titoli governativi, tali svalutazioni hanno ridotto il loro patrimonio, da un lato tali fenomeni hanno contribuito al blocco del credito interbancario per mancanza di fiducia, dal lato della clientela con una stretta sul credito, se cio’ e’ vero dobbiamo agire sulla causa del problema, ossia la mancanza di fiducia dei titoli statali, qui abbiamo diverse soluzioni, che vanno dalla sostituzione di tutti o parte di essi in eurobond, oppure monetizzazione diretta o indiretta di parte di tale debito da parte della bce, la terza variante che la Germania vuole far passare ai mercati, ossia che con i compitini a casa propria gli stati pagheranno il loro debito, i mercati finanziari hanno già bocciato tale soluzione. Perché i nostri governanti nazionali o europei non prendono delle posizioni serie, alla fine dovrebbero essere competenti e vengono pagati da noi per amministrare il paese, preciso che stanno chiudendo 1000 imprese al giorno, il trend e’ in aumento.

  2. rdan

    Il dramma è che la UE sta producendo carta su carta, norme su norme e i controllori a breve uguaglieranno per numero i controllati. Chi controllerà poi i controllori? Stiamo creando e potenziando un mostro burocratico inefficiente a costi insostenibili.

  3. Giandomenico Ciccone

    Personalmente, mi sembra l’ennesima riforma per prendere un po’ di tempo, ma che, in sostanza, non riesce a risolvere i problemi. Soprattutto, mi sembra estremamente poco efficace l’idea di creare un sistema assicurativo a livello nazionale, dove i rischi sono estremamente correlati fra loro. E’ così difficile avere un’unica authority bancaria (condizione penso necessaria prima di creare un’assicurazione a livello auropeo, su questo ai tedeschi non penso si possa dire nulla)? domanda retorica, a quanto pare si! veramente, più passa il tempo, più l’europa mi sembra una grande italia: ogni volta che c’è un problema, si fa una riforma che cambi tutto per non cambiare nulla, che salvi gli interessi di tutte le parti in gioco danneggiando tutti, mentre ognuno pensa al suo piccolo orticello.

  4. mirco

    Credo che la soluzione è semplice per quanto impegnativa ed è politica. Per salvare L’euro occorre una unione politica tra gli stati dell’eurozona con la costituzione di un vero governo federale e cessione di sovranità: Una costituzione un presidente un ministro degli esteri con poteri per shenghen un ministro del tesoro e delle finanze un ministro delle politiche sociali un ministro delle infrastrutture e degli investimenti Un ministro della difesa una tassa comune per la gestione del debito( aliquota sullIVA?) le elezioni politiche nei vari paesi da farsi contemporaneamente in questo modo tutto si calmerà. Ormai l’economia non conta ci vuole la politica.

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