Occhi ancora puntati sulla Grecia, soprattutto per gli effetti che la gestione del caso potrebbe avere sul destino futuro e la governance della moneta unica europea. Un intervento di sostegno al paese potrebbe avere effetti negativi sulla credibilità dell’unione monetaria. Ma i costi del non intervento sarebbero ancora più alti. Resta il problema di come evitare che simili eventi si ripetano in futuro. Più in generale è sostenibile un’unione monetaria in cui i paesi membri continuano a essere sostanzialmente sovrani sul piano fiscale?
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Dopo la conferenza di Copenaghen sul clima, i ministri europei tornano a dividersi sulle strategie per combattere i cambiamenti climatici. O meglio, il disaccordo è più precisamente sugli impegni quantitativi di riduzione delle emissione dei gas ad effetto serra nel 2020. Ma è davvero rilevante discutere sui numeri? Quanto al governo italiano, non ha mai esplicitamente riconosciuto che le attività umane contribuiscono ad aumentare la temperatura del pianeta e non ha una visione strategica su come affrontare il problema.
La crisi della Grecia avrà un effetto destabilizzante per tutta l’area euro? La possibilità di un default del governo greco è in realtà remota, ma è vero che i mercati e le agenzie di rating danno segni di nervosismo. Anche nell’ipotesi peggiore, si può comunque evitare una crisi di sistema. Basta che gli altri stati dell’area offrano un aiuto finanziario. Che avrebbe costi decisamente inferiori a quelli già sostenuti per il salvataggio delle banche durante la crisi finanziaria. Soprattutto, i governi dell’eurozona dovrebbero rendere chiara la loro posizione sulla questione.
Grazie a tutti i lettori per i commenti.
I lettori Vincenzo Scrutinio e Marco hanno ragione: negli scenari 1 e 2 si assume che in Italia il tasso dinflazione passi dallattuale -0,5% al 1,13% ed al 3%, rispettivamente, (supponendo una crescita del PIL all1%), senzache i tassi nominali aumentino. Questo avverrebbe solo se laccelerazione dei prezzi non fosse anticipata dai mercati e dunque non si riflettesse sui tassi nominali. Nel caso limite opposto in cui i tassi nominali aumentassero perfettamente in linea con linflazione (vale a dire diventassero pari al 4.64% e al 6.51%) i tassi reali non cambierebbero, e lunico vantaggio rimarrebbe quello proveniente dalla crescita del PIL. In questo caso lentità della manovra richiesta per stabilizzare il rapporto debito PIL in Italia si ridurrebbe meno, al 5,25%, in entrambi gli scenari.
Il lettore Dino Martellato, invece, ha torto. Il rapporto debito PIL è cruciale per la sostenibilità, perché ci dice qual è il surplus primario necessario per ottenere quei risparmi che permettano allo stato di rimborsare il debito esistente e di pagarne gli interessi maturati.
Il lettore (e collega) Riccardo Ercoli solleva il punto delle regole fiscali: non esistono, sostiene, regole fiscali in Italia che vincolino il Governo a metter in atto gli aggiustamenti previsti negli scenari. Due osservazioni in proposito: 1) nellarticolo si vuole metter in luce quali aggiustamenti di bilancio sarebbero necessari per stabilizzare il rapporto debito PIL nei due paesi, e non esprimere un giudizio circa la probabilità che questi siano messi in atto; 2) la mia opinione sullefficacia delle fical rules è che queste regole siano per lo più adottate dai paesi virtuosi (in termini di disciplina di bilancio), ma che di per sé non rendano i paesi virtuosi (si veda in proposito il mio IMF Working paper).
La quasi-fuga dal debito pubblico della Grecia è totalmente ingiustificata e il governo greco non ha nessuna necessità di dichiarare bancarotta. Ma è anche vero che per più di trent’anni l’indisciplina fiscale è stata la regola dell’azione dei vari governi che si sono succeduti. La pressione dei mercati finanziari dovrebbe ora essere interpretata come il segnale che la festa è finita. Per procedere a tagli immediati e radicali della spesa pubblica e a una riforma delle procedure di bilancio. Interventi politicamente dolorosi, ma inevitabili.
Oltre alla Grecia, altri paesi europei sono considerati a rischio insolvenza del debito da mercati e agenzie di rating. L’Italia è uno di questi. Ma quali sono differenze e analogie tra la nostra situazione e quella greca? In Grecia lo squilibrio è dato da un disavanzo primario molto elevato. Nel nostro paese, invece, è la fortissima recessione seguita alla crisi a creare problemi. E allora le nostre finanze, a differenza di quelle greche, potrebbero beneficiare molto della ripresa economica e dell’aumento dell’inflazione.
Il sì dell’Irlanda al nuovo Trattato di Lisbona non risolve tutti i problemi. Gli euroscettici possono in alcuni casi diventare forze di governo e dunque i paesi che credono nell’Unione devono procedere nelle scelte concrete con gli strumenti della cooperazione rafforzata. Ci sono poi i seri pericoli di disintegrazione posti dalla crisi economica e finanziaria. E la necessità di parlare con una voce unica sulle grandi questioni mondiali. Serve un esercizio della funzione d’iniziativa, politica e legislativa, che il Trattato assegna in esclusiva al presidente della Commissione.
Il problema fondamentale del settore automobilistico è la capacità produttiva in eccesso. L’effetto degli incentivi è semplicemente di rinviare la resa dei conti fra i produttori europei. Almeno, negli Stati Uniti gli aiuti sono stati condizionati a un piano draconiano di ristrutturazione del settore che apparisse sostenibile nel medio periodo. In Europa invece le rottamazioni sono state decise dai singoli governi, senza forme di coordinamento esplicito. Il rischio è che i costi sociali saranno molto più alti e concentrati geograficamente quando il gioco al rinvio non sarà più possibile.
La politica europea sugli aiuti di Stato è ricca di ipocrisie: ancora oggi sono quasi trenta i canali attraverso i quali i governi possono finanziare le imprese nazionali. Tra l’altro, le rottamazioni per l’auto sono considerate aiuti ai consumatori e quindi non conteggiate. Quanto alla Fiat, ha già ricevuto oltre 300 milioni di aiuti di Stato ufficiali proprio per gli stabilimenti del Sud che ora minaccia di chiudere. Dovrebbe perciò cercare sul mercato le risorse per superare le difficoltà dovute alla crisi. Ed elaborare un piano industriale di rilancio delle produzioni italiane.
Nel 2004, per coordinare gli interventi operativi di controllo dei confini dell’Unione Europea, la Commissione europea costituisce un’Agenzia sovrannazionale denominata Frontex. Oggi di fronte al continuo fenomeno degli sbarchi clandestini, ed ancora di più, di fronte alle tragedie che avvengono nel Mediterraneo, ci si domanda quale sia il ruolo dell’Unione Europea e in particolare quali siano le evoluzioni del processo di armonizzazione del controllo delle frontiere posto in essere con la costituzione di Frontex.