Lavoce.info

Categoria: Unione europea Pagina 80 di 101

LA MADRE DI TUTTI I SALVATAGGI

Il sistema finanziario statunitense è stato nazionalizzato e la Fed ha perso la sua indipendenza. E in Europa? Il caso Aig ha messo in evidenza l’interconnessione tra il mercato finanziario statunitense ed europeo, oltre a un colossale aggiramento dei vincoli sui requisiti di capitale. Ora, le maggiori banche europee sono diventate troppo grandi per fallire, ma anche troppo grandi per essere salvate. Dovrà farsene carico la Bce. I regolatori europei sono seduti su una bomba a orologeria e farebbero bene ad attrezzarsi per affrontare scenari peggiori.

PARADOSSI DEL CALO DELLA DISOCCUPAZIONE

Negli ultimi dieci anni in Europa la disoccupazione è scesa notevolmente, anche quella di lunga durata. Eppure, i sondaggi evidenziano un crescente malcontento per le condizioni di lavoro. Perché? Le riforme degli anni Novanta hanno creato un mercato del lavoro a due velocità, che produce pesanti asimmetrie nelle carriere, con tutti i rischi concentrati sulle spalle degli assunti con contratti atipici. La risposta non è un ritorno al passato, ma una decentralizzazione maggiore delle negoziazioni salariali, legando gli stipendi alla produttività.

UNO SPETTRO SI AGGIRA PER L’EUROPA: LA RECESSIONE TEDESCA

L’Eurostat ha comunicato che nel secondo trimestre 2008 le economie europee stanno rallentando rispetto al primo trimestre: il Pil è rimasto fermo (-0,1%) nell’Europa a 27 ed è sceso più marcatamente (-0,4%) nell’area euro. Il rallentamento ha soprattutto a che vedere con il netto peggioramento dell’economia tedesca che nel primo trimestre 2008 aveva fatto registrare un +1,3% grazie al traino delle esportazioni nell’Est Europa, in Russia e in Cina e a una sostanziale tenuta dei consumi. Nel secondo trimestre, la festa è finita. Il Pil tedesco è sceso dello 0,5%, la riduzione più consistente in tutti i paesi europei. E le brutte notizie proseguono anche nei mesi più recenti. Le vendite al dettaglio in Germania sono scese dell’1,5% in luglio, più o meno come in giugno, dopo che nei mesi precedenti si erano alternati dati positivi e negativi. E anche l’avanzo della bilancia commerciale è sceso del 30% circa in luglio. Colpa della bolletta petrolifera e della drastica diminuzione dell’export. Certo, dalla metà di luglio ad oggi, tutto è cambiato: sui mercati delle materie prime la deflazione ha preso il posto dell’inflazione e ora l’euro si sta deprezzando nei confronti del dollaro. Ma per vedere qualche effetto bisognerà aspettare i primi mesi del 2009. Intanto, la prospettiva che l’economia tedesca entri in recessione con una crescita del Pil negativa nel terzo trimestre (si parla di “recessione” di fronte a una diminuzione consecutiva per due trimestri del Pil) è molto concreta.
Le brutte notizie dalla Germania sono brutte notizie per tutta l’Europa (il Pil tedesco è un quinto del Pil dell’Europa a 27). Sono soprattutto brutte notizie per l’Italia per la quale la Germania rimane il principale mercato estero di sbocco. In questo scenario di rallentamento dei mercati esteri, sostenere i consumi interni, soprattutto dei meno abbienti, diventa cruciale. Per questo il governo deve proseguire con anche maggiore decisione la strada intrapresa di riduzione della spesa pubblica in modo da creare un po’ di spazio a mirate riduzioni di imposta che non peggiorino i nostri sempre scricchiolanti conti pubblici.

COME FARE LE RIFORME ED ESSERE RIELETTI

I politici europei temono che procedere sulla strada delle riforme strutturali significhi perdere le elezioni successive. E’ una paura infondata. Perché i benefici che ne derivano per famiglie e imprese possono essere anticipati da mercati finanziari ben funzionanti, riducendo così l’opposizione. I dati mostrano che di tutti i governi riconfermati dopo aver varato una riforma, il 65 per cento era a capo di una nazione con una regolamentazione pro-competitiva dei mercati finanziari. Diventano poi più facili gli interventi sui mercati dei prodotti e del lavoro.

PIU’ ALTI I TASSI, PIU’ FORTI LE CRITICHE

La Bce rialza i tassi nonostante le pressioni dei politici europei. Perché cedere a quelle richieste equivarrebbe a una perdita netta di credibilità. Ma anche dai tecnici sono arrivate critiche. Eppure il modo migliore di condurre la politica monetaria è muovere i tassi oggi affinché le previsioni di inflazione da qui a 18-24 mesi appaiano in linea con determinati obiettivi. A condizione, però, che la banca centrale spieghi con chiarezza come e perché le sue decisioni di oggi influiscono sulla elaborazione delle previsioni stesse. Proprio quello che la Bce non fa.

SPAGNA-ITALIA: IL SORPASSO

In Spagna, la classe dirigente ha chiara l’urgenza della principale sfida per il futuro: far crescere la produttività totale. E non si ha paura di lasciare indietro chi non tiene il ritmo dell’innovazione, siano università inefficienti o imprese poco competitive. In Italia il ministro dell’Economia indica la globalizzazione come causa dei nostri malanni. Ma se vogliamo tornare a crescere, dobbiamo risolvere i problemi interni. A partire da due risorse inutilizzate come Mezzogiorno e lavoro femminile. Aggiungendo molta concorrenza. L’alternativa è solo un dolce declino.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La democrazia in Europa

La tesi del dissenso disinformato dell’Irlanda sul trattato di Lisbona ha attirato diversi commenti, molti di adesione, ma anche molti di critica. Ringraziando tutti i lettori, cercherò di fornire qualche risposta ai critici

Valutate nel loro complesso le osservazioni critiche mi pare possano essere raggruppate in due filoni.

A) Non tiene il presupposto centrale della tesi sostenuta, vale a dire l’impossibilità di porre la questione della ratifica del trattato d Lisbona ad un referendum, per l’inevitabile complessità e lunghezza della materia oggetto del trattato. Anzi, gli irlandesi sono una frazione infinitesimale di europei che si sono pronunciati contro l’Europa, per il solo fatto che sono gli unici che sono stati messi nella posizione di esprimersi. Se referenda fossero stati indetti in tutti i 27 paesi, probabilmente il no sarebbe espresso dalla maggioranza dei cittadini.
B)  Le politiche europee, molte delle quali non piacciono (allargamenti improvvidi, dumping sociale, euro, politiche commerciali eccessivamente liberiste, ecc), sono decise da ‘tecnici’, ovvero ‘oligarchie’ più o meno illuminate, e i cittadini non hanno (o hanno scarsissimo) diritto di parola. Dunque ben vengano i referenda e i conseguenti esiti negativi. 

Proverò a dimostrare che entrambe queste osservazioni non sono molto solide.
Per quanto riguarda la posizione sub A) posso tranquillamente ammettere che se proponessimo ai cittadini un quesito referendario analogo a quello sottoposto agli irlandesi, la maggioranza degli europei risponderebbe come questi ultimi. Il quesito nella sostanza era questo: “volete voi accettare un trattato incomprensibile il cui eventuale rifiuto non cambia nulla nelle vostre vite?” Occorre un bella fede europea per rispondere sì.
Ma perché non proporre invece un quesito di questo genere: “volete voi denunciare i trattati europei, sostenendo i costi della non-Europa?” A me sembra che anche questo sia un modo del tutto legittimo e più esaustivo di interrogarci sull’Europa. In questa maniera ci domanderemo seriamente se siamo disposti ad abbonare quella casa comune che ci garantisce benessere e pace da 60 anni. Se siamo disposti ad abbandonare le regole sulla tutela dei consumatori, della concorrenza, dell’ambiente, dell’educazione, della sanità, della ricerca, del sostegno all’agricoltura, della distribuzione di fondi strutturali di cui, ad esempio, Italia e Irlanda, hanno ampiamente usufruito negli ultimi 30 anni.
Forse saremmo meno sicuri anche su questioni a cui oggi risponderemo con un no secco. Ad esempio, l’abbandono della politica commerciale comune ci farebbe riacquistare la sospirata sovranità commerciale ma, Stati Uniti e Cina, invece che con il gigante Unione europea, si troverebbero a poter trattare con 27 nanetti (alcuni dei quali praticamente invisibili dal punto di vista economico) che giocano separatamente e contraddittoriamente. Un buon risultato?
Insomma a seconda della domanda che si pone ai cittadini, e del dibattito che ne segue, credo che l’esito di un referendum possa essere molto diverso e questo conferma la tesi che esso non è uno strumento idoneo per decidere su un tema complesso e articolato come l’Europa. Su questo tema devono deliberare i Parlamenti, posto che questi sono eletti dai cittadini proprio con il compito di prendere decisioni tecnicamente complesse e politicamente delicate, e soprattutto lontano da suggestioni populiste.

Vengo alla critica sub B) secondo la quale in Europa le decisioni sono prese in maniera non democratica da euro-burocrati. Non è affatto così.
Come è (o dovrebbe essere) ampiamente noto, i grandi orientamenti politici europei sono decisi dal Consiglio di Capi di Stato e di Governo, dove siedono i responsabili politici degli Stati membri (per l’Italia, il nostro Primo Ministro). Tali orientamenti vengono tradotti in proposte dalla Commissione europea. Questo organo, peraltro nominato dai governi nazionali, è effettivamente quello in cui operano i c.d. euro-burocrati, ma il punto sta che esso non decide nulla in maniera definitiva. Affinché un atto di portata legislativa (regolamento o direttiva) sia adottato, occorre un doppio assenso alla proposta della Commissione: anzitutto è necessario il voto del Consiglio dei ministri degli Stati membri e successivamente occorre il voto positivo del Parlamento europeo. Se uno di questi due organi non è d’accordo, l’atto non entra in vigore.
I ministri che siedono nel Consiglio sono i componenti dei nostri governi e dunque sono soggetti al controllo e alla fiducia dei nostri parlamenti nazionali. Il Parlamento europeo lo eleggono direttamente i cittadini dei paesi europei in base alle singole leggi elettorali nazionali. Quest’ultimo, se il trattato di Lisbona entrerà in vigore, eleggerà il Presidente della Commissione.
In questo quadro, com’è possibile sostenere che qualcuno, a Bruxelles, magari un burocrate senza volto e senza mandato elettivo, decide per noi? Non è piuttosto vero che spetterebbe a noi essere più attenti a cosa fanno a Bruxelles i nostri governi, sostenuti dalle nostre maggioranze parlamentari? Ovvero chiedere conto ai parlamentari europei a cui abbiamo dato il voto? Ovvero tenere a mente, quando sentiamo i nostri politici dire “ce lo ordina Bruxelles”, che in realtà a Bruxelles quelle decisioni le hanno prese loro insieme ai governi degli altri Stati?
Certo, l’Europa ha bisogno di spiegarsi ai cittadini europei e questi hanno bisogno di interrogarsi sull’Europa. Il paradosso è che cittadini europei ed Europa sono la stessa cosa.

UNA NUOVA UNIONE DALLE CENERI DEL REFERENDUM

Il sistema di incentivi non funziona se una piccola nazione può punire Bruxelles e la sua classe politica a costi bassissimi. L’Irlanda rappresenta l’1 per cento dell’Unione Europea e il costo del suo no ricade sull’altro 99 per cento. Ma la soluzione per superare il veto irlandese c’è, anche se è radicale: gli altri Stati membri dovrebbero abbandonare la vecchia Unione e fondarne una nuova con il Trattato di Lisbona come legge fondamentale. A quel punto gli irlandesi dovrebbero dire se vogliono stare dentro o fuori la nuova Europa.

PER CHI SUONA IL NO DELL’IRLANDA

Gli interessi economici sono stati uno dei fattori che hanno determinato l’esito del referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. La distribuzione del voto mostra una larga maggioranza di sì nelle aree più ricche, mentre in quelle più povere ha prevalso il no. Come in Francia, i lavoratori non qualificati si sono sentiti minacciati dalla concorrenza e dall’immigrazione dai paesi dell’Est Europa. Ma se gli elettori della classe operaia e delle campagne votano sistematicamente contro una maggiore integrazione europea, i leader politici non possono far finta di niente.

UN TRATTATO DA ATTUARE COMUNQUE

Il referendum irlandese conferma la difficoltà delle classi dirigenti nazionali, generalmente favorevoli all’Europa, a mantenere su questa linea il consenso dell’opinione pubblica interna. Invece di diventare un punto di riferimento rassicurante, le politiche dell’Unione hanno talora alimentato le paure, con messaggi confusi su mercato del lavoro, immigrazione, sicurezza interna, ambiente, prezzi dei beni alimentari. La ricerca di compromessi ha frenato la capacità di agire in difesa dei cittadini europei. Nulla vieta di adottare presto le norme su presidenza e ministro degli Esteri.

Pagina 80 di 101

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén