Negli Stati Uniti le azioni collettive svolgono un ruolo molto importante per il risarcimento di danni causati da prodotti difettosi e fondate sulla responsabilità civile dei produttori. Basterà una legge sulle class action per diffondere anche in Italia una simile tradizione? Probabilmente no. Perché il regime di responsabilità oggettiva è stato introdotto in Europa nel 1985, ma raramente vi si è fatto ricorso. E restano notevoli le differenze con gli Usa nelle garanzie offerte dallo Stato sociale e nel costo di accesso alla giustizia.
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La nuova organizzazione della vigilanza sui mercati finanziari realizza una reale semplificazione: vengono attribuite alla Banca d’Italia tutte le competenze di stabilità , alla Consob quelle sulla trasparenza e correttezza di comportamento degli intermediari, con la contemporanea soppressione di Isvap e Covip. Finalmente abolito anche il Cicr. Al suo posto compare un Comitato per la Stabilità finanziaria, a cui spettano gli interventi di coordinamento per fronteggiare eventuali crisi delle banche. Ma il pericolo è che alla fine abbia troppi poteri.
La lezione è servita? A tre anni dal default Parmalat, mentre sono ancora in corso le indagini e i processi per accertare le responsabilità , ricostruiamo la vicenda e ci interroghiamo sulla capacità di reazione del nostro sistema. La legge sul risparmio contiene luci ed ombre, ma occorre agire soprattutto sui controlli preventivi per evitare che quanto è successo si ripeta. C’è ancora molto da fare, poi, sul piano della tutela penale della trasparenza e veridicità dell’informazione societaria. Così come bisogna trovare strumenti di più facile e rapido accesso alla giustizia dei risparmiatori (la class action). E le regole sulla crisi di imprese devono essere razionalizzate e sottratte al controllo della pubblica amministrazione. Ma le norme non bastano. Ci vogliono incentivi microeconomici, che spingano i protagonisti del mercato finanziario a produrre efficienti sistemi di governance e a controllare i conflitti di interesse.
Fino al dicembre del 2003, l’Italia aveva un apparato di regole sufficientemente moderno per le imprese che, pagando regolarmente i creditori, erano governate dai loro azionisti. Per un eventuale crisi, scattavano però regole la cui origine era rintracciabile nel medioevo. Un panorama sconfortante, cambiato sotto i colpi di maglio del caso Parmalat. Ora occorre fare tesoro di quest’esperienza, unica e che tale deve restare, e razionalizzare la normativa per tutte le imprese, grandi, piccole e medie.
Mentre gli Usa introducevano sanzioni molto severe per colpire false informazioni e frodi nella gestione delle società commerciali, in Italia la riforma dei reati societari rendeva molto più difficile perseguire penalmente gli autori di simili reati. Anche la legge sulla tutela del risparmio non contiene nessuna significativa novità , se non un inutile aumento delle pene per gli illeciti penali e amministrativi. Serve invece una disciplina penale societaria ed economica ispirata a serietà ed equilibrio. Come ribadito dalla Corte di giustizia europea.
Sono in discussione in Parlamento alcuni progetti di legge per introdurre anche in Italia una forma di class action. Si fondano, per lo più, su una logica differente da quella del modello americano: la legittimazione ad agire è attribuita solamente alle associazioni dei consumatori, alle associazioni dei professionisti e alle camere di commercio, ma non ai singoli danneggiati. Anche per alcuni vincoli imposti dalla Costituzione e dal diritto italiano. Che però potrebbero essere superati. Per esempio attraverso una clausola di “scadenza”, come in Germania.
Il dissesto Parmalat ha cause finanziarie profonde che mettono in evidenza alcuni vizi strutturali del capitalismo privato italiano e di molte banche. E’ perciò utile ripercorrere la vicenda, per ricordare le cifre fondamentali del clamoroso crack. A partire da una crescita basata solo sui debiti. E’ troppo semplice attribuire tutto alle frodi: queste sono state lo strumento per coprire una situazione sempre più squilibrata e ovviamente hanno dovuto diventare sempre più grandi e sempre più sofisticate.
A tre anni dal default Parmalat, le misure introdotte per evitare il ripetersi delle crisi e ridare fiducia ai risparmiatori ci rimandano un bilancio di luci e ombre. La legge sul risparmio aumenta il grado di tutela del risparmiatore. Rimane però la questione di come attivare strumenti di vigilanza pubblica in grado di verificare tempestivamente situazioni di allarme e realizzare adeguati interventi preventivi. Non è soltanto un problema di regole. L’educazione all’investimento è altrettanto importante di un efficace apparato di protezione.
La risposta agli scandali finanziari è stata tardiva e non ha corretto i maggiori limiti del nuovo diritto societario. E’ intervenuta sul malfunzionamento del sistema di governance mediante il ricorso a norme di tipo imperativo a tutela della minoranza. Eppure anche in Parmalat vigeva il rispetto formale delle migliori regole di governo societario. Dietro il quale, però, l’azionista di controllo esercitava un potere assoluto. Bisogna favorire il disegno di adeguati incentivi microeconomici capaci di tenere sotto controllo il pervasivo conflitto di interesse.
Anche se la Commissione europea ha deciso di non avviare la procedura di infrazione nei confronti delle banche popolari, una riforma resta comunque necessaria. Per evitare i rischi di autoreferenzialità del management e gli ostacoli al rafforzamento patrimoniale derivanti dal modello cooperativo. Conservare il voto capitario e rendere più trasparenti e controllabili gli assetti di governo è possibile consentendo una effettiva partecipazione dei soci, attraverso strumenti che garantiscano realistiche possibilità di organizzare il voto.