L’operazione Scip ha vantaggi presunti, ma finora non provati. Infatti, i risultati del 2003 sono largamente al di sotto delle aspettative. Né sembra vero che la cartolarizzazione acceleri il processo di vendita degli immobili. Di sicuro, consente di far cassa subito e di migliorare l’aspetto dei conti pubblici. Ma altrettanto sicuri sono i costi di cui occorre rendere nota la dimensione. Senza dimenticare i futuri costi della politica delle entrate straordinarie perseguita in questi anni.
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Negli ultimi sei anni i costi delle società di calcio sono stati superiori ai ricavi. Le perdite, che superano i tre miliardi e mezzo, sono state ripianate con le plusvalenze generate dalla compravendita di giocatori. Le regole Uefa impongono ora vincoli di bilancio stringenti, compreso un tetto per gli stipendi dei calciatori. Ma per il calcio italiano, il necessario risanamento deve partire dalla ricostruzione di una cornice di regole e istituzioni adatta alla nuova interazione tra dinamiche sportive e concorrenza economica.
La Finanziaria prevede una serie di misure destinate a sviluppare il mercato di Borsa anche per le società di piccola e media capitalizzazione. Continua a mancare, però, un progetto complessivo dedicato alle Pmi non quotate, che sono poi quelle specializzate nella produzione del “made in Italy”. Un’attenzione che invece ritroviamo nella proposta di legge dei Ds. Ma se è condivisibile la scelta di puntare ancora sugli incentivi fiscali, più dubbi suscita il meccanismo di reperimento delle risorse necessarie.
Il disegno di legge governativo sulla riforma delle autorità di vigilanza finanziaria è debole perché frutto di molte mediazioni tra posizioni diverse. Il principio della ripartizione per finalità è solo affermato, ma non realizzato fino in fondo. Sulla corporate governance non dice quasi nulla. Sanzioni e risarcimenti corrono sul filo del paradosso. Dovrà quindi essere il Parlamento a dare al provvedimento la necessaria razionalità e coerenza.
Il disegno di legge del Governo dovrebbe proteggere i risparmiatori dal ripetersi di crac finanziari nel futuro. Ma nel provvedimento non vi è traccia di norme mirate a regolare il conflitto di interesse di amministratori, sindaci e banche, mentre appaiono insufficienti quelle previste per le società di auditing. Non interviene quindi sull’elemento alla base della scarsa protezione dei risparmiatori. Tocca ora al Parlamento rimediare a questa mancanza, anche per riassorbire quel pericoloso sentimento antifinanziario che si è sviluppato tra gli italiani.
Anche la Consob ha qualche responsabilità nella vicenda Parmalat. Più in generale, interpreta in forma troppo notarile l’attività di vigilanza sulle società quotate e sui revisori. Al di là dei limiti imposti finora dalle norme, restano decisamente insufficienti i controlli che precedono la quotazione delle imprese, addirittura inferiori a quelli svolti nelle transazioni tra privati. Perché possa trasformarsi in un temibile ufficio ispettivo non basta una legge, serve piuttosto un radicale cambio di mentalità .
La parte più deludente del progetto di legge sulla tutela del risparmio è quella relativa alla riorganizzazione della vigilanza. C’è il desiderio di recuperare al controllo governativo un terreno che dovrebbe invece rimanere di esclusiva pertinenza delle Autorità . E per evitare che queste agiscano con logiche autoreferenziali è necessario definirne con precisione competenze e poteri, riducendo gli spazi di discrezionalità . Occorrono interventi coraggiosi sulla Consob, ma anche sulla Banca d’Italia, per rendere più trasparenti le strutture di governance e i processi decisionali.
La politica economica per essere efficiente deve avere un numero di strumenti pari a quello degli obiettivi. Alla luce di questo criterio, bisogna riconsiderare l’attribuzione di responsabilità a diverse authorities. Regolazione prudenziale significa controllare la solidità patrimoniale e integrità dei soggetti che partecipano al capitale di una banca, indipendentemente dalla struttura del mercato. La proposta riforma dell’articolo 19 del Testo unico bancario non va abbastanza lontano.
Vanno bene nuove norme che irrigidiscano le sanzioni per i comportamenti illeciti e chiariscano le competenze e i poteri delle autorità di vigilanza, anche per ridare fiducia ai risparmiatori e al mercato. Ma va corretta anche una peculiare debolezza italiana: il fatto che moltissimi soggetti che hanno accesso all’informazione finanziaria, che la capiscono, che hanno forte interesse economico a reagire, per qualche ragione reagiscono tardi o non reagiscono affatto. Con gravi danni per tutti.
Si chiama così il codice di condotta della Borsa italiana. La via dell’autoregolamentazione sembra infatti preferibile all’imposizione per legge delle regole di corporate governance delle banche. Tanto più che secondo studi recenti sono proprio questi meccanismi a determinare il giudizio sul valore degli istituti di credito, mentre l’assetto della vigilanza è del tutto irrilevante. Solo che in Italia le società che non adottano il codice non sono escluse dalla quotazione, come invece accade a Londra.