Il credito alle piccole e medie imprese è la chiave di volta per la ripresa. Nel Regno Unito hanno provato a favorirlo con un programma che punta a ridurre il tasso di interesse. Ma proprio qui sta la ragione dello scarso successo che finora ha incontrato. Una lezione valida anche per l’Italia.
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L’Abi sostiene che le banche italiane non possono supportare pienamente l’economia reale perché non riescono a ottenere risorse sufficienti attraverso depositi e obbligazioni. Se così fosse, basterebbe aumentare i rendimenti offerti sulla raccolta bancaria. Ma il vero problema non è il risparmio.
Per superare il credit crunch è fondamentale fare affluire alle imprese il risparmio raccolto da fondi pensione, assicurazioni e altri investitori istituzionali. Alcune iniziative interessanti sono già pronte a partire. Ma il documento dei dieci saggi punta ancora sulle banche e sulla Cdp.
Le banche hanno avuto un ruolo cruciale nella crisi di questi anni. Cosa si può fare per rendere il sistema bancario più sicuro, senza tuttavia sacrificare la sua capacità di concedere credito a famiglie e imprese? Lo spiegano in un libro due economisti, Anat Admati e Martin Hellwig.
La Banca d’Italia ha di recente imposto politiche di accantonamento più severe. Ciò deprimerà ulteriormente la già asfittica redditività bancaria. Ma renderà anche più solide le banche italiane, facilitandone l’accesso ai mercati finanziari. Dopo la crisi, cresce infatti l’avversione al rischio.
Buona parte della ricchezza degli italiani è investita in immobili. Un mercato oggi bloccato. Anche per un fattore di ordine fiscale: chi detiene immobili tramite una società , in caso di vendita, sconta una forte tassazione sulla plusvalenza realizzata. La soluzione è una legge di affrancamento.
La vicenda Cipro ha rafforzato il legame tra sistemi bancari e governi nazionali. Il rischio è quello di creare monete parallele nella stessa area monetaria. Mentre emerge con chiarezza la debolezza dell’attuale assetto istituzionale. La polarizzazione verso aree con più alta capacità fiscale.
Dal 2008 in poi la volatilità dello spread Btp-Bund è molto simile a quella della fase pre-euro. Ma prima di parlare di irrazionalità dei mercati sarebbe forse utile riflettere su quale sarebbe il costo di finanziamento del debito pubblico e privato se l’Italia uscisse dalla moneta unica.
Dal 2009 l’incidenza delle sofferenze bancarie, più o meno gravi, è continuamente aumentata. E le banche hanno reagito riducendo l’erogazione di finanziamenti. Come uscirne? Da valutare con cautela l’idea di una bad bank, sull’esempio spagnolo. Andrebbe ripreso il discorso sulle cartolarizzazioni.
Tutto il sistema delle retribuzioni all’interno del sistema finanziario ha avallato strategie di crescita a ogni costo, senza andare troppo per il sottile sulla liceità dell’affare o sul grado effettivo di rischio. Il tetto alla remunerazione dei manager non basta per evitare futuri disastri.