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Categoria: Banche e finanza Pagina 54 di 114

IL RATING NELLA REGOLAMENTAZIONE

Nell’articolo sulle agenzie di rating ho richiamato i problemi derivanti dalla rilevanza che i rating assumono nella regolamentazione. Si parla, infatti di outsorcing regolamentare per indicare la presenza di riferimenti alle classificazioni delle agenzie nelle stesse prescrizioni di vigilanza e nelle regole che si danno gli investitori. È evidente che questo fenomeno, se da un lato moltiplica alla potenza gli effetti di un miglioramento o di un peggioramento dei giudizi, dall’altro costituisce un elemento frenante nella capacità degli operatori di effettuare proprie e autonome valutazioni sui rapporti creditizi e nelle diverse tipologie d’investimento.
In questa scheda riporto due semplici esempi che danno la dimensione del fenomeno ed anche la direzione che occorrerà prendere per seguire le indicazioni del Financial stabilty board alle quali mi riferivo.
Secondo le disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, queste come è noto, possono avvalersi, al fine di ponderare i rischi, o di metodi elaborati al proprio interno, o di metodologie esterne utilizzando la valutazione del merito  di credito delle Ecai e cioè le Esternal credit assesment institution,  agenzie di valutazione riconosciute dalla Banca d’Italia. Secondo le disposizioni di vigilanza ”una banca che decide di utilizzare le valutazioni di merito del credito per una certa classe di esposizione deve utilizzarle per tutte le esposizioni appartenenti a tale classe”. Naturalmente sono spesso le banche di più piccole dimensioni a utilizzare i metodi esterni, meno costosi rispetto alla costruzione di un modello interno, ma in questo modo proprio gli operatori più piccoli finiscono con il subire in misura maggiore le conseguenze dei mutamenti dei giudizi delle agenzie. E occorre considerare che le disposizioni di vigilanza trovano origine in un periodo dove nessuno poteva immaginare una così forte volatilità dei mercati.
Un altro esempio dei pericoli del rating, per un settore completamente diverso ma che ci dice della “trasversalità” del problema, riguarda i fondi pensione. Sul sito della Covip è stata appena pubblicata una comunicazione in risposta alla richiesta di alcuni fondi che nei propri regolamenti prevedono una politica d’investimento con un livello minimo di rating, e che adesso -visto quello che sta succedendo sui titoli pubblici- devono affrontare il dilemma o di violare i regolamenti o di procedere a massicce dismissioni. E l’autorità di vigilanza, con un linguaggio diverso, giunge sostanzialmente alle mie stesse conclusioni, richiamando l’opportunità di “rivedere i vincoli contrattuali per evitare che un impiego automatico del rating possa comportare l’esigenza di un immediato smobilizzo o impedire l’acquisto di titoli ove intervenga il declassamento dell’emittente”. In altri termini anche per la Covip bisogna cominciare a pensare con la propria testa.

L’OPA è fuggita

Il progetto di fusione tra Unipol, Premafin e  Fonsai, oggetto di un recente intervento sulla Voce.info, è stato da poco modificato su sollecitazione del presidente della Consob. Pur non lanciando l’Opa su Fonsai, Unipol non comprerà più a caro prezzo Premafin (il che avrebbe consentito alla famiglia Ligresti di incassare una sostanziosa buonuscita), ma si limiterà ad apportare a quest’ultima 300 milioni di mezzi freschi attraverso un aumento di capitale riservato, diventando il nuovo socio di controllo.
Il vecchio progetto presentava ben due aspetti scandalosi: premiava di fatto la famiglia Ligresti colpevole del dissesto con un premio di maggioranza pari a circa sette volte il valore di mercato e prevedeva l’Opa solo per Premafin (la controllante) ma non per le società assicurative controllate.
Non ci sono più vincitori, ma soltanto vinti: nessuno incassa il premio per il controllo e i fondi freschi finiscono tutti alla bisognosa Fondiaria Sai.
Tutto bene? Quasi. Innanzitutto, non dimentichiamo che anche questo nuovo piano è stato concepito insieme ai vecchi soci di controllo e ai loro creditori; è possibile dunque che nei dettagli dell’operazione – ancora ignoti – si nasconda un premio di consolazione, magari sostanzioso, per chi oggi sembra aver perso un giro. Del resto, la scelta di investire in Premafin anziché versare i soldi direttamente nelle malandate casse di Fonsai si spiega solo con la volontà di rendere un po’meno traballanti i debiti della prima verso alcune grandi banche. E in ogni caso, rende difficile parlare di salvataggio tout court della compagnia assicurativa, rendendo quanto meno incerta l’esenzione dall’Opa a cascata. Inoltre, la frettolosa operazione di cosmesi ha travolto anche gli azionisti di Premafin, che fino a ieri sembravano gli unici premiati dall’Opa e che lunedì hanno visto le quotazioni crollare del 30 per cento.
Infine, sorprende l’attivismo di una Consob che non si limita a fissare poche buone regole e a farle rispettare, ma consiglia, sussurra, persuade; magari preservando, come ai bei tempi andati delle Opa bancarie, l’italianità dei campioni nazionali. Tanto più che stavolta, complici la crisi finanziaria e le tensioni dell’Eurozona, nessun lanzichenecco aveva varcato l’arco alpino brandendo un’’Opa ostile. Le autorità di vigilanza devono essere arbitri imparziali e limitarsi a fischiare, se del caso, il rigore: suggerire all’’attaccante da che parte tirare non rientra precisamente nei loro compiti.

UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA PER IL RATING

 Da quattro anni, ogni volta che le agenzie di rating emettono i loro verdetti si scatena il putiferio, con il solito corredo di accuse su complotti politici e conflitti di interessi. Ma la disciplina delle agenzie di rating negli ultimi tempi ha fatto importanti passi avanti, che non devono essere sottovalutati. Quello che ancora manca è un processo che attenui il rilievo del rating nelle regole di vigilanza. E che soprattutto valorizzi l’autonomia di giudizio e il ricorso a una pluralità di fonti informative da parte di banche e investitori.

QUESTO SALVATAGGIO PREMIA I CATTIVI GESTORI

Il salvataggio di Fondiaria-Sai proposto da Unipol è un ottimo esempio di schema finanziario rivolto ad acquistare una società quotata senza alcun vantaggio per i piccoli investitori. La legge prevede l’obbligo di Opa a cascata quando si acquista la controllante di una società quotata. Ma l’operazione potrebbe essere ritenuta lecita perché diretta al salvataggio di una società in crisi. Il gruppo di controllo che ha condotto Fonsai sull’orlo del baratro potrebbe così deciderne il destino. Tutto in nome della stabilità. E benché non manchi l’interesse di grandi compagnie straniere.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

1.    Fra i numerosi difetti dello scudo italiano c’era anche quello di consentire la regolarizzazione lasciando le attività all’estero. Questa alternativa aveva certamente senso per gli immobili ma non per i beni mobili e di sicuro non per le attività finanziarie. Tremonti si è spesso vantato dell’arricchimento dell’economia italiana realizzato genericamente con le attività scudate confondendo le acque fra ciò che è effettivamente rientrato e ciò che è stato solo regolarizzato rimanendo, però, all’estero. Ed alla domanda: quanto è effettivamente rientrato? ha sempre risposto in modo volutamente impreciso. Lo scudo previsto per Germania e Regno Unito ha lo stesso difetto ma con un’aliquota (34%) decisamente più sensata ancorchè intrisa di perdonismo a pagamento [Arnaldo Mauri. Massimo Vannucci]. Le aliquote del 25% (Germania) e 40/48% (Regno Unito) si applicano – in  aggiunta al citato 34% – sui rendimenti (futuri) dei capitali scudati (cui altrimenti si sarebbe dovuta applicare l’euroritenuta del 35%) [Francesco Donà].

2.    Che la Svizzera sia disponibile a concedere all’Italia le stesse condizioni offerte a Germania e Regno Unito è, addirittura, più che probabile. I (presumibili) capitali italiani in Svizzera superano quelli tedeschi ed inglesi e le banche svizzere hanno, palesemente, come obiettivo quello di preservarne per loro stesse la gestione anche negli anni a venire. Obiettivo ottenibile attraverso questa formula. [Arnaldo Mauri]

3.    Le informazioni ottenibili dalla Svizzera attraverso gli accordi di scambio di informazioni sono attivabili mediante richiesta caso per caso dell’Amministrazione Finanziaria procedente al fisco svizzero. Quindi, al momento, niente lista con nomi. [Massimo Vannucci]

4.    Che il protrarsi infruttuoso della discussione provochi un po’ di panico è vero. Che spinga altresì a “portare i soldi in Svizzera” è, purtroppo, una constatazione – ancorché irrazionale – di questi giorni.[Michelangelo Casiraghi]

Tommaso  Di Tanno

CHE SIGNIFICA DECLASSARE IL FONDO SALVA-STATI

Il fondo Salva-Stati (Efsf, European Financial Stability Facility) è un’ancora di salvataggio creato da 17 Stati Membri dell’Unione Europea con l’obiettivo primario di salvaguardare la stabilità finanziaria in Europa e fornire assistenza agli Stati ad alto debito. E’ nato per concedere credito esclusivamente agli Stati Membri e non ha fondi propri, bensì 780 miliardi di garanzia. Forte delle solide garanzie, l’istituto emette titoli di debito che vengono acquistati da enti di tutto il mondo, dalle banche ai fondi pensione, dai fondi sovrani alle agenzie assicurative. Col denaro raccolto, l’Efsf ricompra i titoli di debito degli Stati in difficoltà. In pratica l’Efsf nasce per ridurre il rischio che un’asta di titoli di Stato fallisca, tramite operazioni di acquisto sia sul mercato primario (le aste) che su quello secondario (negoziando titoli già in circolazione), riempiendo il vuoto lasciato dalla Bce, che interviene esclusivamente sul mercato secondario.
 
COSA IMPLICA IL DECLASSAMENTO
 
Il  downgrading dei titoli del debito a lungo termine dell’Efsf è stato la diretta conseguenza dell’abbassamento delle valutazioni su molti altri titoli di Stato europei, tra cui quelli di Francia e Austria, Stati molto importanti per le garanzie finanziarie al Fondo.
L’Efsf gode ancora del rating massimo di S&P sulle emissioni a breve, e vanta i voti più alti sulle emissioni a lungo da parte delle altre due agenzie di rating, Moody’s e Fitch. La decisione era attesa: S&P aveva già anticipato il downgrading il 5 dicembre, segnalando come “negativo” l’outlook sulle emissioni a lungo termine nel proprio Creditwatch.
Il deterioramento del rating porta con sé un aumento dei costi di finanziamento, che implica spese maggiori per aiutare gli Stati in difficoltà. Per questo si prevede che il supporto dato dall’Efsf ai paesi più deboli non potrà che ridursi. Saranno proprio i paesi in difficoltà a pagarne le conseguenze.
La situazione potrebbe cambiare velocemente, se ci fosse la volontà politica. S&P ha tenuto il proprio outlook sui fondi dell’Efsf su “developing”, che significa che potrebbero migliorare o peggiorare a breve. In che modo potrebbero migliorare? Aumentando le garanzie alla base dell’Efsf. Probabilmente sarebbe meglio anticipare l’istituzione, per ora programmata a luglio, dello European Stability Mechanism (Esm): quest’ente è destinato a sostituire l’Efsf in maniera definitiva ed il suo momento potrebbe essere arrivato prima del previsto.

LA RISPOSTA AL COMMENTO

Tommaso di Tanno riassume bene le mie obiezioni (vedi “Così la svizzera mantiene il segreto“) all’ipotesi di un accordo con la Svizzera, e in buona parte le condivide (vedi “Il merito di un accordo“). È uno “scudo fiscale” ma – dice Tommaso – il suo prezzo è ben più alto (fino al 34%) di quello degli scudi di Tremonti (minimo 2,5%, massimo 7%, più le recenti imposte di bollo). Quindi l’Italia incasserebbe di più.
Ma la Svizzera accetterebbe di prelevare per nostro conto il 34%, ben sapendo che anche recentemente ci siamo accontentati di molto meno? Io penso di no. Per una legge basta la maggioranza parlamentare, per un accordo internazionale bisogna essere favorevoli in due. Se pure si arrivasse a concordare il 34% con la Svizzera, i contribuenti infedeli accetteranno di pagare così tanto? Io penso di no: chi non ha voluto fare lo scudo al 2,5%, al 5% o al 7% perché mai dovrebbe accettare di farlo pagando il 34%?
Tommaso dice che, forse, le banche svizzere non faranno le furbe e incoraggeranno i clienti a pagare. Può darsi. Pare però che in occasione degli scudi italiani molte banche elvetiche remuneravano sottobanco i consulenti italiani che riuscivano a convincere il cliente a non far nulla.  Inoltre, il gettito dell’euroritenuta proveniente dalla Svizzera si è dimostrato ridicolmente basso perché le banche svizzere consigliavano ai propri clienti di intestare i conti ad una società off-shore, aggirando così l’obbligo fiscale. L’Unione Europea sta ancora cercando di convincere la Svizzera a chiudere questo evidente buco. Io mi fido poco non perché le banche svizzere siano malvagie ma perché in tutto il mondo business is business. D’altronde, non si sono fidate neppure Germania e Gran Bretagna, che hanno chiesto alla Svizzera un versamento minimo (di 2 e 0,5 miliardi). Noi non otterremmo nulla di più.
Ciò detto, riconosco che la possibilità di inviare 999 richieste motivate di informazioni bancarie in due anni sarebbe un risultato importante. Così come varrebbe l’una tantum che la Svizzera potrebbe graziosamente riconoscerci.
All’Italia però costerebbe l’accettazione forse irreversibile del principio dell’intangibilità – salvo eccezioni a numero chiuso – del segreto bancario svizzero. Avremo poi un altro scudo fiscale, con gettito una tantum trascurabile e un costo incalcolabile in termini di perdita di credibilità dell’azione di governo nel recupero della fedeltà dichiarativa.
Tutto sommato, rimango persuaso che un accordo così non ci conviene affatto.

I TRE GIORNI DI UNICREDIT

Nei giorni successivi all’annuncio della ricapitalizzazione, il prezzo delle azioni Unicredit è sceso vertiginosamente. Per colpa dello sconto troppo elevato riservato ai vecchi soci, si è detto. Ma un aumento di capitale con diritto di opzione non ha effetti sulla ricchezza di un azionista. Sulla caduta del titolo, invece, può aver influito la scelta di alcuni soci rilevanti di sottoscrivere solo in parte l’aumento di capitale. Perché potrebbe dar luogo a un eccesso di offerta con conseguente impatto negativo sul prezzo. Gli effetti sulla struttura proprietaria.

QUELL’ABBRACCIO MORTALE FRA FONDAZIONI E BANCHE

Le vicende di Mps e di Unicredit confermano quanto sia opportuna la separazione tra fondazioni e banche conferitarie. Le fondazioni potrebbero perseguire i loro obiettivi statutari. E migliorerebbe la governance delle banche, aprendo a soggetti che hanno come obiettivo primario la massimizzazione del loro valore. È una riforma degli assetti proprietari del nostro capitalismo utile ora, nell’immediato della crisi, e dopo, quando sarà finita. Perché renderebbe più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.

IL MERITO DI UN ACCORDO

Al di là della discussione sull’acquis comunitario, sarebbe opportuno un accordo con la Svizzera sulle attività finanziare lì nascoste da residenti in Italia, sulla falsariga di quelli conclusi da Germania e Gran Bretagna? È vero, si tratterebbe di uno scudo, ma con aliquote di gran lunga superiori rispetto a quelle applicate nel nostro recente passato. E non sarebbe tombale. La ritenuta su interessi e dividenti dei capitali regolarizzati non è europea, ma rispecchia quanto previsto dai singoli paesi. La posizione di chi non aderisce all’accordo.

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