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FINISCE UNA DEROGA E SALE IL COSTO DEL CREDITO

Nel 2012 scade la deroga che ha permesso alle banche italiane di classificare tra i crediti in default quelli non rimborsati dalle imprese da più di 180 giorni. Il nuovo regime avrà riflessi sul costo dei finanziamenti bancari alle aziende, ma nessuno ne parla. Forse perché si spera in una proroga dell’ultimo minuto. Andrebbe invece effettuata una ricognizione del fenomeno e della parte che potrebbe essere gestita attraverso ristrutturazioni del debito. E si dovrebbe provvedere alla promozione di buone pratiche per la riduzione strutturale dei ritardi nei pagamenti.

SE LA FINANZA SUPERA IL LIMITE

I mercati finanziari sono importanti per lo sviluppo economico. Ma un settore finanziario troppo grande ha conseguenze negative sulla crescita. Come dimostra il fatto che in tutti i paesi che soffrono di più le conseguenze della crisi i prestiti al settore privato oltrepassano il 110 per cento del Pil. Necessaria dunque una regolamentazione che allontani rischi simili: standard di credito più restrittivi potrebbero portare benefici in termini di stabilità e crescita economica.

UN PASSO AVANTI NELLA RIFORMA DEL SISTEMA BANCARIO

Il rapporto preliminare della commissione sul sistema bancario istituita dal governo britannico rappresenta un punto di svolta importante non solo per il Regno Unito, ma per tutta l’Unione Europea. In primo luogo, introduce una separazione tra regolamentazione per le attività retail e attività wholesale delle banche. Individua poi nelle politiche sulla concorrenza la componente essenziale della riforma del sistema bancario. In attesa che l’Europa si dia finalmente le giuste istituzioni per la vigilanza sul settore.

LA PARTITA È SOLO ALL’INIZIO

La caduta di Geronzi non significa un rinnovamento del capitalismo italiano perché i nuovi attori non hanno proposto un disegno alternativo, ma hanno semplicemente costruito nuovi intrecci che si sono avviluppati intorno a quelli vecchi. La novità invece è la sempre più attiva partecipazione dei fondi internazionali alle assemblee. Si profila dunque uno scontro duplice: da un lato quello fra protagonisti vecchi e nuovi del nostro capitalismo di relazioni e dall’altro quello fra la via italiana alla governance dei grandi gruppi e le prassi dei mercati internazionali.

 

A VOLTE RITORNANO: L’IRI

La nostalgia per il ritorno del capitalismo di Stato è oggi forte in Italia. Tanto da sfociare in un decreto che consente alla Cassa depositi e prestiti di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale. L’attuale irresistibile desiderio di italianità delle imprese porta però alla riproposizione di un’Iri tutta particolare, perché le sue risorse derivano dalla raccolta postale. Forse, bisognerebbe provare a raccontare la realtà anche dalla parte di chi acquista i prodotti e utilizza i servizi.

SE ANCHE CONSOB DIFENDE L’ITALIANITÀ

Il presidente della Consob esprime alcune preoccupazioni sulle regole che disciplinano le Opa. La prima ha a che vedere col fatto che in questo momento le aziende europee, e in particolare le italiane, hanno meno liquidità di quelle asiatiche. La seconda riguarda la soglia oltre la quale scatta l’obbligo di Opa. Se per rivitalizzare il mercato finanziario italiano, occorre renderlo più attraente, non si vede che utilità possano avere provvedimenti volti a ridurre la contendibilità delle imprese e a mantenerne l’italianità.

E ORA TOCCA AL PORTOGALLO

È arrivato il turno del Portogallo per la richiesta di aiuto all’Fmi e all’Unione Europea. Non è certo una buona notizia per la zona euro. Anche perché se Grecia, Irlanda e Portogallo non ricominceranno a crescere, prima o poi arriveranno a un parziale ripudio del debito. Servirebbe dunque un piano per ridurre al minimo i rischi di contagio dopo una simile decisione. Ma ufficialmente nessuno ne vuol sentire parlare, tantomeno Francia e Germania. Si preferisce attendere un miracolo, invece di agire prima che la situazione si deteriori.

I PRINCIPI IAS RILETTI DAL MILLEPROROGHE

Il decreto Milleproroghe si occupa, tra l’altro, dei principi contabili Ias. Ma le modifiche agli International Accounting Standars di ordine civilistico rappresentano una mezza marcia indietro rispetto al 2005, producono un bilancio Ias all’italiana e sembrano solo preparare il terreno per una completa retromarcia. La possibilità di rettificare i risultati Ias a fini tributari è una norma in bianco utilizzabile per aggiustare il reddito d’impresa alle politiche di bilancio dell’occasione. Insomma, meno chiarezza e meno certezza del diritto.

SE ATENE PIANGE, LISBONA NON RIDE

Tocca ora al Portogallo soffrire una crisi del debito sovrano che sembra inevitabilmente condurre verso un nuovo bail-out. Ma la cattiva gestione della finanza pubblica non è l’unico problema. Negli ultimi dieci anni il paese ha infatti registrato una crescita assai debole e un forte aumento del debito privato: in termini lordi è quasi quattro volte il Pil e cinque volte la dimensione del debito pubblico. Senza dimenticare i deficit delle partite correnti. Necessarie quindi riforme per recuperare competitività ed efficienza. Per ora, nessun rischio contagio.

SENZA UN’INTESA NIENTE ITALIANITÀ

Sono entrambe aziende quotate alla Borsa di Milano. Sono entrambe possibili bersagli di un’acquisizione da parte di gruppi stranieri. Ma in un caso si mobilitano il governo e una banca per dire che non deve passare lo straniero. Nell’altro caso lo straniero non solo non viene contestato, ma se ne va in giro per la capitale osannato dalla metà dei romani. Stiamo parlando di Parmalat e AS Roma ovviamente, il cui controllo potrebbe essere acquisito nelle prossime settimane rispettivamente dal gruppo francese Lactalis e da una cordata di investitori americani capitanata da Thomas R. Di Benedetto. La differenza di trattamento riservata ai due casi, anche sui media, è piuttosto curiosa. Certo, Lactalis non pubblica un bilancio da tanti anni, come ama ricordarci il Corriere della Sera. Ma non è che si sappia molto di più di Di Benedetto. Proprio ieri  il Sole 24 ore scriveva che “mancano indicazioni sulla solidità patrimoniale e finanziaria di Di Benedetto”. Aggiungendo “Tom è sconosciuto nella sua città (Boston) e negli Stati Uniti. Possibile che abbia le credenziali per comprare la 18esima squadra di calcio d’Europa per fatturato?”. La differenza pare sia un’altra: Parmalat è un’azienda “strategica” mentre la Roma no. Certo,  Parmalat è più grande di AS Roma e ha anche un indotto più significativo. E poi volete mettere l’importanza del latte con quella del calcio? Tutto chiaro, allora? Non proprio. Telecom Italia è più grande di Parmalat e le telecomunicazioni non sono certo meno “strategiche” del comparto alimentare (che, in ogni caso, nella famigerata lista dei settori strategici per la Francia non c’è). Ma Telecom è controllata da Telco, il cui azionista principale è Telefonica, azienda spagnola. Il quadro degli interventi ispirati al patriottismo economico sembra proprio un guazzabuglio senza coerenza. Ma ricordiamo che, con Telefonica, in Telco c’è una banca. La stessa che adesso difende l’italianità di Parmalat, dopo avere salvaguardato quella di Alitalia. Ecco, forse abbiamo finalmente trovato un punto d’Intesa su cosa sia veramente strategico in Italia.

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