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Categoria: Banche e finanza Pagina 67 di 114

La Borsa vuota delle piccole imprese

Oggi sono soggette a una disciplina identica a quella applicabile alle Blue Chip. Invece, le piccole e medie imprese europee quotate, le cosiddette Smile, necessitano di un regime normativo proporzionato alle loro dimensioni, che comporti l’applicazione di oneri e costi minori. E ciò non significa ridurre la tutela dei risparmiatori. Anche perché le Smile interessate dal regime agevolato sono poco meno del 7 per cento della capitalizzazione e degli scambi a livello comunitario. Non rappresentano perciò né un rischio di mercato né un rischio sistemico.

Istruzione, previdenza e abc della finanza

Il confronto internazionale suggerisce che l’alfabetizzazione finanziaria di un paese dipende dall’investimento in istruzione e dalla struttura dei mercati finanziari. L’Italia si trova in fondo alla graduatoria internazionale in materia perché investe poco in istruzione, perché il sistema previdenziale pubblico è molto esteso e perché non ha approfittato delle riforme delle pensioni degli anni Novanta per ampliare le conoscenze economiche e finanziarie dei lavoratori.

DEBITO PIÙ CARO DOPO GLI STOP TEDESCHI

E’ difficile immaginare un intervento più inappropriato e intempestivo di quello dell’autorità di vigilanza tedesca che impone il divieto di vendite allo scoperto. Il risultato finale è che le imprese del settore finanziario pagheranno più caro il loro debito. Stesso ragionamento per i titoli di stato emessi da paesi europei. La speculazione non è la causa della crisi, ma se si vuole attaccarla, meglio farlo senza discrezionalità e in modo trasparente: si tassino le vendite allo scoperto, i Cds nudi o vestiti. Almeno, il costo sarà immediatamente chiaro.

UN FONDO NON RISOLVE LE CRISI

L’idea di tassare il settore finanziario riscuote un successo crescente. Sembra un modo conveniente per accantonare le risorse per sostenere il costo della prossima crisi. Invece si crea una promessa implicita di salvataggio. Per limitare le perdite dei fallimenti bancari è meglio imporre ai supervisori di intervenire con adeguate azioni correttive non appena il capitale di una banca scende al di sotto di soglie prestabilite. E se non può essere ricapitalizzata, allora deve essere riorganizzata, direttamente dall’autorità di supervisione.

L’IMMOBILISMO CHE COSTA CARO

L’Europa si trova ad affrontare contemporaneamente tre sfide: politica fiscale, competitività e fragilità del sistema bancario. Proprio il timore che la crisi si propagasse alle banche di tutta la zona euro ha indotto l’Unione Europea e la Bce ad approvare il piano di salvataggio della Grecia, senza arrivare alla ristrutturazione del debito. Ma serve una pulizia generale che permetta di accettare anche l’eventualità di un default di debito sovrano. Metterebbe anche le basi per creare un sistema credibile di supervisione di livello europeo, sempre più indispensabile.

PAROLA D’ORDINE: STABILITÀ

Una crisi bancaria tende a diventare una crisi del debito sovrano e viceversa. Una legge che vale anche nel caso della Grecia e degli altri paesi a rischio. Per l’area euro si tratta di una sfida del tutto particolare perché ha un mercato bancario integrato, ma il debito sovrano resta nazionale. E utilizzare la Bce per sostenere i paesi in difficoltà significa solo rendere molto più grave il problema. Sempre più urgente la creazione di un Fondo europeo. I fondi messi a disposizione per il meccanismo di stabilizzazione potrebbero rappresentare il suo capitale iniziale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti per gli interventi. Difficile rispondere in dettaglio a tutti, anche perché in vari casi non c’è alcuna domanda ma solo affermazioni — a volte un po’ apodittiche. Cerco di rispondere almeno ad alcuni.
Roberto Corsini propone in modo semi-serio un’imposta sul patrimonio per ridurre drasticamente il debito. Ha ragione: insieme alla ripresa della crescita, quello è l’unico modo per ridurre l’enorme debito pubblico italiano in modo significativo. Ma occorre un grande clima di solidarietà sociale e di fiducia verso la leadership politica perché questo accada, ovvero per usare le sue parole occorre potersi fidare.
Non sono però d’accordo con lui (anche se capisco l’intento ironico delle sue parole) sul fatto che a parte questo si possa continuare a evadere le imposte e rubare come ora (e in passato): il debito pubblico ricomincerebbe a crescere inesorabilmente, vanificando gradualmente lo sforzo realizzato con l’imposta patrimoniale. Il nostro debito di oggi, a oltre il 120% del PIL, è in buona parte che la somma di tutte le imposte evase e di tutte le tangenti e ruberie degli scorsi decenni, con l’aggiunta degli interessi, naturalmente. Se non si allarga seriamente la base imponibile (combattendo l’evasione fiscale e vietando definitivamente i condoni, magari con una norma costituzionale), saremo sempre punto e daccapo con problemi di sostenibilità fiscale.
Combattere seriamente l’evasione fiscale avrebbe anche l’effetto di riequilibrare la distribuzione del reddito e della ricchezza, che come giustamente da notare Paolo Serra in questi ultimi decenni sisquilibrata a favore dei ceti più abbienti: niente di più regressivo dell’evasione fiscale e dei condoni a cui abbiamo assistito in questi decenni, soprattutto considerando che il lavoro dipendente è l’unico a non evadere le imposte. Fra l’altro, l’evasione fiscale massiccia dei ceti abbienti è uno dei motivi centrali della stessa crisi greca.
Massimiliano Claps solleva un punto molto importante: il rischio che una massiccia manovra simultanea di "rientro" fiscale in tutte le economie deboli dell’area euro possa stroncare la ripresa. E’ una preoccupazione molto giusta, e credo che sia una domanda che si stanno ponendo in tanti. In parte, l’effetto recessivo della manovra di rientro fiscale dei paesi deboli potrebbe (e dovrebbe) controbilanciata da un’espansione da parte delle economie relativamente) forti. Anche in questo sarebbe cruciale un vero coordinamento europeo delle politiche fiscali. Purtroppo la Germania non sembra intenzionato a farlo, in parte perché non sembra aver capito che deve sviluppare una leadership politica corrispondente al suo peso economico nella UE.
Un’altra lucina di speranza viene dal fatto che non sempre il consolidamento fiscale ha effetti recessivi: anzi, proprio quando segnala un netto cambiamento di regime in direzione di una maggior "rettitudine" fiscale e sostenibilità della finanza pubblica, può paradossalmente avere effetti espansivi. E’ già successo, e lo abbiamo documentato in vari studi (F. Giavazzi e M. Pagano, “Can Severe Fiscal Contractions be Expansionary?  Tales of Two Small European Countries” NBER Macroeconomics Annual, 1990, e “Non-Keynesian Effects of Fiscal Policy Changes: International Evidence and the Swedish Experience”, Swedish Economic Policy Review, Vol. 3, 1, 1996; F. Giavazzi, T. Jappelli e M. Pagano, “Searching for Non-Linear Effects of Fiscal Policy”, European Economic Review, Vol. 44, giugno 2000, e “Searching for Non-Monotonic Effects of Fiscal Policy: New Evidence”, Monetary and Economic Studies, ottobre 2005).
Antonio Aghilar indica una forte inflazione come un rimedio. Certamente un po’ di inflazione in più (se inattesa) aiuterebbe un po’ le finanze pubbliche di un paese come il nostro, e probabilmente ci sarà se la BCE inizia davvero a comprare titoli di Stato dei paesi deboli dell’area dell’euro. Ma non illudiamoci che questo possa sostituire la disciplina fiscale. Dopo un po’ i tassi di interesse si adegueranno riflettendo la maggiore inflazione. Per inciso, in risposta a Francesco De Simone: i tassi non possono che salire dal bassissimo livello attuale, sotto la spinta congiunta delle aspettative di inflazione e i dubbi sull’andamento delle finanze pubbliche… se, come scrive Franco Debenedetti, dobbiamo avere "fieri dubbi sulla possibilità che i governi adottino politiche (di rientro fiscale) e i paesi le accettino con chiarezza."
Infine, a chi propone di abbandonare la costruzione europea e di ritornare all’Europa degli Stati e staterelli, faccio osservare che attualmente quel poco che contiamo sulla scena internazionale dipende in buona misura dal fatto di essere riusciti a costruire l’Unione Europea, sia pure in modo tuttora molto imperfetto e squilibrato. E a chi si lamenta delle conseguenze della moneta unica, rispondo con le parole di uno di voi (Giampaolo): "L’euro è una stata un’opportunità per migliorare, sono trascorsi dieci anni, non è colpa della moneta se non abbiamo sfruttato i bassi tassi di interesse per ‘mettere ordine’ in casa e ora sono arrivati i momenti critici." Ora siamo costretti a mettere ordine in casa se non vogliamo che l’opportunità per migliorare scompaia definitivamente!

IL PECCATO ORIGINALE DELL’AREA EURO

Per molti anni, i paesi dell’area euro hanno preso a prestito emettendo titoli denominati nella valuta comune. Che sembrava produrre una difesa automatica dai problemi associati con il “peccato originale”, mettendo i grandi debitori al riparo dai movimenti del cambio. Non è più così. Non solo l’Europa nel suo complesso, ma anche i paesi forti si avvantaggerebbero da una ripresa di investimenti e spesa. Rimane il problema di come renderla possibile, in una situazione di logoramento fiscale diffuso dopo ventiquattro mesi di crisi e parecchie ombre sui segnali di ripresa.

REGOLE NUOVE PER LE AGENZIE DI RATING *

Il nuovo regolamento europeo sulle agenzie di rating ha molti aspetti positivi e potrebbe essere un passo importante per riconquistare la fiducia degli investitori e dei regolatori. Due punti però meritano una più attenta riflessione: il livello di trasparenza e il grado di concorrenza nel settore. A partire da un meccanismo che allarghi la concorrenza, senza però aumentare le possibilità di shopping da parte degli emittenti. Soprattutto, si dovrebbero utilizzare anche altri indicatori, capaci di misurare il rischio di liquidità e quello di mercato di un titolo.

CRISI FISCALE, CONTAGIO E FUTURO DELL’EURO

Nel maggio 2010, il nostro sito ha pubblicato questo intervento sulla crisi fiscale, il contagio tra paesi e il deprezzamento dell’euro. A distanza di un anno, purtroppo le preoccupazioni emerse nel 2010 sono divenute se possibile ancora più pressanti, e le considerazioni fatte allora restano attuali. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: potrebbe diventare uno tsunami ben peggiore di quello dei mutui subprime. Ma il modo per arginarlo c’è, rafforzando le strutture comunitarie e sovranazionali. Trasformando la crisi in un’occasione storica per l’Europa.

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