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MA IL CAPITALISMO È ANCORA VIVO

La lezione che si può trarre da questa crisi è che le banche hanno costretto i governi a correre in loro soccorso. Non c’è dunque nessuna ragione perché non ricomincino a fare i loro giochetti. Per impedirlo si possono ipotizzare tre soluzioni: ridurre la grandezza dei guppi bancari, esigere l’aumento della loro capitalizzazione, pretendere un loro “testamento da vivo”, ovvero l’indicazione di come frazionarli in tanti piccoli istituti in caso di fallimento. Saranno comunque le scelte di Regno Unito e Stati Uniti a delineare il capitalismo finanziario del futuro.

QUALCHE VOLTA RITORNANO: I BANCHIERI DI STATO

A quali esigenze risponde la Banca del Mezzogiorno? Se il problema sono le banche italiane incapaci o non interessate a valutare il merito di credito delle piccole imprese, la soluzione è nell’apertura alla concorrenza, non nella creazione di un nuovo istituto di credito. Il sospetto è che la Banca del Mezzogiorno non avrà come bussola della sua attività la redditività degli impieghi. Ma allora quali saranno i criteri con cui allocherà i fondi? Di solito, in questi casi, prevalgono i criteri politici. Un’esperienza che abbiamo già vissuto e che ci è costata cara.

UN NUOVO GIRO DI GIOSTRA PER LA PASSIVITY RULE

In meno di tre anni, la regola di passività nella disciplina dell’Opa è stata cambiata tre volte. Il governo ha infatti appena approvato un nuovo decreto legislativo che la reintroduce come norma generale. La scelta di oggi è più ragionevole di quella del 2008, quando la regola era stata abolita a seguito della crisi finanziaria e con la benedizione della Consob. Soprattutto perché si premia l’autonomia statutaria. Ma qual è il prezzo che si paga per un regolamentatore che appare ondivago e indeciso?

LE CICATRICI DELLA CRISI

Le grandi crisi finanziarie del passato hanno lasciato importanti eredità sulla struttura economica e politica dei paesi interessati. L’analisi statistica mostra che le recessioni hanno un impatto significativo sulle opinioni degli individui, specialmente se questi hanno tra i 18 e 25 anni. Per esempio, chi ha vissuto durante un periodo di crisi economica tende a credere che il caso conti più dell’impegno personale per il successo nella vita. E si aspetta perciò una maggiore redistribuzione da parte dello Stato. Gli americani diverranno dunque più “europei”?

UNA EXIT STRATEGY PER IL SISTEMA PRODUTTIVO

Gli industriali italiani e tedeschi scrivono una lettera congiunta alla Commissione Europea invocando un allentamento dei vincoli di Basilea II per un più facile accesso al credito. Ma la crisi deriva da un lungo periodo in cui il credito è stato fin troppo facile. E’ invece arrivato il momento di ripensare i fragili assetti finanziari con cui si è affrontato lo sviluppo passato. E di sfuggire, nell’interesse della stragrande maggioranza delle imprese italiane, al richiamo di sirene che vorrebbero fare del credito una variabile indipendente.

UNA DISCIPLINA UMILE*

Si continua a discutere di crisi e di economisti, anche in Francia o in Inghilterra. E qualcuno mette in dubbio l’utilità di una categoria che non ha saputo prevedere gli ultimi eventi. Sotto accusa anche la formazione, troppo concentrata sulla matematica. Ma il mestiere dell’economista non è fare previsioni. Così come sarebbe disastroso abbandonare un percorso di formazione rigoroso per sostituirlo con un disordinato miscuglio multidisciplinare. L’economia è una disciplina intellettuale che deve essere umile, che cerca di essere utile nella comprensione di un mondo reale estremamente complesso.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Che le società di public service degli enti locali siano state utilizzate per scopi non sempre coerenti con gli intenti normativi non è un mistero. I principali difetti sono almeno due: l’elusione dei vincoli alla gestione del personale ed alle connesse spese, nonchè un’incidenza impropria nel mercato.
Le recenti riforme, tuttavia, è evidente non colgano nel segno. Come troppo spesso accade, il legislatore interviene in termini generali, caricando di divieti o vincoli l’azione di tutti, invece di attivare strumenti per colpire e sanzionare comportamenti non corretti. Sarebbe stato certamente più meritocratico individuare selettivamente quali enti locali e quali società hanno eluso norme e distorto il mercato, invece di lasciare in piedi gli apparati, ma prevedendo regole e appesantimenti. Col pericolo, per altro, che chi ha eluso prima, lo farà anche dopo.
Il tanto vituperato concorso viene considerato uno strumento meritocratico. E’ un bene che sia così. Ma, attenzione: la norma estende alle società la forma e le formalità. La sostanza del concorso, già difficile da garantire negli enti, potrebbe perdersi tra le molte altre fughe in avanti che appunto caratterizzano le società.
Per i cittadini e le finanze pubbliche è fondamentale contare sulla possibilità di ottenere dalle public utilities servizi efficienti a costi di mercato, o altrimenti rivalersi anche contro gli enti locali che le controllano. In  mancanza di strumenti finalizzati a misurare efficienza dei servizi, regole che estendono adempimenti burocratici sembrano fini a se stesse.
Quanto osserva il Battini è in larga parte condivisibile e, in realtà, è in linea con quanto affermato nell’articolo. Si è voluto, infatti, sottolineare l’antinomia tra il tentativo di dare efficienza all’azione amministrativa puntando su sistemi di gestione e valutazione assimilabili a quelli conosciuti nel privato, e la contestuale burocratizzazione di quei soggetti privati, a capitale pubblico, che invece quegli schemi avrebbero dovuto già utilizzare al meglio.
La circostanza, lo si ribadisce, che dal processo di "pubblicizzazione" del lavoro nelle public utilities restino fuori le società quotate rivela come lo stesso legislatore percepisca tale pubblicizzazione un appesantimento, dal quale ha voluto salvaguardare i capitali investiti in borsa. Sicchè, le società più grandi e ricche potranno continuare ad agire in una sorta di zona che diviene franca (con possibili clientelismi ed altri effetti distorsivi di contorno).
Il legislatore, allora, dovrebbe con chiarezza scegliere quale sia la strada da seguire, perchè le commistioni e gli ibridi portano con loro il rischio di rassumere gli aspetti negativi dei modelli di base.
Ma, invece di cercare una convergenza virtuosa tra modelli gestionali o contratti collettivi, si creano continuamente ossimori: il pubblico privatizzato o il privato pubblicizzato.

UN QUANT DI RESPONSABILITÀ

Nel mondo della finanza si è da anni consolidato il ruolo dei cosiddetti quan, persone che hanno ottenuto un PhD in una materia scientifica e che prestano i loro servizi all’industria. Sono stati additati tra i responsabili della crisi per i disastrosi errori che hanno commesso. Soprattutto, però, c’è bisogno di una matematica nuova per una finanza nuova. E gli scienziati nel mondo finanziario sono chiamati a fare il loro mestiere, ottenendo così credibilità e, di conseguenza, la responsabilità dovuta nel processo di investimento.

TREMONTI BOND: UN AFFARE PER IL TESORO

La tesi secondo cui le banche dovrebbero ricorrere ai Tremonti bond per avere le risorse sufficienti a finanziare le imprese e allentare così la stretta sul credito è tutta da dimostrare. Attualmente, la stretta creditizia è meno evidente di quanto si pensi, e le banche non sembrano avere bisogno del sostegno pubblico per rafforzare il patrimonio. Perché allora il ministero insiste? Perché finanziarsi al 4 per cento, ad esempio con l’emissione di un Btp a dieci anni, e investire all’8,5 per cento in un Tremonti bond è un buon affare per il Tesoro. Lo è meno per gli azionisti delle banche.

A CHE PUNTO È LA CRISI

I nuovi dati sull’andamento dell’economia mondiale mostrano segnali di ripresa della produzione industriale, del commercio e dei mercati azionari. Ma è presto per l’ottimismo perché la crisi resta grave. Come si può vedere dal confronto tra gli indicatori di oggi e quelli del periodo della Grande Depressione. Grafici su produzione mondiale, mercato azionario, scambi globali, produzione industriale di 12 paesi.

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