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COSI’ L’ITALIA AIUTA LE BANCHE

Il piano italiano di salvataggio delle banche è molto più ampio di altri adottati in Europa, ma sembra anche più vago e con requisiti meno stringenti. Il rischio è un circolo vizioso in cui lo Stato è incentivato a rimanere nel capitale finché non ha recuperato il suo investimento mentre la banca non ha alcun interesse a chiedere la dismissione della partecipazione: gli azionisti non ne sono economicamente danneggiati e senza diritti di voto in assemblea ordinaria, lo Stato non può intervenire nella governance. Si indebolirebbe però l’autonomia decisionale dell’istituto.

QUANT’E’ LONTANA L’ARGENTINA?

Agli analisti del mercato interessa non tanto la dimensione del debito pubblico, quanto la capacità di un paese di rimborsarlo. Ora, il problema dell’Italia è per l’appunto la scarsa crescita. E la vera debolezza della politica del governo è proprio la mancanza di una strategia per superare la recessione e rimetterci su un sentiero di sviluppo sostenuto. Serve un percorso di riduzione della pressione fiscale e della spesa, accompagnato da un piano di investimenti pubblici. L’attuazione può essere graduale, ma le misure devono essere certe, permanenti e ben strutturate.

E ADESSO IL DEBITO COSTA MENO

La crisi finanziaria potrebbe avere anche un effetto collaterale positivo: la riduzione del costo del debito per lo Stato. Da una parte c’è infatti la diminuzione dei tassi ufficiali decisa dalla Bce, che riduce la spesa per interessi. Dall’altro, la fuga dall’investimento in Borsa, che si traduce in un aumento di domanda per gli strumenti finanziari più sicuri, anche a costo di doversi accontentare di bassi rendimenti. Una prima stima prudenziale indica in quasi 4 miliardi di euro il risparmio in un anno sul servizio del debito. Risorse utili per iniziative di sostegno all’economia.

DA LEHMAN A CITIGROUP: TRE DOMANDE A MARCO ONADO

Anche Citigoroup è stata salvata, ed è l’ultima di una lunga serie. Ma è possibile proseguire all’infinito con questi piani di salvataggio?

“Non è possibile che venga annunciata una crisi dopo l’altra con questa politica del carciofo e che non si passa trovare un piano complessivo come doveva essere all’inizio il piano Paulson. Qui c’è in atto un fallimento delle autorità di regolazione soprattutto americana ma anche dello stesso governo che non riesce più a padroneggiare la situazione: in questo momento di transizione da una situazione all’altra i problemi si aggravano ma qui in ballo l’economia mondiale.”

 Perché il fallimento di Lehman Brothers ha aggravato la crisi?

“Perché ha istillato nel mercato il dubbio e poi il panico. Il dubbio che la qualità degli asset sia inferiore a quella effettiva e il panico che il prossimo può creare una crisi di carattere sistemico come in effetti sta creando. Con il senno di poi, far fallire Lehman è stato un errore tragico che l’intero sistema finanziario sta pagando. E per voler dare un esempio si è compromessa la stabilità mondiale. E’ evidente che il mondo dopo la metà di settembre è cambiato e l’evento che l’ha fatto  cambiare è il fallimento di Lehman Brothers.”

Ritiene sia tutt’ora valida l’affermazione del ministro Tremonti, secondo il quale l’Italia non ha bisogno di un piano di salvataggio?

Non ero d’accordo quando l’ha detto la prima volta  e tanto meno sono d’accordo adesso che si è arrivati al salvataggio di Citigroup o dopo il piano Paulson. Tutti gli altri paesi hanno varato dei sostegni alle loro banche. E’ tempo che l’Italia si adegui.”

IL RITORNO A COLBERT

Il recente articolo di Salvatore Rossi ha sollevato l’importante questione: chi ha fallito, lo stato o il mercato?Chi è stato a causare la crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando? Per alcuni osservatori la risposta è ovvia. Il fallimento è avvenuto nel mercato. Siccome molti esponenti politici di alto rango condividono questo punto di vista, ci troviamo di fronte alla possibilità di un ritorno a Colbert ed alle nazionalizzazioni delle imprese, ai dazi doganali, alle banche di sviluppo con crediti agevolati, ai sussidi alle imprese, e così via. Tanto, se il mercato non funziona, perché non lo sostituiamo con le decisioni dei politici che non farebbero gli errori del mercato e che potrebbero introdurre più etica nelle relazioni economiche? Ciò vorrebbe dire abbandonare le lezioni che abbiamo appreso da tanti esperimenti falliti nel secolo scorso.

Come sosteneva Rossi nel suo articolo, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il mercato ha fallito perché lo stato o meglio quelli che lo rappresentano non hanno fatto quello che era loro responsabilità fare. Cosa avrebbero dovuto fare? I lettori mi scuseranno se per rispondere a quella domanda riferirò ad alcuni miei articoli scritti anni prima della crisi che stiamo attraversando. Come esponente senza apologie del pensiero liberale – che crede che il mercato libero sia lo strumento più efficiente per migliorare il tenore di vita dei popoli (dando allo stesso tempo maggiore libertà) – non ho mai creduto al fondamentalismo di mercato, ossia all’idea o alla religione che il mercato ha sempre ragione. Questo è il pensiero di una setta religiosa e non di molti economisti liberali di cui Einaudi era l’esponente più importante in Italia.

Il Cato Journal, uno dei più autorevoli rappresentanti del pensiero liberale attuale, nel 2005 (autunno) mi fece l’onore di pubblicare un mio articolo su quella che dovrebbe essere la funzione economica dello stato.A pagina 631 l’articolo riportava che:

“Nei mercati finanziari….c’è bisogno che il governo eserciti una funzione di vigilanza e di regolamentazione. Questa funzione non si può e non si dovrebbe lasciare al settore privato….Dovrebbe essere una delle attivita’ fondamentali dello stato.” In una “Special Invited Lecture” all’Università Cattolica di Milano (14 giugno 2005), pubblicata dalla Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze (fascicolo 3-2005) avevo ripetuto che “In una economia di mercato la funzione più essenziale o più fondamentale dello Stato dovrebbe essere quella di far funzionare il mercato nel modo più efficiente possibile. Conseguentemente una funzione regolatoria efficiente dello stato, verso il funzionamento dell’economia, dovrebbe essere considerate assolutamente fondamentale”.
Quest’ultima frase era addirittura in corsivo.

E’ ovvio da questi riferimenti, e potrei darn altri, che far parte del pensiero liberale non vuol dire essere contro le regole. Alcuni osservatori confondono i “fondamentalisti di mercato” con i liberisti che credono in uno stato efficiente ma ridimensionato insieme ad un mercato con regole precise imposte da politici intelligenti. Sicuramente Luigi Einaudi non era un fondamentalista di mercato. Speriamo che ci sIano ancora politici intelligenti capaci di capire la loro funzione in una economia di mercato.

UNA BOLLA FINANZIARIA NEGATIVA

Per rifondare il sistema finanziario si dovrà riconsiderare in modo congiunto e coordinato il sistema di regolamentazione, il ruolo delle agenzie di rating e la scelta della struttura monetaria da adottare. La dichiarazione finale del G-20 suggerisce che le regole internazionali devono assicurare la possibilità di adeguarsi rapidamente all’evoluzione e all’innovazione dei mercati e dei prodotti finanziari.

PAESI CHE SALVANO LE BANCHE

Continua l’analisi degli interventi dei governi europei a sostegno dell’economia. E’ la volta dei piani di salvataggio delle banche predisposti da Svezia, Danimarca, Portogallo, Grecia e Olanda. Tutti in linea con le indicazioni Ecofin, ma anche con qualche novità. All’appello manca l’Italia: ai primi decreti, tuttora privi delle norme di attuazione, non sono ancora seguite nuove misure, peraltro più volte annunciate.

DOVE VANNO I PREZZI DELLE CASE

I prezzi delle case potrebbero scendere anche in Italia. Non sarebbe la prima volta, ma in passato con un’inflazione elevata, la flessione dei prezzi reali avveniva con prezzi nominali relativamente stabili. La diminuzione potrebbe essere molto rapida, soprattutto se la minore disponibilità di credito costringerà le imprese a liquidare rapidamente gli immobili in costruzione per far fronte a esigenze di finanziamento dell’attività. E neanche i risparmiatori spaventati dalla incertezze della finanza sembrano oggi rivolgersi all’immobiliare.

LA CRISI, IL MERCATO E IL PENSIERO LIBERALE *

Il ripensamento critico della finanza innescato dalla crisi finanziaria coinvolge la stessa nozione di economia di mercato. Ma chi ha fallito, lo Stato o il mercato? Paradossalmente lo Stato, che non ha saputo dare regole esaustive e supervisori attenti. Si è instaurata una religione liberistica che vede nell’intervento pubblico sempre e comunque una indebita compressione della libertà d’impresa. Anticipazione di un articolo più esteso che la rivista Il Mulino pubblicherà nel numero in uscita a dicembre.

L’INDICE PUNTA ALLA RECESSIONE

La crisi finanziaria mondiale in corso è la più grave dal dopoguerra: è penetrata nel profondo dell’intero sistema finanziario e sta seriamente condizionando il settore bancario. I suoi effetti sull’economia reale si manifestano in modo sempre più chiaro. €-coin, un indicatore della crescita di fondo dell’area euro, ha indicato un rallentamento dell’economia dell’area sin dall’inizio del 2007, inglobando il peggioramento della tendenza dall’agosto dello stesso anno. E ha ben rappresentato il brusco deterioramento del quadro congiunturale a partire dall’estate 2008.

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