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SOCIETA’ PRIVATIZZATE: UN CASTELLO INESPUGNABILE

Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale in dicembre, a più di un mese di distanza dall’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, il decreto legislativo che recepisce la direttiva europea sull’Opa. La legge italiana non avrà una rilevanza significativa sulle questioni più controverse, ossia le misure difensive e l’Opa obbligatoria. La riforma, al contrario, ha un enorme impatto sulle società privatizzate e su quelle controllate dallo Stato nelle quali, in pratica, il controllo pubblico viene blindato.

E SULLA BANCA D’ITALIA LA FINANZIARIA PASTICCIA

Nel nobile intento di far vedere che sulla riduzione dei costi e sul contenimento delle retribuzioni nella pubblica amministrazione, non si praticano sconti a nessuno, nella Finanziaria è spuntato dal nulla un nuovo comma che disciplina il finanziamento della Banca d’Italia. Ma la disposizione è in contrasto con le norme comunitarie che prevedono particolari garanzie a tutela della sua indipendenza organizzativa e finanziaria. E corre il rischio di essere un ostacolo che si aggiunge ai tanti che già lastricano la strada della riforma delle Autorità indipendenti.

SE IL FONDO E’ SOVRANO

I fondi sovrani rappresentano ormai un’importante realtà nei mercati finanziari mondiali. La loro opacità può divenire fattore di instabilità e ridurre le capacità di monitoraggio delle autorità pubbliche. Devono essere disciplinati, dunque. Ma ci vogliono istituzioni in grado di applicare regole uniformi e valide per tutti. Come un’autorità di controllo europea, in grado di garantire la vigilanza sul rispetto di norme condivise nell’attività dei fondi e la verifica indipendente sulla effettiva esistenza di condizioni di reciprocità.

E SE LA CRISI FOSSE SOLO AGLI INIZI?

La crisi di fiducia verso il sistema bancario rischia di trasmettersi ad altri settori dell’economia e portare alla più grave recessione americana degli ultimi decenni. La vicenda dei mutui subprime, seppure di dimensioni contenute, ha mostrato tutte le debolezze dell’enorme piramide di carta costruita con gli asset-backed commercial paper. Un meccanismo che ha permesso alle banche internazionali di concedere una grande quantità di crediti facendosi finanziare dal mercato senza utilizzare il capitale di vigilanza e senza registrare alcunché nei bilanci.

I RISCHI DELLA MIFID

Le novità introdotte dalla direttiva Mifid 2 rappresentano un passaggio epocale, di cui l’opinione pubblica non sembra avere una percezione adeguata. Con qualche rischio perché resta irrisolta la questione della migliore esecuzione dell’ordine di acquisto o vendita e della trasparenza nei nuovi mercati internalizzati. Le informazioni su prezzi e volumi dei titoli scambiati vanno concentrate in un organismo istituzionale indipendente e facilmente accessibile a tutti gli investitori. Altrimenti si darà l’impressione di una giungla degli scambi.

CHI SI RIVEDE: LE AZIONI DI RISPARMIO!

Le azioni sviluppo proposte da Assolombarda e Borsa italiana sarebbero in grado di perseguire due obiettivi considerati fra loro contrapposti: favorire la crescita delle imprese e garantire la continuità imprenditoriale. In realtà ricordano molto da vicino le azioni di risparmio, la cui esperienza non è stata particolarmente felice. E anche il nuovo strumento ha evidenti limiti che accrescono invece di risolvere i conflitti. Basterebbe limitare il valore del controllo, attraverso maggiori tutele delle minoranze e soprattutto l’applicazione della legge.

LE BANCHE ITALIANE SI SCOPRONO SOLIDE

Dopo una fase di riassorbimento delle turbolenze estive, sui mercati finanziari internazionali si registra una nuova ondata di sfiducia, prontamente segnalata da forti tensioni negli scambi interbancari e un rialzo del premio di rischio. Tuttavia, le banche italiane, grandi e piccole, sembrano aver affrontato in maniera più che soddisfacente la crisi di liquidità. In un contesto di estrema incertezza, gli istituti esteri hanno dimostrato un alto livello di fiducia nella solidità delle istituzioni creditizie del nostro paese.

BANCHIERI SOTTO ACCUSA

La recente lunga fase di turbolenza finanziaria ha messo in evidenza i fallimenti nella conduzione della politica monetaria, nei metodi di gestione delle linee di credito di ultima istanza delle banche centrali e nel sistema di regolazione dei mercati finanziari. I rimedi ci sono, ma non sono semplici da applicare. Si dovrebbero sanzionare, oltre alle banche, i banchieri che, pur non colpevoli di atti illegali, abbiano prodotto gravi danni al sistema finanziario e ai risparmiatori. Con la loro esclusione per lunghi periodi, magari per sempre, dalla comunità finanziaria. Un commento di Guido Tabellini all’articolo.

NON E’ TUTTA COLPA DELLA FED

Concordo in pieno sulle critiche che Stefano Micossi rivolge alla vigilanza bancaria e al fatto di non aver fermato i mutui irresponsabili già a partire dal 2005. Dissento, però, su altri punti.

La politica monetaria della Fed, il dollaro e l’inflazione

È possibile che nel 2002-2003 la Fed abbia tenuto i tassi bassi più di quanto suggerito dalla regola di Taylor. Ma dobbiamo ricordare che all’epoca era diffuso il timore di deflazione: ex-ante quello era il rischio che faceva più paura. Quanto al 2004-2006, quando i tassi a breve hanno ricominciato a risalire, l’anomalia è stata nei tassi a lungo termine, che sono rimasti stranamente bassi e nessuno sapeva spiegarsi bene il perché. Così non hanno trasmesso la graduale inversione della politica monetaria al resto dell’economia.
Se in quel periodo i tassi reali a breve fossero negativi o meno, dipende da quale misura di inflazione si utilizza: ad esempio, la core inflation è stata molto più bassa della headline inflation.
Infine, mi sembra semplicistico attribuire alla Fed l’attuale debolezza del dollaro. E l’andamento delle commodities dipende dalla Cina molto più che dalla Fed.

Il controllo della liquidità

Concordo pienamente con le critiche alla Banca d’Inghilterra, e penso anch’io che gli interventi coordinati avrebbero dovuti essere mesi in atto prima.
Ma è ancora troppo presto per dire che le tensioni sono rientrate. Per ora è sceso il tasso interbancario sulle scadenze su cui la Bce ha immesso 350 miliardi. Tuttavia, non è affatto detto che quella liquidità abbia raggiunto gli intermediari non-bancari che ne hanno bisogno. E restano i timori di insolvenza. Spero di sbagliarmi, ma non credo che basti aprire i rubinetti della liquidità per porre fine alla crisi.
Quanto ai galloni della Bce, il suo comportamento recente ha sorpreso le tesorerie di alcune banche, quelle che si erano procurate tempestivamente liquidità quando era più cara, e che ora dovranno restituirla a prezzi più bassi. Anche la gestione della liquidità deve basarsi su una politica coerente e in linea con le aspettative, e in questo la Bce non è stata esemplare.

BCE: CREDIT CRUNCH CHI?

Cresce il differenziale fra tassi ufficiali Bce e tassi Euribor, con un notevole impatto sulle famiglie con mutui a tasso variabile. Ma il fenomeno non è dovuto a una crisi di liquidità, è imputabile a un aumento significativo dei premi per il rischio dopo le turbolenze finanziarie dell’estate. Finora la Bce non ha identificato la natura del problema che richiede una politica monetaria più espansiva. Il pericolo è la completa illiquidità di interi settori di mercato, fino al manifestarsi di problemi di rifinanziamento del debito per alcuni paesi dell’area euro.

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