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MA L’ENI E’ DAVVERO UNA SOCIETA’ PRIVATA?

Il Tesoro ha varato una legge tributaria ritagliata su misura per l’Eni: un’addizionale del 4 per cento all’imposta sul reddito delle società posta a carico delle imprese petrolifere quotate, con capitalizzazione in Borsa superiore a 20 miliardi di euro. Per trovare i soldi necessari a pagare l’accordo Italia-Libia, un’azienda ormai privatizzata viene trattata come fosse pubblica. A rimetterci sono in primo luogo i piccoli azionisti. Soprattutto, non sembra questo il momento adatto per incrinare la fiducia dei risparmiatori verso i titoli pubblici.

PREZZI E SALARI AL TEMPO DELLA CRISI

I salari nel 2008 sono aumentati di un punto e mezzo più dei prezzi. Un effetto temporaneo, ma non solo. Un problema che potrebbe diventare più drammatico nei prossimi mesi, con il rischio di un peggioramento delle relazioni industriali. Se il governo ha risorse fiscali aggiuntive, è qui che bisognerebbe metterle: per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie, senza pregiudicare la competitività delle imprese.

UNA GHEDDAFI TAX PER L’ENI

Il disegno di legge di Ratifica del trattato con la Libia, approvato dalla Camera, prevede l’impegno dell’Italia a finanziare la realizzazione in Libia di progetti infrastrutturali di base per 5 miliardi di dollari: 250 milioni di dollari (180 milioni di euro) all’anno per venti anni. Tutti questi soldi verranno raccolti con un’addizionale all’Ires… sull’Eni. Ovviamente il testo di legge non si esprime esattamente in questi termini: secondo l’art. 3, questa addizionale si applica nei confronti di tutte le società e gli enti commerciali residenti che rispondono a un insieme di requisiti che di fatto solo l’Eni soddisfa. E in effetti, per fare i calcoli del gettito atteso dall’addizionale, la relazione tecnica fa riferimento a dati di bilancio coerenti con quelli… dell’Eni. Per la terza volta nel giro di pochi mesi, l’utile dell’Eni viene quindi in aiuto alle finanze dello Stato: con la Robin tax, con il finanziamento “volontario” di 200 milioni per la social card (su un totale di 450 milioni), con questa nuova Gheddafi tax  di durata ventennale. Cosa può giustificare un ricorso così disinvolto a norme fiscali ad personam? Forse la volontà di portare via all’Eni una parte della sua rendita da monopolista. Ma l’estrazione della rendita del monopolista dovrebbe avvenire con la regolamentazione, e andare a beneficio degli utenti, garantendo loro prezzi più bassi. Obiettivo che non solo non è stato ancora raggiunto ma che, evidentemente, non si intende perseguire neppure nei prossimi vent’anni. Della rendita di questo monopolista lo Stato già gode, in quanto azionista: l’effetto della Gheddafi tax, come della Robin tax, sarà quindi, più modestamente, quello di evitare che essa si traduca in dividendi anche per gli azionisti privati, perché l’azionista pubblico, a cui ne spetterebbero solo il 37,7 se li porta via prima che vengano distribuiti approfittando del suo… power to tax.

GEMELLI DIVERSI: MOTORIZZAZIONE CIVILE E ACI

Motorizzazione civile e Aci producono due documenti: il libretto di circolazione e il certificato di proprietà del veicolo. Entrambi sono realizzati elettronicamente attingendo dati dall’Archivio nazionale veicoli il primo e dal Pubblico registro automobilistico il secondo. Ma il Pra è un duplicato dell’Anv e per tenere allineati i due database si investono, sprecandole, risorse. In altri paesi basta il solo libretto per tutte e due le funzioni. Siamo sicuri che in questo caso non ci siano margini per razionalizzare e ridurre la nostra spesa pubblica?

SE NON SI FA PIU’ CREDITO ALL’INNOVAZIONE

Il credito di imposta riconosciuto alle imprese per i costi sostenuti in attività di ricerca e sviluppo è uno strumento agile e efficace. Il decreto anticrisi introduce un meccanismo a prenotazione e altri limiti alla possibilità di fruizione che riducono il volume dell’intervento, eliminano l’automaticità dell’accesso e cancellano la sicurezza della disponibilità in tempi certi delle risorse. Eppure è vitale che la crisi economica non blocchi la capacità di innovazione, rendendo le aziende italiane ancora più deboli di fronte alla competizione internazionale.

LA POLITICA FISCALE AI TEMPI DELLA RECESSIONE

In una recessione le espansioni fiscali sono più efficaci se riducono le imposte sul lavoro, si accompagnano a diminuzioni di spesa credibili e sono coordinate a livello internazionale. Il pacchetto fiscale del governo italiano soddisfa questi principi? La risposta è semplice: no. Ed è molto probabile che anche i pochi benefici espansivi di breve periodo dei provvedimenti siano riassorbiti velocemente da un aumento dello spread sui titoli del debito pubblico. Un paese con uno stock di debito come il nostro non può permettersi una finanza pubblica improvvisata.

FEDERALISMO E CONCORRENZA FISCALE

La proposta di introdurre forme di fiscalità di vantaggio a favore delle Regioni meridionali gioca un ruolo rilevante nel disegno di legge Calderoli sul federalismo fiscale. Ma l’Unione Europea accetta simili ipotesi solo a condizione che non ci sia compensazione delle perdite di gettito da parte del governo centrale. E’ dunque possibile immaginare uno scenario in cui le Regioni del Sud decidano di abbassare le aliquote dei tributi loro assegnati con l’obiettivo di attrarre investimenti dall’esterno. Si tratterebbe però di concorrenza fiscale.

LA REPLICA ALL’UFFICIO STAMPA DELLA REGIONE SICILIA

La puntualizzazione della Regione Sicilia puntualizza ben poco. I confronti sulla spesa statale non sono molto sensati, perché ciò che è funzione statale in una Regione a statuto ordinario è spesso funzione regionale in una Regione a statuto speciale, a seconda di ciò che stabiliscono i vari statuti di autonomia. C’è dunque sempre tendenzialmente meno spesa statale nelle Regioni a statuto speciale (tendenzialmente zero per esempio in Trentino o Val d’Aosta), anche se queste Regioni comunque ottengono ingenti finanziamenti dallo Stato (sotto forma di trasferimenti o compartecipazioni al gettito di tributi erariali). Il nostro dato sui trasferimenti è preso da elaborazioni ISSiRFA sui bilanci regionali del 2006 (la tabella relativa è acclusa qui sotto), che mostrano appunto come la Sicilia ottenga il 20% dei trasferimenti complessivi alle Regioni italiane, oltre ché il 12,5% del gettito dei tributi erariali totali partecipati alle Regioni. Sulle accise sugli oli combustibili, invece, è vero che le Regioni ordinarie hanno a disposizione una compartecipazione sul gettito dell’accisa riscossa nei propri territori, le altre Regioni speciali ne prendono una parte più o meno elevata sulla base dei propri statuti di autonomia e la Sicilia invece non riceve nulla. Ma questo conferma esattamente il punto del nostro articolo. Se si vuole fare per bene il federalismo fiscale bisogna avvicinare, non allontanare, il sistema di finanziamento delle due tipologie di Regioni, ordinarie e speciali, se necessario riconoscendo, in un quadro unitario e coerente, risorse ulteriori alle Regioni che svolgono compiti ulteriori. Non si devono creare ulteriori “specialità” (perché alla Sicilia sì e all’Emilia Romagna e alle Marche no?) e soprattutto non si devono creare solo per far contento un alleato di governo, oltretutto in spregio agli stessi principi di territorializzazione dei tributi inseriti in un altro punto della legge delega (si confronti l’art.5 con l’art.20 dell’ultima bozza Calderoli). Quanto reggerebbe, al mutare delle alleanze politiche e dei governi, una devoluzione di risorse basata su un principio così palesemente ingiustificato?

Regioni a statuto speciale: composizione delle entrate (2006, milioni di euro)

LA REGIONE SICILIA E LA RIFORMA CALDEROLI

Gregorio Arena Uff. Stampa Regione Sicilia

Su queste colonne e su Repubblica del 14 settembre, in un articolo a firma di Tito Boeri e Massimo Bordignon, è scritto che (secondo la bozza Calderoli) l’accisa sui carburanti sarebbe una tassa esigibile all’atto dell’immissione al consumo con la conseguenza che “i bolognesi e genovesi le pagano e i soldi vanno in parte o tutte ai siciliani”. Nella realtà accade invece che le accise sui carburanti attualmente pagate dai siciliani vengano assegnate alle Regioni a Statuto ordinario ai sensi di due leggi (la 449/97 e1a244/07). Infine l’affermazione secondo la quale “la Sicilia è la Regione che già prende più trasferimenti dallo Stato con una percentuale pari al 20% di tutti i trasferimenti erariali alle Regioni” è smentita dal Ministero dell’economia (dati anno 2006) dai quali risulta che l’incidenza della spesa statale in Sicilia è pari al 7.54%.

FEDERALISMO AD PERSONAM

Le riforme istituzionali si dovrebbero fare avendo in mente il futuro del Paese. In Italia si fanno con in mente il futuro del governo, per tenere buoni tutti i partiti della coalizione. E’ il caso dell’articolo 20 della Bozza Calderoli sul federalismo fiscale. Una norma pensata per Raffele Lombardo e il suo MPA. Una norma che sfugge ad ogni razionalità  economica e giuridica. Vediamo perché.

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