A ogni rincaro del prezzo del petrolio corrisponde un’invocazione al Governo. Perché introduca un meccanismo automatico di variazione dell’accisa per mantenere stabile il prezzo dei carburanti. Ma c’è il rischio che si scelga un livello sbagliato. Per esempio, facendo dimenticare ai cittadini che il petrolio è una risorsa esauribile, il cui prezzo è destinato inevitabilmente a crescere. Se si vuole davvero calmierare il prezzo della benzina, l’unica alternativa è una apertura dei mercati a nuovi entranti e una maggiore concorrenza tra i venditori.
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Dopo l’introduzione dei primi due moduli della riforma fiscale, il reddito reale delle famiglie italiane è aumentato la metà di quanto appare osservando la struttura formale dell’imposta a redditi nominali invariati. Rispetto alla struttura di aliquota media in vigore nel 2002, quella introdotta con la riforma comporta una lieve intensificazione dell’effetto del fiscal drag attribuibile all’inflazione. Ciò è dovuto al fatto che la progressività dell’imposta è nel complesso aumentata, ma in misura relativamente più forte per i redditi medio-bassi.
Come sostituire l’Irap se la Corte di giustizia europea seguirà le indicazioni dell’avvocato generale? Impraticabile l’ipotesi di ripristinare i contributi eliminati con la sua introduzione, si potrebbe seguire l’esempio della Danimarca che nel 1991 rimpiazzò un’imposta sul valore aggiunto con un aumento di tre punti dellÂ’Iva. Nei settori più esposti alla concorrenza vi sarebbe un guadagno di competitività . Ma nei servizi avremmo probabilmente un aumento dei prezzi al lordo dell’Iva. E l’inflazione percepita tornerebbe a salire velocemente.
La sostituzione dell’Irap pone problemi di gettito, distributivi e allocativi di estrema importanza e di non facile soluzione. Va perciò evitata l’improvvisazione normativa. Un’ipotesi è dividerla in due o più imposte, ciascuna delle quali riferita alle singole componenti della base imponibile. Una completa detassazione del costo del lavoro priverebbe l’erario di 12 miliardi di euro. Meglio allora escludere dall’imposta solo gli oneri sociali. Tanto più se il mancato gettito fosse recuperato con l’unificazione e l’inasprimento delle aliquote sulle rendite finanziarie.
L’Irap è il principale tributo delle Regioni italiane. E il più criticato. Molti dei rilievi non colpiscono il bersaglio. Il problema principale del tributo come imposta regionale è la sua forte sperequazione sul territorio. Ciò ha reso difficile la costruzione di un vero sistema di federalismo fiscale. Le riforme che verranno probabilmente attuate non toccheranno questo punto. Sarebbe invece opportuno approfittare dell’occasione per ridisegnare il modello di finanziamento delle Regioni italiane.
Molte le ipotesi di riforma del sistema tributario regionale. Nessuna proposta però appare del tutto soddisfacente. Sostituire l’Irap con maggiori spazi di manovra delle Regioni sull’Irpef non risolve il problema della sperequazione territoriale delle risorse e soffre dell’assenza di alcuni cespiti dalla base imponile dell’imposta sui redditi. Al contrario, attribuire alle Regioni imposte sui consumi renderebbe la dotazione finanziaria più equilibrata, ma appare difficile garantire adeguati spazi di autonomia. Servirebbe allora un’innovazione istituzionale come la Vivat.
Con poche eccezioni, le Regioni hanno utilizzato l’Irap soprattutto per finalità redistributive o di supporto all’attività economica. Anche gli incrementi di aliquota introdotti per finanziare i deficit sanitari non sono stati indiscriminati e all’esigenza di far cassa si è accompagnato il mantenimento delle agevolazioni per i settori “meritevoli”. Il bilancio di questa fase sembra dunque positivo. Peccato che in attesa di un mai raggiunto accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, i margini di autonomia siano stati drasticamente ridotti.
Non sarà facile trovare un’alternativa all’Irap, la terza imposta del nostro ordinamento dopo Irpef e Iva. Un ritorno ai contributi sanitari sarebbe in contrasto con la filosofia della legge delega che indica come prioritaria l’esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap. Intervenire sull’Ires penalizzerebbe gli investimenti. Aumentare le addizionali regionali o l’Irpef è in contraddizione con i tagli fiscali promessi dal Governo. Le imposte indirette sono già cresciute con la Finanziaria 2005. Anche i suoi detrattori finiranno per rimpiangerla
La possibile bocciatura europea dell’Irap perché doppione dell’Iva pone interrogativi sulla certezza del diritto e la razionalità economica della giurisprudenza comunitaria. Senza considerare le differenze sostanziali con l’Iva, il problema sembra essere un’imposta la cui base è calcolata come differenza “ricavi-costi”. Mentre sarebbe formalmente compatibile con le norme comunitarie, un’imposta che pervenisse allo stesso risultato come somma dei redditi che compongono il “valore aggiunto”.
Nei paesi dell’Ocse le imposte reali che gravano su singoli cespiti, quasi sempre gli immobili, sono nettamente dominanti rispetto a quelle sui trasferimenti. E solo in tre paesi la percentuale sul totale delle imposte dirette assume valori rilevanti: Giappone, Polonia e Stati Uniti. In Francia, la “impot de solidarieté sur la fortune”, voluta da Mitterand e ora confermata dal governo di destra, ha un effetto redistributivo minimo, ma serve ad aggiungere progressività a un sistema che non ne ha molta. E pagarla è diventato una sorta di status symbol.