Per rilanciare la competitività dell’economia e delle imprese italiane, il Governo sta pensando a sgravi fiscali e crediti di imposta per le spese per la ricerca e per l’innovazione tecnologica. Scarse, tuttavia, le risorse a disposizione. E per incoraggiare davvero queste attività , occorre garantire alle imprese un più elevato tasso di rendimento interno certo. Meglio perciò evitare gli interventi temporanei e, pur nel rispetto delle compatibilità di bilancio, puntare su un flusso adeguato di incentivi permanenti e flessibili.
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La riforma del sistema fiscale prevede il passaggio a tre sole aliquote. La più elevata sarà al 39 per cento, con una riduzione di sei punti per chi ha un reddito superiore a 70mila euro. Invece per i contribuenti al di sotto di questa cifra, le aliquote marginali non si ridurranno affatto, anzi aumenteranno, come è già accaduto in alcuni casi con il primo modulo. Perché la riforma non interviene sul sistema delle deduzioni. E un aumento degli assegni al nucleo familiare potrebbe far scattare vere e proprie trappole della povertà per lavoratori dipendenti, parasubordinati e pensionati.
Tra primo e secondo modulo si delinea una riforma fiscale che aumenta le disuguaglianze. E assorbe tredici miliardi che avrebbero potuto essere destinati ad altri programmi. I maggiori beneficiari degli sgravi sono i redditi più bassi e quelli più alti, mentre i guadagni sono inferiori per le classi centrali della distribuzione del reddito. Anche se dalla presentazione della legge delega, il Governo ha ridimensionato significativamente i propositi di passaggio al modello della flat rate.
Circa un terzo dell’aggiustamento complessivo previsto dalla Finanziaria proviene dall’aumento delle entrate ordinarie. Non c’erano alternative perché gli impegni comunitari impongono interventi di tipo permanente e sarebbe stato impossibile concentrare tutto sulla spesa. Nonostante la dichiarata volontà di riportare sotto controllo i conti pubblici, resta il rischio che l’inasprimento fiscale di oggi sia seguito da ulteriori sgravi che renderanno inevitabili nuovi aggravi domani, in un circolo vizioso da cui non possono più salvarci le una tantum.
Mentre si attendono indicazioni credibili sulla prevista riforma dell’Irpef, la manovra già varata prevede maggiori entrate per sette miliardi e mezzo. Dovrebbero arrivare dalla cosiddetta manutenzione della base imponibile e dall’inasprimento di micro-tributi esistenti. Ma la revisione degli studi di settore per i lavoratori autonomi e piccola impresa difficilmente potrà dare un gettito rilevante nel 2005. E gli interventi sul reddito da fabbricati sono estemporanei. Il gettito più certo verrà ancora una volta dall’inasprimento di tributi esistenti.
In Gran Bretagna si rafforzano i meccanismi competitivi che negli ultimi quindici-venti anni hanno portato grandi benefici al sistema universitario, permettendo alle risorse di essere allocate laddove sono più produttive. Anche in Italia, alle università dovrebbe essere concessa piena libertà sulle rette e sul modo di utilizzarle, con l’unico obbligo di pubblicizzare la destinazione dei fondi aggiuntivi. Si creerebbe così una benefica competizione non solo fra atenei, ma anche fra dipartimenti di una stessa sede.
Vincenzo Visco commenta la lettura del DPEF fornita da Riccardo Faini e Francesco Giavazzi per quanto riguarda gli aiuti al Sud. È giusto lÂ’impegno ad aprire le ostilità con Bruxelles sulla differenziazione regionale delle aliquote sui profitti? Â
La manovra correttiva appena approvata cancella la riduzione del 50 per cento dell’aliquota fiscale finora prevista per le fondazioni bancarie perché enti non a fini di lucro. I benefici per il bilancio dello Stato saranno relativamente modesti e soggetti a un probabile contenzioso. Possono essere consistenti invece gli effetti sulle risorse disponibili per servizi e interventi vari garantiti dal settore privato non profit. Non sarebbe meglio incentivare, anziché comprimere, il ruolo delle fondazioni nel traballante welfare mix italiano?
Il suo progetto di riforma fiscale è rimasto incompiuto non solo perché costosissimo, ma anche perché sono emersi gli importanti effetti redistributivi impliciti nel passaggio a un’imposta sui redditi a due aliquote, 23 e 33 per cento. I tagli alle tasse legati alla Tremonti bis e al primo modulo di riforma Irpef non si sono autofinanziati perché non si sono trasformati in un sostegno alla domanda. Resta, però, la riduzione permanente del gettito. Mentre le conseguenze di scudo e condono fiscale sull’attività di accertamento sono state e saranno molto gravi.