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Categoria: Fisco Pagina 82 di 84

Le imposte di Tremonti

Il suo progetto di riforma fiscale è rimasto incompiuto non solo perché costosissimo, ma anche perché sono emersi gli importanti effetti redistributivi impliciti nel passaggio a un’imposta sui redditi a due aliquote, 23 e 33 per cento. I tagli alle tasse legati alla Tremonti bis e al primo modulo di riforma Irpef non si sono autofinanziati perché non si sono trasformati in un sostegno alla domanda. Resta, però, la riduzione permanente del gettito. Mentre le conseguenze di scudo e condono fiscale sull’attività di accertamento sono state e saranno molto gravi.

Coordinamento delle politiche fiscali

Coordinamento delle politiche fiscali

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Pensate che il limite del deficit del 3% stabilito dal Patto di Stabilità e Crescita debba essere ancora vincolante per il Governo Italiano, dopo le deroghe concesse a Francia e Germania?Si. Il Patto deve essere rispettato, è tuttavia possibile giungere ad una interpretazione dinamica dello stesso, escludendo dal deficit le spese di investimento che potranno generare effetti benefici sul Pil. Si. Le discussioni circa la modifica del Patto appaiono pretestuose. Occorrono invece riforme strutturali e modifiche nella composizione dei bilanci pubblici.  Si. L’Italia ha sempre rispettato il Patto e lo rispetterà anche quest’anno.
Il Patto però è largamente insufficiente per la crescita.
Si. L’unica modifica al Patto potrebbe essere una riduzione dei parametri in periodi di recessioneSi, la soglia del 3% è un limite plausibile, ragionevole e lungamente soppesato in ambito Europeo. Il problema è l’azzeramento del deficit, per il quale le privatizzazioni sembrano essere la strada obbligata.Si, soprattutto per l’Italia, dato l’elevato debito pubblico. Per contenere il deficit occorre riprendere il controllo della spesa e delle entrate. Alcune correzioni al Patto andrebbero introdotte, per sostenere la crescita.
Ritenete che sia utile armonizzare la tassazione dei redditi da capitale a livello europeo? Si. L’adozione di una tassazione omogenea in ambito europea dei redditi finanziari deve essere studiata in modo da includere anche l’elevazione graduale e contenuta dell’aliquota d’impostaNo .Si può discutere su un’armonizzazione delle regole per determinare talune basi imponibili, ma va respinta qualsiasi ipotesi di armonizzazione delle aliquote di imposizioneNo L’armonizzazione delle politiche fiscali non è qualcosa di auspicabile in sé, anche se in presenza di una moneta unica è difficile pensare alla competizione fiscale tra Paesi per i redditi di capitale . Si. I redditi da Capitale vanno considerati nell’insieme dei redditi percepiti dalla Persona Fisica e destinati ai Consumi.

L‘omogeneizzazione europea e’ auspicabile, ma non deve ritardare l’applicazione in Italia

Si. Una migliore armonizzazione della tassazione dei redditi finanziari all’interno dell’Europa eviterebbe distorsioni di concorrenza e delocalizzazioni di capitale nel continente. Si. Siamo favorevoli ad una graduale armonizzazione della tassazione sui redditi da capitale, per evitare una pericolosa competizione fiscale.
Ritenete che sia giusto allineare la tassazione dei redditi d’impresa in Italia agli standard internazionali ed europei (riducendo ad esempio l’Irpeg e l’Irap?)Si. Con il decreto legislativo n-344 del 2003 si è già ridotto il carico fiscale sul reddito delle società.Si, l’Italia dovrebbe perseguire la propria politica nella fissazione delle aliquote fiscali. L’armonizzazione deve riguardare solo la base imponibile e la sua ripartizione tra vari stati. Si  E’ giusto che le imprese paghino meno tasse, ma non vengano finanziate con denaro pubblico. No Non è possibile fornire indicazioni, per la sostanziale differenza soprattutto nelle fonti di risorse finanziarie, fra le imprese italiane e quelle degli altri paesi europei.Si. L’allineamento sarebbe un fattore di maggiore competitività. Per limitare l’impatto sul gettito occorrerebbe privatizzare.Si.  Occorre una riduzione graduale e certa, come con il sistema di Dual Income Tax, abolito dal governo di centro-destra.
Ritenete che la pressione fiscale in Italia debba essere ridotta, aumentata o restare sostanzialmente invariata?Si. Dovrebbe essere ridotta, ridurre la pressione fiscale è necessario ma non bisogna ridurre le cosiddette spese sociali. Si.  La pressione Italiana è troppo elevata e deve essere ridotta.Si .La pressione fiscale va diminuita strutturalmente riducendo la spesa dello stato attraverso privatizzazioni e riforme strutturali. No. La pressione fiscale va mediamente aumentata per l’esigenza di ridurre il debito pubblicoSi La pressione fiscale dovrebbe essere ridotta in Italia e in tutti i Paesi dell’ Euro perchè rappresenta il principale freno alla crescita e alla competitività nei confronti degli Stati Uniti Si.L’Italia può intraprendere un percorso graduale e ragionevole di riduzione permanente della pressione fiscale, senza ridurre la spesa sociale, che deve rimanere costante in termini reali.

Bentornato falso in bilancio

Il Governo italiano torna sui suoi passi sulla disciplina delle false comunicazioni sociali. La normativa ora in vigore prevede infatti che non sia comunque punibile una sopravvalutazione o una sottovalutazione dell’utile lordo di esercizio di un’impresa se di importo inferiore al 5 per cento. Ma così si introduce un rischio aggiuntivo per i potenziali investitori. Per compensarlo, questi richiedono un rendimento maggiore per i capitali impiegati. E in un’economia aperta, gli investimenti possono anche dirigersi su imprese di altri paesi.

Coordinamento delle politiche fiscali

Continuiamo la pubblicazione delle risposte di partiti e coalizione ai quesiti che avevamo formulato in vista delle elezioni europee. Nella scheda sul Coordinamento delle politiche fiscali abbiamo chiesto di esprimere una posizione sul Patto di stabilità e crescita. Sulla necessità di armonizzare a livello europeo la tassazione dei redditi da capitale e se adeguare agli standard europei la tassazione italiana dei redditi di impresa. Indicando anche come finanziare le eventuali perdite di gettito. Ecco le risposte della Lista Bonino, Forza Italia, Patto Segni-Scognamiglio e Uniti nell’Ulivo.

Chi beneficia dei tagli alle tasse

La differenza tra la proposta Fini e quella Tremonti di riduzione dell’Irpef è solo di immagine. Entrambe le ipotesi infatti hanno effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, e favoriscono in modo spiccato soprattutto chi guadagna più di 50mila euro. I redditi bassi, che già oggi non pagano l’imposta, sarebbero comunque esclusi da qualsiasi beneficio. Anche per le famiglie i risparmi maggiori si concentrano nel 10 per cento più ricco. Senza contare che le perdite di gettito sarebbero molto superiori alle cifre indicate finora.

Il nome non fa il reddito

Abbandonato l’esperimento del reddito minimo di inserimento, la Finanziaria 2004 ha istituito il reddito di ultima istanza. Ma poco si sa delle caratteristiche che dovrebbe assumere e di come sarà finanziato. Sembra una pura e semplice delega di iniziativa agli enti locali e non è nemmeno chiaro se le Regioni saranno tenute a istituire la nuova misura. Il rischio è un passo indietro delle politiche di lotta della povertà, con il ritorno a misure, se non occasionali certamente discrezionali, per la disomogeneità di interventi che caratterizza storicamente il welfare locale in Italia e gli squilibri regionali tra aree ricche e aree povere.

“Livellare” non basta

Un emendamento alla delega previdenziale punta a dirottare il Tfr anche su fondi aperti e su polizze individuali (Pip). La creazione di regole uniformi e controlli comuni è senz’altro importante per lo sviluppo del mercato previdenziale, ma non è sufficiente senza un allineamento verso il basso dei costi di gestione (oggi altissimi per le Pip) e senza migliorare la qualità e la trasparenza dei prodotti offerti. Accade infatti che i più efficienti siano penalizzati a favore dei peggiori.

Chi ha abolito il fiscal drag

Il ministro dell’Economia sostiene che la restituzione del drenaggio fiscale è stata eliminata con la Finanziaria 2001, l’ultima del Governo di centro sinistra. Ma questa interpretazione si scontra con il fatto che una eventuale abrogazione del decreto che disciplina il rimborso avrebbe dovuto essere esplicita, e non ricavata per estensione da quanto previsto per il 2001. Ogni anno, infatti, la Finanziaria deve indicare la copertura per il rimborso. E l’ammontare dovuto può essere quantificato soltanto una volta che sia noto l’andamento dell’inflazione.

Il Pil e le tasse

Una riduzione delle imposte che non porta crescita può essere penalizzante in Europa, senza nemmeno conquistare il consenso degli elettori. Prima di garantire che il “taglio alle tasse” porterà sviluppo, bisogna formulare una valutazione plausibile degli effetti attesi. L’analisi statistica mostra che per ogni punto percentuale di riduzione delle imposte sul Pil, il tasso di crescita del Pil potenziale aumenta di circa un quarto di punto percentuale l’anno. Ma se la riduzione delle imposte è finanziata interamente in deficit, l’aumento si dimezza.

L’Ire funesta

Nel dibattito sulla nuova Ire si parla molto di sostenibilità finanziaria e del suo eventuale impulso alla crescita. Passano sotto silenzio invece gli effetti sulla distribuzione del reddito. L’Ire è un’imposta di natura proporzionale e non progressiva, com’è l’Irpef e come vorrebbe la Costituzione. Né il meccanismo delle detrazioni fiscali permette un sostanziale recupero di progressività. Sarebbe così la minoranza di contribuenti con i redditi più alti ad avere i maggiori benefici. Esattamente l’opposto di quanto accade negli altri paesi europei.

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