Contrariamente a quanto si lascia intendere, la riforma della tassazione delle società approvata dal Consiglio dei ministri non comporterà una riduzione dell’onere fiscale che grava sulle imprese. Non è neppure vero che ci si adegui a un modello europeo, peraltro inesistente. È vero invece che dalle legislazioni degli altri paesi europei si mutuano le norme più favorevoli per le holding e per i gruppi, senza interrogarsi se il nuovo sistema sia o meno coerente con le proposte di coordinamento elaborate dalla Commissione europea.
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L’abbattimento della pressione fiscale promesso dal “contratto con gli italiani” riguarda solo una piccola fascia della popolazione, quella più ricca. Lo dimostrano le misure già adottate, come la soppressione della tassa sulle eredità di maggiore entità , e quelle previste per il futuro, come la revisione delle aliquote Irpef per gli ultimi scaglioni di reddito. Mentre gli effetti distributivi del primo modulo della riforma sono stati quasi nulli.
Importante il ruolo degli strumenti di finanziamento pubblico nelle politiche di formazione, ma le imprese giudicano ancora troppo elevati gli oneri burocratici e scarsa l’informazione sulle opportunità offerte. E alla deducibilità fiscale delle spese, dovrebbero essere affiancati incentivi per particolari tipologie di interventi formativi.