Ringraziando tutti i lettori dellattenzione, colgo loccasione per rispondere ai commenti più critici.
Il parallelo che il lettore Vincent ipotizza con la mafia, per quanto suggestivo e già segnalato nellambito della divulgazione scientifica, non mi pare possa essere traslato con successo nella corruzione. Benché infatti i due fenomeni abbiano diversi connotati comuni, ciò pare dovuto principalmente ad incidenti di percorso piuttosto che ad una vera e propria evoluzione criminale. Nella prassi, infatti, il corruttore o il corrotto sono soggetti normoinseriti, che sì rispondono di regole proprie (cc. dd. sottoculturali) come gli associati delle organizzazioni criminali, ma che hanno daltra parte scambi decisamente più rilevanti con il mondo legale. In termini prosaici, la valutazione costi/benefici del mafioso nellintraprendere la carriera criminale tiene sicuramente conto delle possibili conseguenze delle sue azioni, fino al carcere più severo. Il criminale economico invece quasi mai. Questo porta a confermare, sul solco segnato della dottrina più sensibile, che la certezza della pena, in casi come quelli corruttivi, è ben più deterrente della severità della pena. Daltra parte, sono sicuramente puntuali le osservazioni del lettore Giuseppe Moncada il quale auspica lintroduzione di norme a monte per incompatibilità ovvero di severo controllo su come lo Stato spenda il denaro pubblico (così il lettore Piero). Il lettore Nello, inoltre, giustamente richiede armi idonee. Come segnalavo nellarticolo, basterebbe mutuare istituti presenti negli altri paesi, quali lagente provocatore statunitense. Peraltro, il nostro ordinamento già conosce una figura simile per alcuni reati (quali, ad es. il terrorismo e il traffico di stupefacenti): sarebbe sufficiente estenderla ai fatti di corruzione.
Una chiosa finale, infine, sullosservazione del lettore Bob. Il problema della corruzione ha certamente una componente culturale. Addirittura, senza scomodare lampio dibattito sul familismo amorale di Banfield, alcuni eccellenti studi scientifici hanno rintracciato un legame tra prassi corruttive e aspetti più personali della collettività, quali ad esempio la religione. Con riferimento alle vicende attuali, credo che il parametro di riferimento debbano essere i mass-media: è probabilmente lì il termometro sociale della convivenza con il fenomeno criminale. Siccome linformazione è in grado di orientare lopinione pubblica, in qualche modo riuscendo anche ad introdurre scale di valori (o di disvalori), è più che mai opportuno che la funzione di watchdog for citizen rights, così come teorizzato nel mondo anglosassone, prenda sempre più piede anche in Italia.
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Studiare l’eterogeneità nelle decisioni giudiziarie è importante oltreché legittimo. Ma i dati statistici sui quali si fonda il ragionamento devono essere completi e interpretati con attenzione. Soprattutto quando si tratta di questioni delicate come l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Una certa differenza nelle decisioni dei magistrati su uno stesso argomento è inevitabile, e anche opportuna, perché riflette diverse interpretazioni della legge. E la giurisprudenza deve essere plastica ed evolversi nel tempo, per adattarsi ai mutamenti nella società.
La Camera discuterà presto il disegno di legge anticorruzione, già approvato dal Senato nel giugno 2011. Se la proposta diventasse legge, si rafforzerebbe il contrasto della corruzione? Probabilmente no perché il Ddl non prevede strumenti idonei a combattere il fenomeno, come invece è stato fatto in altri paesi. Soprattutto, non contempla ipotesi di non punibilità collegate a forme di collaborazione che spezzino dall’interno il vincolo di omertà tra corrotto e corruttore. Ma nessuna economia può reggere un costo della corruzione dell’ordine di 60 miliardi l’anno.
La protezione di un diritto fondamentale della persona è affidata alla roulette russa che si attiva con lassegnazione casuale dei processi per cause di lavoro a giudici molto diversi tra loro per tempi e orientamento della decisione. È quanto emerge da una ricerca sulle cause tra lavoratori e datori di lavoro nei tre maggiori tribunali italiani: Milano, Roma e Torino. Gli esiti di ogni azione sono affidati, in ultima istanza, al caso.
Ringrazio tutti i lettori dellattenzione, e rispondo ai commenti più critici.
A Pietro il Cancelliere: conosco bene il problema di understaffing degli uffici giudiziari. Il personale invecchia e va in pensione, e in assenza di ricambio è diminuito del 20% almeno negli ultimi dieci anni. Il Ministero della Giustizia dovrebbe bandire concorsi? Giusto. Ma è verosimile, in tempi di crisi economica? Per nulla. E anche se venisse bandito un concorso nazionale, servirebbe questo a coprire i posti nel Nord Italia, visto che il pubblico impiego è appealing soprattutto per i meridionali? Difficile.
A Franco Cantarano: rispondo che le grandi sedi metropolitane dovrebbero piuttosto essere deconcentrate: tutte le grandi città del mondo hanno tribunali di quartiere. Quale beneficio avrà mai il Tribunale di Roma – un monstre di otto sedi e con oltre duemila dipendenti – dalla soppressione della piccola, ma efficiente e ben tenuta, Sezione Distaccata di Ostia?
A Paolo, che esprime lidea radicata che la Giustizia sia un monopolio naturale, faccio notare che in realtà sono i sistemi economici e politici ad essere in concorrenza tra loro, e la giustizia con essi. Nel momento in cui unimpresa si localizza in un dato territorio, valuta tutte le infrastrutture, fisiche e non, su cui può contare, e tra queste ultime cè certamente la tutela dei diritti. Quindi sì, in qualche modo si può scegliere anche un tribunale.
I più dubbiosi, mi sembra, hanno ad oggetto non tanto la mia proposta, ma lidea stessa di federalismo, e la possibilità di trovare un soddisfacente punto di equilibrio tra Stato ed Enti territoriali (a Alfonso lavanna, a Bellavita).
In particolare, a Damiano Mereta: è ben possibile che percorrere interamente questa strada potrebbe aggravare la disparità
tra i cittadini di regioni virtuose e quelli di regioni meno capaci, ma non credo che i diritti dei cittadini si tutelino meglio tenendo ferme le regioni più evolute, e allineandole tutte al minimo comun denominatore. Il senso delloperazione federalista è piuttosto di liberare energie, scatenare la competitività e lemulazione.
I dubbi sullefficacia e sullapplicabilità delle ricette federaliste al nostro Paese sono ben legittimi, ma la Costituzione vigente offre non solo vincoli, ma anche opportunità: perché non approfittarne?
Ad esempio, essa, sin dal testo originario del 1948, prevede allart. 106 la possibilità di eleggere i giudici. Se ciò avvenisse, i giudici di pace sarebbero pressati dalla politica, come dice Franco Cantarano, o non maggiormente soggetti a un controllo democratico? Non lo so, ma domando: che senso ha tenere delle norme nella Costituzione, e poi non attuarle?
Insomma, è possibile dare ai problemi della nostra Giustizia una risposta più creativa del solito tagli, tagli, e ancora tagli?
Con il decreto “cresci Italia” le liberalizzazioni fanno un passo avanti. Ma l’esperienza insegna che provvedimenti simili rischiano di rimanere lettera morta se non definiti nei dettagli e non inseriti all’interno di una riforma organica delle professioni. Per esempio, il Legal Services Act inglese ha riformato dalle fondamenta la professione legale e definito un nuovo sistema di regole centrato sul consumatore. Sancita anche la separazione della funzione rappresentativa delle professioni da quella di regolamentazione. La funzione dell’organismo indipendente di controllo.