Dopo l’11 settembre, il visto di studio o lavoro per gli Stati Uniti si ottiene solo attraverso una procedura complessa e costosa. Si cerca di evitare che i terroristi entrino nel paese camuffati da studenti, lavoratori o accademici in conferenza? O che il “legal alien” si trasformi poi in un immigrato clandestino? Qualunque sia la sua motivazione, è una politica poco efficace e inutilmente vessatoria. Anche perché chi ha un passaporto digitale e un biglietto aereo di andata e ritorno può agevolmente entrare negli Usa per sei settimane, senza alcun visto.
Categoria: Immigrazione Pagina 39 di 42
La maggior parte dei nuovi ingressi autorizzati interessa lavoratrici occupate nel settore domestico-assistenziale. E’ un chiaro segno dellÂ’affanno crescente del nostro sistema di welfare. Ma anche di una più diffusa adesione alla “cultura della domiciliarità ”. E di una tendenza alla familiarizzazione del rapporto di lavoro dell’assistente domiciliare, con tutte le ambiguità che possono derivarne. Nel campo dell’assistenza, la soluzione auspicabile è il superamento della privatizzazione del rapporto di lavoro tra famiglie e “badanti”.
La Legge Bossi-Fini va rivista. E in fretta perché altri paesi stanno ripensando le loro politiche di accoglienza, cercando di attirare gli immigrati più qualificati. Norme troppo restrittive incentivano solo la clandestinità , che rappresenta un costo per tutti: i migranti, i paesi di origine e quelli di destinazione. Uno dei suoi effetti è infatti quello di spingere i lavoratori più istruiti a tornare per primi nel paese di origine. La nostra classe politica sembra non aver ancora capito che l’immigrazione, quando governata, è una risorsa fondamentale.
Il primo voto degli italiani residenti all’estero è stato decisivo nel determinare il risultato finale delle elezioni politiche 2006. Ma perché dare pieno peso politico a chi contribuisce al prodotto nazionale lordo e non al prodotto interno lordo, come gli immigrati che vivono in Italia? Tre le ipotesi: dare riconoscimento alle rimesse, al livello e alla qualità del capitale umano degli emigrati o sottolineare il valore delle esportazioni e della bilancia turistica. Solo la terza è plausibile. E facile da misurare.
Potremmo definirla la “Grande gara di resistenza alle file per immigrati extracomunitari”. E’ invece la procedura che regola i flussi annuali di ingresso in Italia per motivi di lavoro di cittadini stranieri. La prima manche è la corsa per accaparrarsi i kit di domanda, seguita poi da quella per consegnare i documenti. Perché il rilascio del permesso seguirà l’ordine di arrivo delle richieste, fino a esaurimento. Il tutto “cronometrato” dagli uffici postali italiani. Una procedura incivile e insensata. Meglio sarebbe fare come gli americani, ricorrere a una lotteria.
Il sindacato italiano può giocare un ruolo sociale importante nel dare voce agli immigrati: non avranno così bisogno di incendiare le nostre periferie per fare sentire le loro ragioni. Ma non basta proporre corsi di formazione. Bisogna riconciliare le esigenze degli immigrati con quelle della base tradizionale del sindacato su tre temi fondamentali: le politiche dell’immigrazione, la protezione di chi ha carriere lavorative discontinue e la liberalizzazione dei servizi.
Una parte rilevante dell’industria italiana cerca di far fronte alla concorrenza internazionale con strategie di contenimento dei costi. E impiega manodopera immigrata per tenere in vita produzioni low-skilled labor intensive che altrimenti sarebbero delocalizzate. Una strada rischiosa per la specializzazione produttiva del nostro paese e per le prospettive future degli immigrati. Servono invece investimenti in capitale umano e innovazione, oltre a politiche attive dell’immigrazione. Soprattutto, però, si deve liberalizzare il settore dei servizi.
La vicenda dei lavavetri bolognesi è emblematica di una presunta contrapposizione tra tolleranza, intesa come valore necessario per l’accoglienza degli immigrati, e rigore nell’applicazione delle leggi, interpretato come volontà di esclusione dei diversi. Ma sono le società dove si ha certezza dei propri diritti, quelle che accettano e favoriscono l’integrazione di culture differenti. Se questa certezza non c’è, si hanno le manifestazioni di razzismo, dettate dalla paura del diverso. In una società multicurale sono necessarie poche, ma rispettate regole.
Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare i due fenomeni più eclatanti rilevati dall’indagine delle forze di lavoro per il secondo trimestre del 2005: la conferma della crescita sostenuta dell’occupazione, superiore alla crescita tendenziale del Pil, e l’aumento del divario territoriale, in particolare fra Nord e Sud. Il tasso di disoccupazione scende al 7,5 per cento. Sale l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, smentendo i timori di “precarizzazione” del mercato del lavoro. Ma nel Mezzogiorno le donne occupate diminuiscono ancora.
L’ingresso di lavoratori extracomunitari nel mercato del lavoro italiano è guidato dal criterio della priorità cronologica delle domande presentate dai potenziali datori di lavoro. La legge è sostanzialmente indifferente alle competenze degli immigrati. Non richiede requisiti di alfabetizzazione né riconosce priorità legate al possesso di specifici titoli di studio o professionali. Nel Regno Unito, invece, la legge prevede un sistema di valutazione a punti delle competenze e introduce un meccanismo privilegiato di ingresso per gli “highly skilled migrant”.