La vicenda dei lavavetri bolognesi è emblematica di una presunta contrapposizione tra tolleranza, intesa come valore necessario per l’accoglienza degli immigrati, e rigore nell’applicazione delle leggi, interpretato come volontà di esclusione dei diversi. Ma sono le società dove si ha certezza dei propri diritti, quelle che accettano e favoriscono l’integrazione di culture differenti. Se questa certezza non c’è, si hanno le manifestazioni di razzismo, dettate dalla paura del diverso. In una società multicurale sono necessarie poche, ma rispettate regole.
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Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare i due fenomeni più eclatanti rilevati dall’indagine delle forze di lavoro per il secondo trimestre del 2005: la conferma della crescita sostenuta dell’occupazione, superiore alla crescita tendenziale del Pil, e l’aumento del divario territoriale, in particolare fra Nord e Sud. Il tasso di disoccupazione scende al 7,5 per cento. Sale l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, smentendo i timori di “precarizzazione” del mercato del lavoro. Ma nel Mezzogiorno le donne occupate diminuiscono ancora.
L’ingresso di lavoratori extracomunitari nel mercato del lavoro italiano è guidato dal criterio della priorità cronologica delle domande presentate dai potenziali datori di lavoro. La legge è sostanzialmente indifferente alle competenze degli immigrati. Non richiede requisiti di alfabetizzazione né riconosce priorità legate al possesso di specifici titoli di studio o professionali. Nel Regno Unito, invece, la legge prevede un sistema di valutazione a punti delle competenze e introduce un meccanismo privilegiato di ingresso per gli “highly skilled migrant”.
In vigore da febbraio 2005, il regolamento di attuazione del Testo unico sull’immigrazione ha inciso profondamente sulle procedure per il rilascio di visti d’ingresso, permesso e carta di soggiorno, esercizio del diritto all’unità familiare, lavoro. Suscitando alcune perplessità. Gli ulteriori adempimenti non hanno giustificazione per il ricongiungimento familiare, riconosciuto dalla Consulta come un diritto fondamentale. Né consentono un collegamento più funzionale tra domanda e offerta di lavoro. Mentre lo Sportello unico parte in tono minore rispetto alle attese.
Le politiche dell’immigrazione degli stati dell’Unione Europea stanno diventando sempre più restrittive per i lavoratori poco qualificati, mentre i diversi paesi competono tra di loro nel cercare di attrarre dall’estero lavoratori più istruiti. Da noi, invece, prevale un atteggiamento restrittivo su tutti i fronti. E nel dibattito pre-elettorale si continua a pensare che si possa gestire la politica dell’immigrazione a livello nazionale, ignorando ciò che avviene altrove.
Un indice di rigidità delle politiche dellimmigrazione permette di determinare il grado di chiusura di ciascuna legislazione e la sua evoluzione nel tempo. La tendenza prevalente nei paesi europei è quella di irrigidire le restrizioni verso la manodopera poco qualificata, favorendo limmigrazione di persone con più alto livello di istruzione. Fa eccezione l’Italia.
Un alto tasso di disoccupazione (in Francia) e il timore di “welfare shopping” (in Olanda) hanno probabilmente contribuito alla vittoria del “no” nei referendum sulla Costituzione europea. Ma chiudere le frontiere o l’accesso allassistenza sociale per i lavoratori dei nuovi Stati membri avrebbe solo effetti negativi. Si bloccherebbe infatti quel tipo di immigrazione che è più facile assimilare: legale e allinterno della Ue di persone mediamente o altamente qualificate. Le nostre stime indicano che frontiere aperte ai lavoratori dei Nuovi Stati Membri offrirebbero in dote all’Europa a 25 una crescita del Pil di mezzo punto percentuale. L’Europa non può rinunciarvi.
Il Governo ha finalmente presentato alle parti sociali il pacchetto sulla competitività. Molti provvedimenti. Quelli sugli ordini professionali o sul diritto fallimentare, sono condivisibili. Altre misure non fanno che correggere distorsioni introdotte nel passato da questo stesso esecutivo. Su altre ancora pesa linterrogativo delladeguatezza delle risorse stanziate. Ai lettori de lavoce.info proponiamo unanalisi ragionata per grandi capitoli (con interventi di Tito Boeri, Andrea Boitani, Massimo Bordignon, Francesco Daveri, Francesco Giavazzi, Cecilia Guerra, Daniela Marchesi, Roberto Perotti e Michele Polo) nellauspicio di contribuire al dibattito su come affrontare i nodi della competitività delleconomia italiana.
Il Green Paper della Commissione Europea propone timidamente di coordinare le politiche dellimmigrazione a livello europeo. Ma le lascia saldamente sotto la giurisdizione dei governi nazionali. Così, i governi nazionali continueranno a rincorrersi in una gara al rialzo nelladozione di misure sempre più restrittive, come successo nel caso dellallargamento ad Est dellUnione. Oppure chiuderanno laccesso al welfare da parte degli immigrati, una politica miope e irrealistica (oltre che iniqua), che finisce per creare deterrenti alla mobilità del lavoro anche allinterno dellUnione, quella mobilità che, a parole, tutti i Governi vorrebbero incoraggiare.
Il Governo appare intenzionato a mettere una “toppa” alla legge Bossi-Fini, in risposta alle obiezioni della Consulta. Ma ci vuole ben altro per rendere applicabile una legge che, a due anni e mezzo dalla sua approvazione, non è ancora stata messa in atto. I controlli sui permessi di soggiorno previsti dalla legge richiederebbero un apparato amministrativo da economia pianificata, con costi esorbitanti. Non servono a scoraggiare limmigrazione clandestina, ma semmai fanno aumentare il numero degli irregolari. Più utile intensificare le ispezioni contro il lavoro illegale degli immigrati.