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UNA NEUROECONOMIA PER IL FUTURO

Oggi la neuroeconomia cerca di investigare direttamente quali siano i meccanismi neuronali che entrano in gioco quando l’essere umano prende decisioni di carattere economico. E mostra che ogni nostra decisione coinvolge il lato emozionale: non è possibile distinguere tra azioni in cui soltanto la deliberazione consapevole razionale ha un ruolo e altre in cui entrano in gioco le emozioni, esiste invece una profonda commistione tra le due dimensioni. Quali sono le conseguenze per la teoria economica classica. E un approccio nuovo per il futuro.

PAROLE, BIT, PAROLE

A metà dicembre 2010 su Science sono apparsi i primi risultati del progetto di digitalizzazione dei volumi presenti nelle biblioteche pubbliche di vari paesi del mondo, realizzato in collaborazione con Google. L’iniziativa ha molteplici ambiti di applicazione. Permette infatti di studiare i tempi di ingresso e la diffusione nella letteratura di ogni genere di parola. E può fornire interessanti spunti di riflessione e di analisi sulla nostra società. Perché l’uso delle parole rispecchia l’attenzione e l’urgenza che un determinato problema riveste in un dato momento storico.

QUANDO L’EQUITÀ MIGLIORA LA VITA

In genere, gli indicatori statistici di benessere misurano soprattutto i fattori che contribuiscono a generarlo. E ciò porta a sopravvalutare il benessere individuale. Per lo stesso motivo, anche una maggiore sperequazione delle risorse tra gli individui tende a far sovrastimare il benessere collettivo. Mentre invece ogni aumento delle disuguaglianze riduce il benessere collettivo, a parità di Pil. E solidarietà e coesione sociale dovrebbero essere considerati come strumenti indispensabili per raggiungere livelli di benessere più elevati.

CHE SARÀ DI CONFINDUSTRIA, DEL SOLE, DELLA LUISS

L’accordo di Mirafiori ha segnato una svolta nelle relazioni industriali italiane e nel ruolo delle parti sociali. Se diminuisce il peso della contrattazione nazionale, si riduce il ruolo di soggetto di politica economica per le associazioni di impresa, che saranno spinte verso un’attività di lobby su specifiche problematiche. Anche Sole-24Ore e Luiss rischiano di subire i contraccolpi della nuova funzione di Confindustria. Per questo occorre garantire a entrambi più autonomia e, dunque, maggiore autorevolezza.

LA POLITICA? UN GIOCO PER SIGNORINI

Alfonso Signorini è uno dei più abili produttori di infodivertimento in Italia attraverso il suo settimanale di gossip e un neonato talk-show televisivo. Avrà un ruolo importante in campagna elettorale. Perché “Chi” e “Kalispera” mostrano un volto spensierato dell’Italia, inculcando l’idea che le cose nell’era Berlusconi non vanno poi così male. E se i cittadini si sentono più felici, è probabile che alle prossime elezioni votino più volentieri per il governo in carica, come dimostra una recente ricerca americana. Una strategia mediatica che sarebbe bene non sottovalutare.

I LIBRI E LE IDEE

Nell’ultimo mese in molti su questo sito ci hanno offerto dei bei ricordi personali relativi all’azione di Tommaso Padoa-Schioppa nelle varie istituzioni in cui ha operato. Io vorrei, invece, dare una prospettiva diversa, ricordando dei contenuti dei suoi scritti che mi hanno colpito. Si tratta in particolare di tre interconnesse proposizioni su integrazione economica e politica che compaiono ripetutamente, come a formare una specie di leitmotiv, nei vari libri ed articoli pubblicati da Padoa-Schioppa (molti dei quali sono disponibili sul suo sito personale www.tommasopadoaschioppa.eu).

  • Il mercato ha bisogno di istituzioni non di mercato per il suo buon funzionamento. Come già intuito da Adam Smith, il mercato non è soltanto un insieme di comportamenti individuali (che ne sono, in effetti, il risultato), ma una realtà giuridico-istituzionale, sociale e culturale. In particolare, il mercato richiede una struttura istituzionale di tipo statuale, cioè la capacità legislativa, esecutiva e giudiziaria che permetta il concretarsi delle sue libertà fondamentali. Tra il mercato e la rule of law esiste quindi una necessaria corrispondenza.
  • Integrazione economica ed integrazione politica sono processi complementari. Quando più paesi decidono di perseguire l’obiettivo di un mercato comune (cioè di stabilire tra essi la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone), si rendono allora necessari quegli stessi istituti senza i quali l’economia non funzionerebbe neppure all’interno di un paese. In altri termini, lo sviluppo del mercato comune deve procedere in parallelo con l’instaurazione degli elementi statuali che erano in precedenza solo interni agli Stati nazionali. Ciò pone il problema della corretta struttura istituzionale di uno Stato composto da più nazioni.
  • L’integrazione politica deve essere articolata secondo i principi del federalismo. Una struttura politica basata su Stati nazionali a sovranità illimitata non può garantire il governo di un mercato comune perché è incapace di decidere e far eseguire la legislazione comune ad esso necessaria. In un sistema federale, gli Stati nazionali delegano attraverso un patto (foedus) ad un livello di governo sovranazionale (globale o regionale) le questioni di comune interesse a cui individualmente non sono in grado di provvedere. I membri della federazione rimangono competenti per tutte le aree di governo non esplicitamente incluse nel patto.

Nel ricordare queste idee vorrei solo aggiungere una breve riflessione sul perché penso che valga la pena continuare a tenerle a mente. Per quanto in astratto possano essere condivise da molti, queste tre proposizioni rientrano solo in parte nel bagaglio culturale dell’economista. Ciò si riflette sia nella pratica del funzionamento delle istituzioni internazionali che nel laboratorio dell’analisi economica. Fondo Monetario, Banca Mondiale, WTO, G-20 sono istituzioni costruite sul presupposto che i soggetti della cooperazione siano gli Stati nazionali. In questi contesti, difficilmente si accetta il principio della sovranazionalità, anche quando esso sarebbe indispensabile per dare concreta applicazione a regole comuni. Nel laboratorio dell’economia internazionale, l’unità di analisi è lo Stato nazionale, non altra. Salvo rare eccezioni (in particolare, la teoria delle aree monetrie ottimali e i principi del federalismo fiscale), l’idea che la politica economica sia prerogativa dei governi nazionali – che possono scegliere di coordinarsi o meno- è un assunto comune raramente messo in discussione.
In una lezione tenuta all’Istituto Universtario Europeo nel 2005, ricordo che Padoa-Schioppa affrontò questo punto con una efficace provocazione. Parafrasando una frase di Keynes (un po’ spocchiosa e, forse per questo, spesso amata da chi studia economia), disse che non c’è ragione per cui gli economisti debbano essere schiavi di una visione politica defunta: il dogma (Westfaliano) della sovranità illimitata degli Stati nazionali. L’economista accademico deve riflettere sui mutamenti che è necessario apportare all’assetto istituzionale esistente, ed il politico economico deve operare affinché questi mutamenti si compiano. Una bella sfida –mi pare- per chi sceglie di operare nel campo dell’economia internazionale.
Il 2010 che si è appena chiuso non è stato un anno facile per l’integrazione europea e per il progresso della governance mondiale in senso sovranazionale. La crisi economica, in parte essa stessa frutto dell’incoerenza tra la crescente interdipendenza economica e un ordine politico frammentato, ha avuto come reazione immediata il riemergere di atteggiamenti egoistici. Tuttavia, come altri hanno ricordato, Tommaso Padoa-Schioppa vedeva nella presente situazione l’opportunità per introdurre quegli elementi di riforma necessari a far muovere in avanti la storia. Forse perché sentiva –come scrisse molti anni fa Altiero Spinelli – che la forza di una idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla capacità di risorgere dalle proprie sconfitte.

LA CAPACITÀ DI COINVOLGERE

Ho incontrato Tommaso per la prima volta quando era direttore generale della Commissione. Mi ha colpito la sua volontà di coinvolgere gli economisti, anche giovani (come me). Da allora ho avuto moltissime ocasioni di incontrarlo e di parlare con lui, ha persino accettato di presiedere l’International Center for Monetary and Banking Studies. Sebbene fossimo spesso in disaccordo, mi ha sempre colpito la sua insistenza nel fissare i fondamenti economici delle questioni importanti, e spesso in modo molto colorito, prima di affrontarle: l’esatto opposto del modo di procedere di chi è al potere.

Questa è vera classe dirigente

Vittime di mitridatizzazione

Mitridatizzazione. E’ una parola poco usata che si rifa al re del Ponto Mitridate VI: indica la capacità di divenire immuni da veleni e sostanze tossiche abituando il proprio organismo ad assumerne giornalmente piccole quantità. Oggi è facile riconoscerla: chiunque abbia assistito alla puntata di Matrix del 21 dicembre con la fluviale intervista al Presidente del Consiglio e non sia rimasto allibito e irritato per la piaggeria con cui il conduttore Alessio Vinci ha porto delle non domande all’ospite, suo datore di lavoro, è vittima di mitridatizzazione. Le dosi sono assunte quasi inavvertitamente ogni giorno attraverso i telegiornali principali, abituano a dare per scontato che il presidente del consiglio domini gran parte dei canali e si faccia intervistare da un dipendente, fanno passare per normalità lo svilimento di una professione essenziale per la democrazia come quella giornalistica, proclamano la banalità del servilismo, vero timbro dell’Italia di oggi. Speriamo solo che i nostri lettori si siano profondamente irritati vedendo quella trasmissione.

Tommaso l’europeista

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