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Collegi rivisti per candidati migliori

Sembra ormai esserci un accordo unanime sulla necessità di cambiare le regole del gioco elettorale. Proviamo allora a farlo per migliorare la selezione dei politici, aumentando la concorrenza politica e dunque il controllo degli elettori. L’analisi dei risultati delle tre tornate svoltesi con il Mattarellum, mostra che nei collegi più incerti sono eletti i candidati di maggior qualità. Dunque, bisogna cercare di aumentare la quota dei collegi contendibili. E per farlo si potrebbero ridisegnare alcuni confini. L’esempio di Sciacca e Agrigento.

 

Meno lavori, più precari

TPS, la penna verde

Delle persone che scompaiono e alle quali sono stato in qualche modo legato tendo a ricordare e conservare spezzoni di immagini piuttosto che una visione d’insieme. Spesso questo ricordo è un dettaglio secondario, anche insignificante, rispetto alla ricchezza della vita di questa persona. Ma a ben pensarci talvolta ne riassume un tratto importante e forse è per questo che mi rimane impresso. Pensando a Tommaso Padoa Schioppa, conosciuto nei tanti anni trascorsi alla Banca d’Italia, mi è ritornata alla mente la sua penna verde.

La penna che usava per correggere il testo del Bollettino Economico, delle bozze della Relazione annuale o dei cosiddetti lavori preparatori, ricerche predisposte dagli economisti del Servizio Studi della banca in funzione della stesura della Relazione annuale e più in generale di analisi e studio dell’economia, italiana (e non). Di quei testi i membri del direttorio leggevano con estrema attenzione ogni riga e restituivano agli autori le bozze commentate, corrette, segnate. C’era attesa per quei commenti. Quelli di Pierluigi Ciocca, a lettere grandi talvolta indecifrabili; le sottolineature lunghe e ondulate di Antonio Fazio; le annotazioni del Dottor Ciampi, poche ma sempre negli snodi del testo, quelli che qualificavano l’interpretazione. Questi commenti erano redatti a penna, bic o stilo, ma di colore blu o nera lo stesso colore che convenzionalmente si usa per apporre una firma su un assegno, il documento per eccellenza di una banca. I commenti di Tommaso Padoa Schioppa erano invece in inchiostro verde. Doveva essere una sua penna, dato che la Banca d’Italia non forniva ai dipendenti (e quindi neanche al direttorio) penne colorate, ma matite sempre dello stesso tipo, penne blu e penne nere, anche quelle sempre dello stesso tipo.

PARLARMENE!

Oltre al colore diverso quei commenti avevano altre due caratteristiche: si concludevano con la sua sigla, TPS, che gli è valso il nome – Tipiesse – con cui a lui ci si riferiva dentro la banca; contenevano spesso una richiesta dal tono perentorio -“parlarmene!” – a margine di un paragrafo che lui reputava importante e sul quale richiedeva all’autore un approfondimento. La sigla era quasi pleonastica dato l’uso della penna verde che garantiva l’identificazione perfetta del commentatore, ma siglandoli si prendeva la responsabilità di quei commenti. “Parlarmene!” evocava la relazione gerarchica tra lui e i colleghi/collaboratori, ma al tempo stesso rivelava l’interesse per il lavoro degli altri e il bisogno di conoscere di più di quello che era stato fatto, e questo aveva un forte effetto sulla motivazione delle persone, ci si sentiva utili. Rimane il colore della penna, perché verde? Perché quel tocco anticonformista? Questo mi stupiva un po’ in un uomo con una mente così organizzata, strutturata e lucida, in una persona così dedicata all’ istituzione a cui apparteneva: perché l’identificazione con essa non arrivava fino al colore della penna? Onestamente non lo so e non ho mai osato chiederglielo. Ma credo sia perché TPS distingueva tra identificazione e omologazione. Ha sempre avuto un tratto personale, un guizzo di fantasia, un elemento di distinzione; lo si ritrova nei suoi scritti, nei vocaboli che usava, in quelli che spesso coniava. I miei ex-colleghi in Banca d’Italia ne ricorderanno parecchi – il quartetto incoerente citato sui media in questi giorni, i piccoli giganti – riferendosi alle piccole banche italiane che si accollano l’intero rischio delle piccole imprese che finanziano – e i giganti nani – le grandi banche che partecipano solo a una parte del rischio delle grandi imprese a cui concedono prestiti, per citarne alcuni. L’uso di queste definizioni era forse un vezzo, una concessione all’estetica, ma era anche e soprattutto un modo concreto di rischiarare il discorso, di comunicare con il lettore in modo diretto, immediato. Lampi di luce che aggiungevano bellezza e chiarezza, come la penna verde.
Ciao TPS, riposa in pace.

L’Europa di Tommaso Padoa – Schioppa

L’entusiasmo nelle sfide

Ci eravamo sentiti qualche giorno fa; avevo chiesto a Tommaso Padoa-Schioppa di contribuire con un articolo a una nuova collana di commenti su temi di politica economica internazionale che avevo avviato. Scusandosi per non poter accettare subito aveva (quasi) promesso di farlo in futuro, un po’ forse per non deludere l’entusiasmo di un collega più giovane, ma anche per quel riflesso irrefrenabile che lo portava a lanciarsi in qualunque nuova sfida che gli sembrasse giustificare la sua presenza. Combattivo fino all’ultimo.

DALLA BANCA D’ITALIA AL MINISTERO, PASSANDO PER L’EUROPA

Mi sono trovato, in parte per caso, a condividere alcuni momenti della sua vita professionale negli ultimi anni. Il primo ricordo risale agli anni della Banca d’Italia. Per lui, già esponente autorevole del Direttorio, erano anni frenetici e fecondi, con l’Europa monetaria che prendeva forma: il rapporto Delors, il mercato unico, poi il trattato di Maastricht, infine, di segno contrario ma ugualmente intensa, la crisi del sistema monetario e della lira. Ma anche la riforma del sistema finanziario italiano: la regolamentazione delle banche e la vigilanza, l’impegno capillare sul sistema dei pagamenti. Io aiutavo, ma soprattutto guardavo e imparavo. L’entusiasmo di Tommaso lo portava a intervenire quasi su tutto, dalla conduzione quotidiana della politica monetaria all’organizzazione interna, dai temi strutturali dell’economia reale nel nostro paese a quelli della finanza globale. Sempre -allora era meno scontato! – coinvolgendo i giovani in prima linea, chiedendo loro di formarsi un’opinione e di avere il coraggio di difenderla.
Dopo la breve parentesi della Consob, lo sbarco a Francoforte, nel consiglio della Banca centrale europea appena costituita. Un’istituzione che Tommaso sentiva appartenere a lui più che agli altri membri designati in consiglio; correttamente nella sostanza, anche se non nella forma. L’entusiasmo e l’energia erano quelli di sempre, così come l’interesse per tutte le aree di responsabilità della banca. Era inevitabile che la sua tendenza a muoversi orizzontalmente su temi diversi sollevasse qualche sopracciglio, scompigliasse regole interne e convenzioni. Una visita al sito internet della Bce, nella sezione in cui sono conservati i discorsi del comitato esecutivo, mostra che non c’è area di responsabilità della Banca in cui egli non abbia lasciato il segno. Un contributo intellettuale e di comunicazione pubblica, ancor prima che decisionale, nonostante la natura esecutiva dell’incarico.
Il biennio del ministero è stato quello più complesso e sofferto, oltreché controverso. Ogni giudizio in merito non può che attendere il filtro del tempo. La difficoltà era, per lui più che per ogni altro, far valere l’autorevolezza tecnica in un contesto e in un tempo che richiedevano anche un deciso impegno politico. La generosità e lo slancio lo hanno a volte indotto, nel bilanciare queste esigenze in contrasto, a mettere in gioco la propria persona più di quanto alcuni amici e colleghi avrebbero desiderato. Ma lui non esitava. Come ha scritto poco prima di assumere l’incarico: “Mi rendo conto che sto per mettere a repentaglio quel po’ di reputazione che ho accumulato in una vita di lavoro.
Coloro che credono nella possibilità e nel dovere di tenere l’Italia nel novero dei paesi civilizzati e autorevoli, in Europa e nel mondo, da oggi sono un po’ più soli. Ma anche consapevoli di portare sulle spalle una responsabilità un po’ più grande.”

Quel patrimonio da salvare

Sulla difesa e valorizzazione del patrimonio culturale del nostro paese si contrappongono due visioni ideologiche: quella dei fautori della gestione pubblica e quella di chi vede con favore una transizione alla gestione privata e decentrata. Sono entrambe sbagliate e hanno portato a gravi fraintendimenti. La sfida sembra invece essere la costruzione di un nuovo umanesimo e delle condizioni istituzionali che lo consentano. Una questione che riguarda insieme, seppur in modi diversi, il pubblico e il privato e che pone alle scienze umane e all’economia un problema di pensiero.

 

Lo spettacolo? Un dramma

I finanziamenti statali allo spettacolo hanno raggiunto nel 2009 i livelli del 1985 in termini nominali. In termini reali lo stanziamento annuale si è praticamente dimezzato in venticinque anni. Eppure è stato mostrato che esistono ricadute economiche positive dirette e indirette dal consumo di spettacolo. Affidarsi esclusivamente ai meccanismi di mercato porterebbe alla sopravvivenza solo delle produzioni più popolari o commerciali. Ecco perché in molti paesi occidentali l’intervento dello Stato in questo settore è generalmente considerato necessario e fondamentale.

 

Wikileaks nella rete della globalizzazione

Il precedente dichiarato sono i Pentagon Papers degli anni Settanta. Ma se Wikileaks è figlio della globalizzazione che gli permette di sopravvivere su server e siti sparsi per il mondo, rischia anche di esserne vittima, poiché non esiste una Corte Suprema mondiale a cui appellarsi. La vicenda suggerisce comunque alcune riflessioni: sulle conseguenze della trasparenza sull’operato del governo, sul fatto che nel prossimo futuro c’è forse spazio per Stati che vogliano offrirsi come paradisi informatici. E sulla tempistica giusta per diffondere informazioni di questo tipo.

 

Perché i nostri conti pubblici sono opachi

L’Open Budget Index classifica i paesi sulla base della quantità e qualità delle informazioni rese pubbliche su vari aspetti dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. L’Italia vi compare per la prima volta e ottiene un punteggio non esaltante. Sono soprattutto i ritardi nella pubblicazione dei documenti a limitare la capacità della società civile, dei mezzi di comunicazione e talvolta del Parlamento stesso di influenzare e controllare l’operato del governo nella gestione delle finanze pubbliche. I miglioramenti già previsti.

 

Ma quanto incasseremo dal digitale terrestre?

Il maxi emendamento alla Finanziaria si basa in parte su 2,4 miliardi di euro di entrate legate alla vendita di frequenze elettromagnetiche in seguito al passaggio dal sistema televisivo analogico al digitale terrestre. Le frequenze saranno destinate a servizi di telefonia mobile in banda larga. Bene che il ministero dell’Economia abbia avviato questo processo che porterà sicuri benefici. Il problema è che la stima economica delle entrate è calcolata per eccesso. Vediamo perché.

 

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